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Home » Esteri

Facebook cancella i profili dei militari responsabili del colpo di Stato in Myanmar

Immagine di copertina
Credits: Aung Kyaw Htet/SOPA Images via ZUMA Wire

La misura, che ha effetto immediato, riguarda tutte le entità legate al regime e all'esercito birmano ed è valida anche per i profili Instagram. A tutte le "entità commerciali legate ai militari" è stato inoltre vietato di fare pubblicità su entrambe le piattaforme. La mossa di Facebook posiziona così il social network dalla parte del movimento pro-democrazia del paese dopo anni di critiche su come i militari hanno utilizzato la piattaforma

Myanmar, Facebook caccia i militari birmani dopo il colpo di Stato

Facebook ha bandito tutti i profili dei militari che hanno rovesciato il governo civile in Myanmar. Il colosso social ha preso così una posizione dopo il colpo di Stato che il primo febbraio ha visto l’esercito del Paese del sud est asiatico effettuare un golpe, arrestando la leader democraticamente eletta Aung San Suu Kyi (qui il suo profilo), capo del governo birmano e premio Nobel per la pace nel 1991. La mossa di Facebook posiziona il social network dalla parte del movimento pro-democrazia del Myanmar dopo anni di critiche su come i militari hanno utilizzato la piattaforma. Lo ha annunciato mercoledì 24 febbraio la compagnia, che ha menzionato l’uccisione di alcuni manifestanti come ragione del blocco.

La misura, che ha effetto immediato, riguarda tutte le entità legate al regime e all’esercito birmano ed è valida anche per i profili Instagram. A tutte le “entità commerciali legate ai militari” è stato inoltre vietato di fare pubblicità su entrambe le piattaforme. Lo scorso weekend era stata bandita una pagina di notizie legata alla giunta.

“Gli eventi successivi al 1 febbraio, compreso l’uso di forza letale, hanno fatto sorgere la necessità di questo blocco”, si legge in una nota di Facebook, “riteniamo che i rischi del consentire a Tatmadaw (l’esercito birmano, ndr) l’utilizzo di Facebook e Instagram siano troppo grandi”.

La giunta nei giorni scorsi ha utilizzato Facebook per portare avanti la tesi che il colpo di Stato è stato giustificato da presunti brogli elettorali commessi da Aung San Suu Kyi, la leader de facto del Paese. Nel 2018 il leader della giunta militare, Min Aung Hlaing, e altri alti ufficiali dell’esercito erano stati banditi dalla piattaforma in seguito alla repressione che aveva costretto 750 mila membri della minoranza musulmana rohingya a lasciare il Paese e rifugiarsi in Bangladesh.

La decisione di Mark Zuckerberg, che impedisce anche alle aziende di proprietà militare di fare pubblicità su Facebook, ha coinvolto il social network in modo più diretto nella politica post-golpe del Myanmar. La decisione, come riporta anche il New York Times, lascia pochi dubbi sul fatto che la compagnia si stia schierando dalla parte di un movimento pro-democrazia contro un governo militare che ha preso il potere bruscamente.

Facebook ha agito dopo anni di critiche su come i militari del Myanmar hanno utilizzato il sito, anche per incitare all’odio contro il gruppo di minoranza musulmana Rohingya del paese. Dal colpo di stato all’inizio di questo mese i militari hanno ripetutamente chiuso Internet e tagliato l’accesso ai principali siti di social media. I generali hanno adottato misure per bloccare Facebook continuando però a utilizzare la piattaforma come canale per fare propaganda. Una delle prime dichiarazioni del leader del colpo di stato, Min Aung Hlaing, dopo il golpe è stata pubblicata sulla pagina Facebook ufficiale dei militari.

Il social network ha successivamente rimosso quella pagina e un’altra pagina della rete televisiva di stato. Nel 2018, Facebook ha escluso il generale Min Aung Hlaing dal suo sito a causa del suo coinvolgimento nelle violazioni dei diritti umani e nella manipolazione via social. Il Tatmadaw, nome ufficiale dell’esercito del Myanmar, ha risposto a questi ban creando semplicemente nuovi account.

