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La sinistra europea può insegnarci come dobbiamo comportarci con i partiti autoritari, che sono oramai una realtà in America

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"A lezione dalla sinistra europea: la trump-mania sta per uscire di scena, ma la lotta al trumpismo è vivissima”

La sinistra europea può insegnarci come dobbiamo comportarci con i partiti autoritari, che sono oramai una realtà in America

“La sinistra europea può insegnarci come dobbiamo comportarci con i partiti autoritari, che sono oramai una realtà in America”. A dirlo è Maria Svart, intervenuta all’European Forum, il congresso organizzato delle forze politiche progressiste, di sinistra e verdi d’Europa, iniziato domenica 8 novembre e che proseguirà fino alla fine del mese: “la trump-mania sta per uscire di scena, ma la lotta al trumpismo è vivissima, e unisce il lavoro delle sinistre dei due lati dell’Atlantico”.

Una delle domande fondamentali per l’analisi del risultato delle elezioni presidenziali americane riguarda il ruolo che movimenti sociali e organizzazioni di sinistra (dal movimento Black Lives Matter ai sindacati, dagli ambientalisti agli attivisti multirazziali) hanno avuto nel determinare la vittoria di Joe Biden su Donal Trump. Domanda importante di per sé ma, soprattutto, per capire che ruolo hanno avuto (e avranno) queste realtà rispetto alla fine all’era della Trump Administration, e in generale quanto il risultato elettorale influenzerà l’identità del partito Democratico americano. I Democratici, infatti, per vincere hanno dovuto riconquistare tre Stati chiave (Wisconsin, Michigan e Pennsylvania) a tradizione industriale e operaia, conquistati da Trump quattro anni fa. Ma hanno vinto anche perché in stati come Nevada, Arizona e Georgia, sindacati e organizzazioni per i diritti degli immigrati hanno lavorato in maniera significativa alla campagna di Biden. Questo tema è stato al centro dell’intervento di Maria Svart, direttrice nazionale del partito dei Socialisti Democratici d’America, ospite all’apertura della quarta edizione dello European Forum, il congresso organizzato delle forze politiche progressiste, di sinistra e verdi d’Europa, iniziato domenica e che proseguirà fino al 28 novembre.

Secondo la leader socialista, nonostante Biden abbia infatti “più volte avuto endorsment a suo favore dai repubblicani, che lo hanno favorito nella corsa per la leadership dei democratici”, è probabile però che “Biden non abbia avuto significativi risultati nel muovere con argomentazioni di centro l’elettorato democratico di orientamento centrista e moderato a suo favore”.

Secondo i dati dell’Edison Research (pubblicati sul NYTimees) e del AP VoteCast (pubblicato dalla National Public Radio), effettivamente, il risultato delle elezioni americane appare certamente più che mai condizionato dalla polarizzazione dell’elettorato su temi importanti come il funzionamento del sistema sanitario, razzismo e il salario minimo garantito. Dall’altra, però, tutto fa pensare che abbia pesato molto l’effetto combinato tra questa polarizzazione e la alta affluenza. Tutto fa pensare che il lavoro fatto dalle organizzazioni della società civile, dei movimenti e delle nuove generazioni di attivisti, in prima linea per sensibilizzare i cittadini americani sull’importanza di esercitare il diritto al voto, sia stato determinante per il risultato elettorale. Basta pensare che nel 2016, quando lo scarto di voti tra Clinton e Trump fu di più di tre milioni di voti in favore della Clinton, Trump riuscì a diventare presidente conquistando i collegi chiave del middle West. Anche per Biden, che però ha vinto con uno scarto maggiore della Clinton, la vittoria è arrivata di grazie (nonostante i margini ridotti) alla conquista dei collegi chiave dei famosi “swing states”. Ma è un altro dato che riflette chiaramente come l’alta affluenza (e i fattori che l’hanno causata) siano stati determinanti nel porre la parola fine all’amministrazione Trump. Nelle ultime otto elezioni presidenziali americane, il vincitore ha sempre raccolto meno voti nominali del suo sfidante. In linea con questo dato, anche Trump ha ottenuto circa 71 milioni di voti, il più alto di un candidato repubblicano, mentre Biden ne ha ottenuti 75 milioni: il valore più alto ottenuto da un candidato alla presidenza in assoluto. La causa principale di questo risultato: la più alta partecipazione elettorale mai registratasi negli USA dagli anni ’60.

