Cosa vuole ottenere Zuckerberg con la minaccia di chiudere Facebook e Instagram in Europa
“Se un nuovo quadro normativo sul trasferimento transatlantico dei dati non verrà adottato e non saremo capaci di continuare a fare affidamento sulle SCC o altri metodi alternativi per il trasferimento dei dati dall’Europa agli Stati Uniti, probabilmente non riusciremo a offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più significativi, fra cui Facebook e Instagram, in Europa, il che potrebbe influenzare materialmente e negativamente il nostro giro d’affari, le condizioni finanziarie e il risultato delle operazioni”. Questo passaggio, contenuto nel rapporto annuale inviato da Meta alla Securities and Exchange Commission (SEC, l’organo federale statunitense di vigilanza dei mercati di borsa), è stato interpretato dai mass media come una esplicita minaccia, da parte della compagnia di Mark Zuckerberg, di chiudere Facebook e Instagram in Europa.
Meta stessa ha successivamente smentito scenari di questo genere attraverso la seguente nota: “La stampa ha riportato che stiamo ‘minacciando’ di lasciare l’Europa a causa dell’incertezza sui meccanismi di trasferimento dei dati UE-USA. Questo non è vero. Come tutte le società quotate in borsa, siamo legalmente tenuti a rivelare i rischi materiali ai nostri investitori. La scorsa settimana, come abbiamo fatto nei quattro trimestri finanziari precedenti, abbiamo rivelato che la continua incertezza sui meccanismi di trasferimento dei dati UE-USA rappresenta una minaccia per la nostra capacità di servire i consumatori europei e di gestire la nostra attività in Europa”.
Non si può però liquidare però l’intera vicenda come il classico caso di sensazionalismo mediatico. Se è vero che Meta ha smentito la chiusura dei propri servizi in Europa, è anche vero che dietro la nota inviata alla Sec si nasconde un avvertimento rivolto proprio alle autorità europee, che nei prossimi mesi saranno chiamate a trovare un accordo con gli Stati Uniti sul delicato tema del trasferimento dei dati tra le due sponde dell’Atlantico.
Meta vuole evitare una “serrata” che metterebbe in crisi diverse sue attività legate proprio al libero traffico dei dati. Appare improbabile che Usa e Ue non trovino un accordo, ma la questione del passaggio dei dati tra i due continenti resta spinosa e chiama in causa proprio le responsabilità delle Big Tech.
La contesa sui dati
Come è noto, l’Ue sta applicando standard sempre più rigidi in tema di protezione dei dati personali, in particolare attraverso l’applicazione del General Data Protection Regulation (GDPR). Per questo motivo, le autorità europee pretendono che tali standard vengano rispettati anche laddove sono in vigore legislazioni differenti, come negli Stati Uniti.
Nel luglio del 2020, la Corte di Giustizia Europea ha bocciato il Privacy Shield, l’accordo che regolamentava il trasferimento dei dati dei cittadini europei sui server Usa, e che sostituiva il Safe Harbour, in vigore dal 2000 al 2015. Tutto era nato dalla denuncia di un cittadino austriaco, Maximilian Schrems, il quale aveva scoperto che i suoi dati erano transitati da Facebook Ireland a Facebook In, negli Usa. L’uomo si era appellato alle autorità irlandesi, ritenendo che sui server Usa i propri dati non fossero sufficientemente protetti. L’Irlanda aveva portato il caso alla Corte di Giustizia Europea, che aveva ritenuto il Privacy Shield non in linea con i principi sanciti dal GDPR.
Nonostante questa sentenza, dal 2020 il trasferimenti dei dati di cittadini europei negli Usa è rimasto possibile grazie alle “clausole contrattuali standard”, un accordo che ha rimpiazzato il Privacy Shield. Come ha precisato però la stessa Meta nella sua nota, “nell’agosto del 2020 abbiamo ricevuto una bozza di decisione da parte della Irish Data Protection Commission che ha concluso in via preliminare che la pratica di Meta di basarsi sulle clausole contrattuali standard non rispetta il General Data Protection Regulation e ha proposto, sempre in via preliminare, che questi trasferimenti di dati degli utenti dall’Unione europea agli Stati Uniti venga sospeso. Riteniamo che una decisione finale su questo punto possa giungere entro la prima metà del 2022”.
Meta, quindi, sta in qualche modo cercando di orientare la negoziazione tra Usa e Ue su questo delicato tema. Come detto, è difficile che le autorità europee e statunitensi non trovino un accordo che salvi allo stesso tempo la sicurezza dei dati dei cittadini e il giro d’affari che si regge sulla circolazione di questi stessi dati.
E tuttavia, è fondamentale che non si tratti di un accordo al ribasso. Che i colossi del web, Facebook in primis, abbiano fatto un uso “disinvolto” dei dati degli utenti è storia nota. Lo scandalo Cambridge Analytica è lì a testimoniarlo: la società di consulenza fondata, tra gli altri, dall’ex stratega di Trump Steve Bannon si era impossessata illecitamente dei dati di 87 milioni di utenti Facebook, per poi usarli a fini di propaganda politica.
Andando ancora più indietro, le denunce di Edward Snowden (nel 2013) sul programma di sorveglianza di massa della National Security Agency (NSA) chiamavano in causa anche le Big Tech, poiché la raccolta dei dati da parte dell’Agenzia di sicurezza nazionale americana avveniva anche grazie a compagnie come Facebook e Google, che condividevano con la NSA le informazioni personali degli account.
L’Ue, insomma, nell’accordo che dovrà siglare con gli Usa sarà chiamata a salvaguardare fondamentali interessi di business, senza cedere però sul fronte della tutela della privacy dei propri cittadini, e senza farsi condizionare dagli “avvertimenti” lanciati da Meta. Le prime reazioni da parte di importanti esponenti della politica europea lasciano credere che l’Ue abbia intenzione di non farsi intimidire. Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese, ha dichiarato: “I giganti digitali devono capire che il continente europeo resisterà e affermerà la sua sovranità”. Gli ha fatto eco Robert Habeck, vicecancelliere e ministro delle Finanze tedesco, che ha affermato: “Dopo essere stato hackerato, ho vissuto senza Facebook e Twitter per quattro anni e la vita è stata fantastica”.
Il messaggio è quindi, addirittura, che l’Europa sarebbe disposta a immaginare un futuro senza Facebook e Instagram, e che sarà Meta a doversi adeguare a una legislazione che, sul tema della privacy, resterà stringente.
Metaverso sotto scrutinio
In questo scenario si inseriscono anche le dichiarazioni della Commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager, la quale ha dichiarato che anche il metaverso verrà sottoposto a rigido scrutinio da parte della autorità regolatorie dell’Ue. “Il metaverso presenterà nuovi mercati e una serie di diverse attività. Si formerà un marketplace dove alcuni attori potrebbero avere una posizione dominante. È un’evoluzione che dobbiamo essere in grado di seguire”, ha dichiarato Vestager, lasciando intendere che anche sulle evoluzioni della realtà virtuale l’Ue intende adottare l’approccio già utilizzato nella regolamentazione dei mercati digitali col Digital Markets Act. Un approccio che mira a fermare sul nascere la formazione di posizioni dominanti sui mercati, e che dovrà valere anche per questo nuovo settore del mondo digitale.