L’Europa sull’Irlanda del Nord sta sbagliando tutto
I leader Ue puntano sulla permanenza dell’Ulster nell’Unione tramite la riunificazione irlandese, ma questo può avere conseguenze negative. Il commento
Il confine tra l’Irlanda (Eire) e l’Irlanda del Nord è il confine fisico più delicato che divide il Regno Unito con l’Europa. Oltre 300 miglia di frontiera che – in nome della Brexit e in assenza di un accordo tra Regno Unito, Ue e Nord Irlanda – potrebbero creare un blocco inedito tra i due paesi. Con ricadute sociali, politiche ed economiche imprevedibili.
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La situazione ha iniziato a interessare anche l’Unione europea, che ha fatto recapitare a Theresa May le linee guida (respinte poi dalla prima ministra) sull’uscita del Regno Unito dall’Ue.
Con una posizione netta dell’Europa sul fronte dell’Irlanda del Nord: in caso di riunificazione con l’Irlanda, il nord dell’isola, oggi britannico, potrà entrare nell’Unione. Un discorso in apparenza logico, frutto del braccio di ferro negoziale con il governo di Theresa May, che in realtà nasconde un dato inquietante: la posizione disinvolta di Junker e Tusk sul tema del referendum sulla riunificazione delle due Irlande.
Avallato dal partito nazionalista irlandese Sinn Féin come battaglia politica ed elettorale, la possibilità di una consultazione per riunire Sud e Nord è contemplata dall’Accordo del Venerdì Santo, il patto di non belligeranza firmato quasi vent’anni fa tra cattolici e protestanti. Ma sorprende l’avventatezza dei vertici istituzionali europei nell’utilizzare l’Ulster come tema di scontro nei confronti della May e della sua hard-Brexit.
La permanenza nell’Unione porta all’Irlanda del Nord enormi benefici, vero: nell’ultimo round di finanziamenti europei l’Irlanda del Nord ha ricevuto 2,5 miliardi di sterline e ulteriori due miliardi sarebbero stati concessi entro il 2020. Al referendum gli elettori nordirlandesi si sono espressi per il 55 per cento contro la Brexit, vero.
Ma una battaglia sulla riunificazione dell’Irlanda avallata dall’Europa perché, ora, è in contrasto con il Regno Unito è sbagliata. Ancor più sbagliato è dare l’impressione che il “cambio di Stato” dell’Irlanda del Nord sia frutto di una macchinazione istituzionale tesa a condizionare un’eventuale voto popolare.
L’annessione all’Eire avrebbe ricadute sociali imprevedibili, in una regione dove oltre la metà della popolazione è protestante, si sente inglese e mai accetterebbe di perdere la propria identità nazionale. Soprattutto in quei quartieri operai lealisti, sparsi su tutto il territorio (Shankill Road a Belfast, per esempio), dove sono ancora attivi paramilitari e cellule terroriste.
Non solo. Un sondaggio realizzato da Ipsos Mori per la Bbc ha mostrato un risultato chiaro: il 63 per cento dei nordirlandesi vuole restare inglese, il 22 per cento si vuole annettere all’Eire, il 13 per cento ancora non lo sa.
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