Angela Merkel non ha nulla da insegnare a Donald Trump sulla questione migranti
Dopo l'accordo con la Turchia e l'intesa sul blocco navale del Mediterraneo, l'Ue dovrebbe farsi un esame di coscienza. Il commento di Nancy Porsia
All’indomani dell’introduzione del cosiddetto Muslim Ban, con cui il neoeletto presidente americano ha impedito ai cittadini di alcuni paesi a maggioranza musulmana di entrare negli Stati Uniti, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha alzato la cornetta e ha chiamato Donald Trump per spiegargli come funziona la convenzione di Ginevra.
La curva est, quella europea, ha fatto eco alla cancelliera tedesca, avvolgendosi nella bandiera blu decorata con 12 stelle, ognuna delle quali apposta lì a simboleggiare i principi di eguaglianza e armonia alla base dell’Unione. Nel giro di qualche ora i liberal democratici europei sono scesi in piazza – anche se la maggior parte si è limitata a quella virtuale dei social media – per esprimere la propria indignazione verso quella che definiscono una legge ingiusta, una discriminazione su base razziale contro i cittadini musulmani.
Tutti hanno invocato la convenzione di Ginevra contro l’offesa promossa dalla politica di Trump. Tuttavia il divieto di entrare sul suolo americano per i cittadini provenienti da Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen, a prescindere dal visto d’ingresso da loro in possesso – compresa la famosa green card –, ha ben poco a che fare con la convenzione firmata nella città svizzera nel 1951.
Il visto per motivi di lavoro e studio e la stessa green card non prevedono né il parere di una commissione circa il concreto pericolo di persecuzione nel proprio paese di provenienza né – in caso di riscontro – protezione, come invece scandisce la convenzione di Ginevra per i rifugiati. A scanso di equivoci, quest’ultima prevede che chiunque entra in un paese firmatario, come tutti i paesi membri dell’Unione europea e degli Stati Uniti, e fa richiesta d’asilo, è regolare sul territorio per legge. Il richiedente resta a tutti gli effetti regolare fino a quando una delle commissioni preposte alla valutazione rigetta la richiesta della persona in questione.
I richiedenti asilo rappresentano la categoria di migranti più svantaggiata. E qui l’accezione di migrante adottata è in senso lato, ossia persone che decidono di spostarsi per migliorare la propria condizione ovunque nel mondo anche attraverso la richiesta di protezione umanitaria per scampare persecuzioni, guerre o disastri ambientali.
Tuttavia proprio i richiedenti asilo sono quelli scacciati dall’Europa guidata dalla Germania della Merkel. A marzo 2016 l’Unione europea ha firmato l’accordo con la Turchia per la deportazione di uomini, donne e bambini provenienti da Afghanistan, Iraq e Grecia pur di chiudere la rotta balcanica.
Merkel avrebbe dovuto rivedersi la convenzione di Ginevra un anno prima, quando ha offerto alla Turchia di Erdogan tre miliardi di euro pur di sbarazzarsi di famiglie che chiedevano protezione dalle persecuzioni e dalla guerra in patria. Deportare i siriani dal suolo europeo, e in particolare dalla Grecia, verso la Turchia, territorio extra europeo e paese non firmatario della convenzione di Ginevra, è una chiara violazione della convenzione sui rifugiati.
A quale titolo Merkel avrebbe dato lezioni in tema di diritti umani a Trump? Soprattutto, che cosa avrebbe da insegnare un’Europa che a poche ore dalla valanga di proteste sul Muslim Ban firma un’intesa di massima con la Libia per il blocco navale contro i migranti nel cosiddetto Mediterraneo centrale?
Proprio mentre l’onda dell’indignazione correva da una parte all’altra dell’oceano, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dichiarato che, alla luce del successo dell’accordo Ue con la Turchia per bloccare il flusso dei migranti nel Mediterraneo orientale, l’Europa avrebbe preso le stesse misure nel braccio di mare che collega la Libia all’Italia.
Il 3 febbraio i capi di Stato europei, con l’Italia in prima fila, hanno firmato un accordo che prevede una guerra alle carrette del mare e il trasferimento dei migranti fermati verso il sud del Mediterraneo. Resta da chiarire se l’Egitto e la Tunisia fungeranno da “paesi terzi sicuri”. L’obiettivo rimane quello di raccogliere le richieste di asilo a sud del Mediterraneo e da lì trasferire coloro che otterranno il diritto alla protezione in Europa. In soldoni, chiudiamo la rotta del Mediterraneo. Perché tutte le violazioni che avverranno a sud finiranno nel gioco labirintico dello scarica barile verso i governi che la comunità internazionale definisce “democrazie non avanzate” o “giovani”.
E così la società civile europea potrà tornare a dormire sonni tranquilli nella terra dei diritti.
In questi termini la mossa di Trump non è altro che uno sviluppo dello stesso sistema, quello che si alimenta delle guerre in giro per il pianeta e che poi chiude le proprie porte a chi scappa dai luoghi di miseria. Il permesso di lavoro e studio che Trump ha sospeso per i prossimi tre mesi riguarda persone privilegiate rispetto a chi è costretto a richiedere l’asilo per mettersi al sicuro dalle persecuzioni. Ma forse per noi europei è più facile riconoscersi nei primi, e non nei secondi. Un sillogismo socio-giuridico che diventa una trappola.
Resta il dubbio che se un anno fa l’Europa si fosse ribellata contro l’accordo tra Ue e Turchia, la retorica di Trump non avrebbe forse trovato spazio. E che se Trump non avesse vinto le elezioni e adottato il Muslim Ban, i nostri governanti europei non avrebbero neanche osato proporre un accordo con un paese in guerra, devastato dalle milizie, come la Libia per bloccare i migranti.
Ma oggi pare che l’Europa anti Trump abbia già accettato come destino inesorabile l’accordo tra Bruxelles e Tripoli.
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