Perché ha vinto Joe Biden

Biden ha vinto grazie a Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, stati del Nord-Ovest industrializzati ma da decenni in declino economico e sociale, e perché nelle zone urbane (che rappresentano più del 60% dei voti) ha riscosso molto successo, mentre le piccole città e le zone rurali hanno preferito Trump. Non solo: il covid ha aumentato le preferenze per il voto postale, in un paese dove è più facile votare per posta che recarsi alle urne. Tutto suggerisce che nonostante Trump abbia ancora molto consenso nella working class americana i dati finali potrebbero dirci che la maggior parte della working-class potrebbe aver rifiutato il trumpismo, e si sia mobilitata trasversalmente.

É interessante perciò andare a vedere le classi di educazione e di reddito. Se da una parte si conferma la regola per cui l’elettore istruito vota democratico, per entrambi i sondaggi la working class non ha votato compatta a favore di Trump. Biden è stato nettamente preferito nelle classi con un reddito medio, che copre quasi il 40% dei votanti e entrambi i sondaggi ci dicono che i meno pagati d’America – la fetta più grande di elettorato – ha votato Biden, avendo la meglio sui “small-business man” o sui redditi medio-bassi che hanno votato Trump.

I sondaggi ci mostrano anche che Biden ha ottenuto consensi decisivi tra gli elettori di età media e tra le comunità della America multietnica. Un dato interessante è che mentre gli elettori maschi (47% circa dei votanti) sono stati propensi a sostenere Trump (52%), l’elettorato femminile (53% dei votanti) ha probabilmente preferito Biden, risultando decisivo per la sua vittoria. Un altro dato, tratto dall’Edison exit poll, mostra che l’alto gradimento per Trump è certamente aumentato nelle comunità di colore, sia tra uomini che donne, ma anche che questo elettorato specifico rappresenta solo l’11% dei votanti. Probabilmente, in termini elettorali, la popolarità di Trump tra i neri d’America ha contato la metà rispetto alla perdita di popolarità dell’ex presidente nell’elettorato non di colore.

“La trump-mania sta per uscire di scena, ma la lotta al trumpismo è vivissima”

Per questo, non si può parlare “di un risultato roseo per i Democratici, in generale” secondo la Svart. Essi hanno perso infatti terreno nelle istitutizioni e questo potrebbe essere il fattore che modificherà i rapporti di forza tra l’ala sinistra dei Democratici e la galassia della sinistra americana. In primis, appunto, perché non c’è stata l’auspicata “blue wave” che avrebbe permesso ai dem di godere di una maggioranza schiacciante.

Maria Svart ne conclude che mentre “la trump-mania sta per uscire di scena, la lotta al trumpismo è vivissima, e unisce il lavoro delle sinistre dei due lati dell’Atlantico”. E lo dice non solo perché questioni come il Green New Deal “non potranno essere portati avanti né dall’Europa da sola, nè dall’America da sola”, ma anche perché ci sono vitali punti di contatto a cavallo tra le due sponde dell’Atlantico per il mondo della sinistra e per le democrazie occidentali. “La sinistra in Europa può insegnarci come dobbiamo comportarci verso i partiti autoritari, che sono oramai una realtà qui da noi”. Più che una somiglianza tra Trump e Orban, per esempio, sarebbe più corretto dire che “c’è oramai una somiglianza tra Fidesz e il Partito Repubblicano americano”.

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