ESCLUSIVO – Parla il dissidente turco Osman Kavala: “Erdogan e Putin sono simili, ma l’Ue non sbagli con il Sultano”
È in prigione da 4 anni per un processo politico che gli è costato l’ergastolo. Il presidente turco lo definisce un “uomo di Soros”. Ma l’editore incarcerato avvisa l’Ue: “Non imponete sanzioni al Sultano”. A TPI Osman Kavala rilascia la prima intervista concessa all’estero dalla sua condanna avvenuta a fine aprile. Direttamente dal carcere di massima sicurezza di Silivri, a Istanbul
È il più acerrimo nemico di Recep Tayyip Erdoğan, almeno a quanto sembra dalle dichiarazioni del presidente turco che l’ha definito un “uomo di Soros”. Come se questo fosse un crimine. Osman Kavala è in carcere dal 2017. Per oltre quattro anni, l’imprenditore turco è rimasto dietro le sbarre senza aver mai subito alcuna condanna. Poi il 25 aprile scorso la 13esima sezione dell’Alta corte penale di Istanbul gli ha comminato l’ergastolo aggravato – senza possibilità di riduzione della pena – per eversione.
Il verdetto ha visto la condanna a 18 anni di reclusione di altre sette persone, ma è stato adottato a maggioranza. Uno dei magistrati del collegio giudicante (recentemente trasferito ad altra sede, con tanto di polemiche politiche) aveva infatti optato per l’assoluzione, sostenendo che non ci fossero prove sufficienti per condannare gli imputati. Esattamente quanto affermano la difesa, le organizzazioni come Amnesty International e centinaia di attivisti per i diritti umani in Turchia. Senza contare la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che sin dal dicembre del 2019 chiede il rilascio dell’editore dal carcere di massima sicurezza di Silivri, dove oltre agli oppositori politici sono detenuti anche terroristi e criminali condannati per reati gravissimi. Dapprima accusato di aver fomentato le proteste di Gezi Park a Istanbul nel 2013 e poi di aver partecipato al tentato golpe militare del luglio 2016, orchestrato secondo Ankara da un’organizzazione islamica di cui non ha mai fatto parte, Kavala ha sempre protestato la propria innocenza. Tutto è cominciato nel 2013 a piazza Taksim, dove l’imprenditore tentò una mediazione tra la polizia e i manifestanti che volevano impedire l’avvio di un progetto edilizio nel piccolo parco del distretto di Beyoglu a Istanbul, . Allora l’editore, impegnato sin dagli anni Novanta a promuovere i diritti umani, non fu arrestato. Conobbe il carcere solo nell’ottobre del 2017, sull’onda della stretta repressiva seguita al fallito golpe del luglio 2016 con cui il governo di Erdoğan ha giustificato l’epurazione di migliaia di persone a colpi di licenziamenti e arresti, fino alla trasformazione della Turchia in una repubblica presidenziale. Tra le vittime figura anche il fondatore della Anadolu Kültur, un’associazione che mira a costruire ponti tra i vari gruppi etnici e religiosi turchi sostenendo iniziative a favore della diversità culturale, che Erdoğan ha definito «l’uomo di Soros in Turchia» e «il coordinatore» delle proteste anti-governative del 2013, che non sono mai state dimenticate. Non a caso, dopo la condanna degli imputati, in aula è risuonato il dissenso: «Ovunque Taksim, ovunque resistenza!».
A distanza di due mesi dal verdetto, attraverso i suoi avvocati, Osman Kavala ha rilasciato a TPI la prima intervista concessa all’estero dalla sentenza di condanna. Direttamente dal carcere di massima sicurezza di Silivri:
Recep Tayyip Erdoğan l’ha descritta come il “George Soros della Turchia” e sembra molto preoccupato dal vederla, un giorno, tornare in libertà. Perché è così interessato al suo caso?
«Il Presidente può avere dei motivi personali per volermi dietro le sbarre. Negli ultimi anni ho criticato le decisioni e le politiche del suo governo che ritenevo limitassero i diritti e le libertà civili. Ho criticato lo stato in cui versa la magistratura e anche il sistema presidenziale per la mancanza di efficaci meccanismi di controllo e di adeguati contrappesi istituzionali.
