Il fallimento dei servizi segreti francesi
L’attacco terroristico di Nizza è arrivato pochi giorni dopo la pubblicazione di un rapporto parlamentare che evidenzia le falle dei servizi segreti: un’analisi
L’attacco terroristico di Nizza che ha causato 84 vittime e più di cento feriti giovedì 14 luglio, è arrivato dieci giorni dopo la pubblicazione di un rapporto di una commissione d’inchiesta parlamentare che svela numerose falle nell’organizzazione e nelle procedure dei servizi d’intelligence francesi.
L’inchiesta parlamentare ha analizzato le dinamiche degli attacchi di matrice jihadista avvenuti in Francia nel 2015, partendo dall’assalto alla redazione di Charlie Hebdo a gennaio per arrivare alle stragi di Parigi del novembre 2015, approfondendo tutti gli errori commessi e le mancanze strutturali che non hanno reso possibile evitare la morte di 147 persone, solo lo scorso anno.
La commissione d’inchiesta, composta da 30 legislatori, di cui 16 membri del Partito Socialista al governo, dieci del partito d’opposizione Repubblicano, e altri rappresentanti di formazioni politiche minori, ha stilato un rapporto di circa 300 pagine che ha sottolineato il “fallimento globale” dell’intelligence francese.
Come evidenziato dal documento, la Francia dispone di sei diverse unità di intelligence che rispondono a differenti ministeri, tra cui quelli dell’Interno, quello della Difesa e quello dell’Economia. Un’organizzazione estremamente complessa per un settore che richiede prevenzione e risposte immediate, che si traduce in un sostanziale immobilismo.
Le difficoltà sono tali da spingere il presidente della commissione d’inchiesta George Fenech, esponente di origini italiane del partito di centrodestra Union pour un Mouvement Populaire (Ump), a dichiarare che l’apparato di intelligence nazionale è come “un esercito di soldati immobili” e che, in condizioni diverse, si sarebbe potuta prevenire la strage del Bataclan.
La commissione ha infatti sottolineato che le agenzie, essendo ben sei e facendo capo a diversi ministeri, hanno difficoltà a comunicare tra loro e a scambiarsi tutte le informazioni a loro disposizione.
Eric Denécé, direttore del think thank indipendente Centre Français de Recherche sur le Renseignement, ha evidenziato che solo ultimamente, in seguito ai sempre più numerosi attacchi commessi sul suolo nazionale, le autorità francesi hanno iniziato a considerare seriamente un rinnovamento della struttura dei servizi segreti. Ma ha anche aggiunto che, in generale, “ai leader politici e i membri del parlamento francesi non interessa occuparsi seriamente di intelligence e dei servizi di sicurezza”.
L’unica riorganizzazione del settore risale al 2008, quando l’allora presidente della repubblica Nicolas Sarkozy ha deciso di fondere l’ex-agenzia di controspionaggio del ministero dell’Interno, il Direttorato della Sicurezza Territoriale (Dst), con l’agenzia d’intelligence domestica, Renseignements Généraux. Una riforma limitata che non ha inciso in termini di risultati.
A parte le falle nella comunicazione e la complessità organizzativa, gli insuccessi dell’intelligence francese hanno anche altre radici.
Innanzitutto, come afferma Claude Moniquet, direttore dello European Strategic and Intelligence Security Center, sia l’intelligence che la polizia non dispongono di un personale che conosce veramente a fondo il proprio contesto operativo.
“Una buona conoscenza della cultura di queste comunità e di queste persone è essenziale. Ma gli agenti di sicurezza francesi spesso non parlano l’arabo o le altre lingue mediorientali, e per preparare adeguatamente un agente servono almeno cinque anni”.
Inoltre, le agenzie non solo non riescono a comunicare, ma anche l’esistenza di diversi database autonomi crea problemi. Spesso, i dati a disposizione delle sei unità non corrispondono fra loro e le inconsistenze sono evidenti, essendo presenti nelle liste i nomi di bambini, di persone decedute o addirittura di persone non esistenti. Tuttavia, unire queste liste potrebbe non bastare per risolvere tutti i problemi.
Infatti, il governo registra i sospetti radicalizzati sulla cosiddetta Fiche S: l’elenco include tutti i potenziali pericoli per la sicurezza dello stato, ma è un registro troppo esteso che include diverse categorie (dalla S1 alla S16).
Questi diversi gruppi di nomi non archiviano solo i sospetti terroristi e gli estremisti filo-jihadisti, ma anche radicali anti-globalizzazione, radicali ecologisti e hooligans.
In totale, sono circa 10.500 le persone registrate sulla Fiche S, un numero tale che rende impossibile tenere tutti sotto costante sorveglianza. Per cui, le autorità sanno chi rappresenta una potenziale minaccia per la sicurezza, ma non hanno i mezzi per prevenire tutti gli attacchi come quelli di Nizza.
L’ex-presidente francese Sarkozy, già entrato in clima elettorale, ha proposto gli arresti domiciliari e il controllo elettronico dei sospettati di terrorismo, aggiungendo che “chiunque visiti siti jihadisti dovrebbe essere messo immediatamente in prigione”. Infatti, allo stato attuale la legge non prevede la coercizione automatica di queste persone, ma è la giustizia che deve pronunciarsi su eventuali misure cautelari.
Infine, il report ha sottolineato che anche lo stato d’emergenza attivato dopo gli attacchi di Parigi dello scorso novembre 2016 ha avuto un impatto molto limitato sulla sicurezza nazionale. In generale, le divisioni strutturali interne all’intelligence impediscono una reale implementazione delle misure che dovrebbero prevenire le stragi.
La notte del Bataclan, questi limiti erano già evidenti: durante la presa di ostaggi nel locale parigino da parte di un commando di terroristi, le forze di sicurezza arrivate sul posto non sono potute intervenire immediatamente, in quanto ai soldati dell’esercito non era stato dato l’ordine di fornire armi di assalto alle forze di polizia. Lo stato d’emergenza non ha di fatto cambiato la situazione.
Quest’insieme di fattori ha finora reso molto difficile prevenire tutti gli attacchi commessi in territorio francese. Per la commissione d’inchiesta, il primo passo fondamentale da compiere è quello di fondere le sei agenzie in un’unica unità sotto il diretto controllo del primo ministro, sulla base del modello americano di intelligence.
Tuttavia, questa è solo la punta dell’iceberg. La situazione sembra complicarsi più complessivamente alla luce del crescente numero di cittadini francesi radicalizzati, un problema che anche un lavoro d’intelligence efficace non può risolvere alla radice.
Patrick Calvar, presidente della Direzione Generale della Sicurezza Interna (Dgsi), ha dichiarato martedì 12 luglio che la Francia “rischia la guerra civile”, prevedendo un attacco nei giorni successivi.
La strage di Nizza ha quindi solamente confermato le crescenti difficoltà di Parigi in tema di sicurezza e terrorismo. Difficoltà che avranno sempre più risvolti a livello politico e sociale.