Per anni i membri delle forze armate sono stati i principali agenti dietro una campagna sistematica su Facebook che ha definito i Rohingya “stranieri che vivono illegalmente in Myanmar”. Nel 2017, il Tatmadaw ha lanciato una campagna militare che ha portato alla morte di migliaia di Rohingya e ha costretto più di 700mila di loro a fuggire dal Paese. Le Nazioni Unite definirono le violenze sistematiche perpetrate da Myanmar nei confronti della minoranza musulmana “un esempio da manuale di pulizia etnica“.

Facebook in seguito ha affermato che avrebbe dovuto fare di più per impedire che la sua piattaforma venisse utilizzata per “fomentare la divisione e incitare alla violenza offline“.

Bloccando la pubblicità delle aziende di proprietà militare, Facebook mira a limitare l’influenza economica dei militari. I generali gestiscono una rete opaca di partecipazioni aziendali che fanno di tutto, dalla produzione di birra alla fornitura di servizi di telecomunicazione.

I gruppi di difesa hanno incolpato Facebook di non aver agito subito dopo il colpo di stato del 1 febbraio. “Donald Trump è stato espulso da Facebook per incitamento alla violenza e tentato colpo di stato, ma i militari birmani possono rimanere su Facebook nonostante abbiano commesso un genocidio e un golpe”, ha scritto Mark Farmaner, direttore del gruppo di difesa Burma Campaign UK, in una dichiarazione del 16 febbraio. “È ora di cacciare i militari birmani da Facebook”, ha aggiunto.

“Gli eventi dal colpo di stato del 1 febbraio, inclusa la violenza, hanno accelerato la necessità di questo divieto”, ha detto Facebook aggiungendo che i rischi di lasciare che le forze armate del Myanmar rimangano su Facebook e Instagram erano “troppo grandi” e che l’esercito sarebbe stato escluso a tempo indeterminato.

Mark Zuckerberg ha difeso a lungo la libertà di parola sopra ogni cosa, definendo Facebook una semplice piattaforma tecnologica che non sarebbe stato coinvolto in controversie governative o sociali. Con il passare degli anni però Zuckerberg finito nel mirino di legislatori e utenti per questa sua posizione e per aver consentito l’incitamento all’odio, la disinformazione e concesso la condivisione di contenuti che incitano alla violenza di circolare liberamente su Facebook.

Facebook ha iniziato così a controllare ciò che veniva pubblicato sulla sua piattaforma, specialmente nell’ultimo anno in relazione alle elezioni statunitensi. L’anno scorso per esempio il social ha bannato le pagine e i post sulla teoria complottista di QAnon. E il mese scorso Facebook ha vietato al presidente Donald J. Trump di utilizzare il social dopo che una folla di suoi sostenitori ha preso d’assalto il Campidoglio degli Stati Uniti lo scorso ​​6 gennaio.

Durante le proteste in Myanmar gli utenti hanno utilizzato Facebook per coordinare marce di protesta, condividere filmati che dimostrassero le violente repressioni militari e diffuso meme che deridono i leader del golpe. I militari, a loro volta, hanno portato avanti la loro propaganda, mettendo in dubbio i risultati delle recenti elezioni e affermando di avere prove di frodi elettorali. Facebook è diventato cruciale nella vita quotidiana in Myanmar dopo che il popolo ha iniziato ad accedere a Internet circa 10 anni fa, quando il paese si è aperto al mondo esterno.

Leggi anche: 1. Nessuno dice come stanno davvero le cose: Facebook e Twitter hanno censurato Trump unicamente per tutelare i loro interessi; // 2. Colpo di Stato in Myanmar: Aung San Suu Kyi arrestata dai militari. L’esercito prende il potere; // 3. Chi è (davvero) Aung San Suu Kyi, biografia della donna premio Nobel che guida il Myanmar; // 4. Myanmar, Aung San Suu Kyi stravince le elezioni ma non è una buona notizia per i rohingya (di A. Lanzetta)

// 5. La Corte Onu ordina alla Birmania di prendere tutte le misure necessarie per proteggere i Rohingya dal genocidio // 6. Chi è Aung San Suu Kyi, biografia della donna premio Nobel che guida il Myanmar// 7. Picchiati e lasciati morire di fame: su TPI le testimonianze dei bambini Rohingya bloccati per mesi in mare // 8. Il limbo dei Royingya dopo il massacro del 2017: tornare in Myanmar o restare in Bangladesh? Un popolo in fuga tra persecuzione e segregazione

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