Tuttavia, come indicano le sue ripetute dichiarazioni su George Soros e su di me, credo che il suo particolare interesse per il mio processo sia legato al desiderio di mantenere viva l’immagine delle proteste di Gezi Park del 2013 come una cospirazione animata dall’estero per rovesciare il governo. Ritengo che questo superi ogni altra sua preoccupazione. Visto che non c’erano prove a sostegno di quest’accusa, era necessario inventare una storia che coinvolgesse George Soros, considerato il principale burattinaio dietro le rivolte popolari e i cambiamenti di regime avvenuti nella nostra regione. Siccome ero associato alla Open Society Foundation sostenuta da Soros, mi sono opposto al progetto edilizio a Gezi Park e ho sostenuto i sit-in di protesta, pur non avendo fornito alcun sostegno economico ai dimostranti, sono stato accusato di essere una sorta di agente di collegamento tra il finanziere e i manifestanti. Il presunto coinvolgimento di Soros e del sottoscritto in qualità di suo collaboratore serve non solo a criminalizzare le proteste del 2013, ma anche a stigmatizzare quelle attuali. Ad esempio, gli studenti che hanno manifestato contro il rettore dell’Università Bogazici (Melih Bulu, ndr), nominato dalla politica (con decreto presidenziale del 2 gennaio 2021, ndr), e quelli che hanno organizzato un sit-in chiedendo alloggi adeguati per gli universitari sono stati bollati come dei piantagrane e paragonati ai manifestanti di Gezi Park. A quanto pare, la narrativa delle potenze straniere che attaccano la Turchia per rovesciare il governo sarà sfruttata fino alle prossime elezioni per consolidare il consenso dell’elettorato. Il Presidente incolpa le potenze straniere per l’inasprimento della crisi economica che ne ha gravemente danneggiato la popolarità e sostiene che questi problemi siano iniziati proprio con le proteste di Gezi Park».
Lei è in carcere da oltre 4 anni, quali e quante accuse le sono state mosse in tribunale?
«La mia detenzione crea la percezione che sia colpevole e mantiene viva l’asserzione che Soros fosse il manovratore delle proteste di Gezi Park. Se fossi stato rilasciato, sarebbe stato più difficile sfruttare la narrazione delle potenze straniere che continuano a cospirare contro il governo turco. Al termine del primo processo contro i manifestanti di Gezi Park, la Corte ha assolto me e gli altri imputati. Quando il Presidente ha reagito al giudizio, sono stato arrestato con l’accusa di aver sostenuto il fallito golpe del 15 luglio 2016. Inoltre, per aggirare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che (nel dicembre 2019, ndr) ordinava il mio rilascio immediato, si sono inventati una nuova accusa e sono stato arrestato per spionaggio. Pertanto la mia detenzione è stata prorogata fino all’annullamento dei verdetti di assoluzione e al raggiungimento della percezione del caso che il governo voleva dare all’opinione pubblica, mentre il processo è stato affidato a un nuovo collegio di tre giudici.
Uno di questi è un avvocato che, a quanto pare, si era presentato all’Akp (il partito di Erdoğan) per essere selezionato tra i candidati alle elezioni parlamentari del 2018. Uno che aveva espresso pubblicamente la propria forte ammirazione per la leadership del Presidente. A questo punto, le altre due false accuse non erano più necessarie, quindi sono stato assolto!».
Ad aprile scorso è stato condannato all’ergastolo, ritiene di aver avuto un processo equo?
«Dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016, nella magistratura è stata avviata una massiccia epurazione. Diversi avvocati che avevano legami con il Partito al governo sono stati nominati giudici. Al contempo sono stati promossi in posizioni chiave giudici e pubblici ministeri la cui lealtà politica all’esecutivo era riconosciuta. Il consiglio che decide in merito alle promozioni e ai trasferimenti dei membri della magistratura, presieduto dal ministro della Giustizia, è sotto il controllo del governo. Pertanto, in generale, i processi politici in cui l’esecutivo è parte in causa o ha uno specifico interesse sono condotti secondo le preferenze e le priorità dell’agenda politica. È improbabile che tali procedimenti siano equi».
Qual è l’obiettivo del governo?
«Penso che il ricorso alla magistratura per punire persone ritenute colpevoli di opporsi al governo sia certamente un messaggio alle associazioni della società civile: non devono intraprendere attività che disturbino l’operato dell’esecutivo. Inoltre, serve a mantenere viva la narrativa sul nemico esterno alle porte. Il governo accusa spesso i Partiti di opposizione di essere al servizio degli interessi di potenze straniere. Penso che in un contesto pre-elettorale, al fine di consolidare il consenso dell’elettorato, le politiche che enfatizzano la sicurezza andranno di pari passo con questa narrativa».
Erdoğan è considerato un leader autoritario in Europa, qual è la differenza con Vladimir Putin?
«Entrambi hanno punti di vista e atteggiamenti simili riguardo i diritti civili e le norme universali della democrazia e del diritto. Entrambi considerano le richieste e le critiche provenienti dall’Occidente sul rispetto dei diritti umani come atti ostili, alla stregua di un’ingerenza nelle rispettive politiche interne. Entrambi accusano l’opposizione di schierarsi con le potenze occidentali. Tuttavia, le strutture politiche e le dinamiche dei due Paesi sono diverse. Erdoğan collabora con il partito nazionalista Mhp per assicurarsi la maggioranza in Parlamento. Il leader di questo movimento (Devlet Bahçeli, ndr) ritiene la lotta contro i nemici dello Stato molto più importante della tutela dei diritti e delle libertà civili. Inoltre, sostiene che il partito filo-curdo Hdp dovrebbe essere bandito per la sua vicinanza al Pkk e che la Corte costituzionale debba essere chiusa perché le sue decisioni relative ad alcune istanze individuali in materia di violazioni dei diritti siano troppo tolleranti con quelle che definisce attività sovversive. Ha anche proposto il mio espatrio dal Paese. D’altra parte, come dimostra la vittoria dei candidati di opposizione in quasi tutte le grandi città alle ultime elezioni amministrative, in Turchia l’opposizione è forte. È possibile che il sistema presidenziale, che conferisce poteri eccessivi al capo dello Stato e che è privo di efficaci meccanismi di controllo e di adeguati contrappesi istituzionali, possa essere modificato all’indomani delle prossime elezioni politiche, in caso di vittoria della coalizione di sei partiti di opposizione».
Ue, USA e Consiglio d’Europa dovrebbero imporre sanzioni contro il governo di Erdoğan?
«Il Consiglio d’Europa ha già avviato una procedura di infrazione e ha incaricato la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di valutare se le autorità turche avessero adottato o meno le misure necessarie per rispettare la sentenza del 2019. Se la Cedu dovesse riscontrare una sua violazione, cosa molto probabile, il Consiglio d’Europa potrà imporre una sanzione alla Turchia ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale provvedimento avrà un peso politico e simbolico, ma il Consiglio non possiede strumenti per sanzionare economicamente e finanziariamente il governo.
Non sono sicuro però che, in questo momento, eventuali sanzioni economiche da parte di Ue e Usa possano aiutare a migliorare il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in Turchia, soprattutto mentre il Presidente ricorre spesso a una retorica basata sull’ostilità delle potenze straniere, con cui cerca di spiegare l’inasprimento della crisi economica. È chiaro che continuerà a proporre questa narrativa fino alle elezioni del prossimo anno. Ma, di certo, è estremamente importante che gli interessi strategici dei Paesi occidentali non offuschino le preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani e le politiche repressive contro i membri dell’opposizione in Turchia. Tali questioni dovrebbero essere sollevate in modo efficace negli incontri con le autorità turche. Inoltre, le prospettive di una più stretta cooperazione dovrebbero tenere in debito conto i miglioramenti richiesti in materia di rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e delle libertà civili. Personalmente attribuisco grande importanza alla creazione e al mantenimento di un contesto di relazioni internazionali che ponga tali problemi in cima all’agenda politica».
Pensa che sarà mai rilasciato finché Erdoğan è al potere?
«Partiamo dal presupposto che l’illegittimo verdetto sul caso Gezi Park sarà ribaltata dalla Corte di Cassazione. Tuttavia, questo tribunale non potrà riesaminare la sentenza prima di un anno, ossia prima delle elezioni. È possibile che dopo il voto il Presidente non abbia più bisogno di ricorrere alla retorica del nemico straniero alle porte e di tenermi in carcere. Ma penso che il candidato unitario dei sei partiti di opposizione avrà maggiori possibilità di vincere. Questi partiti hanno espresso il loro impegno a ripristinare una repubblica parlamentare e l’indipendenza della magistratura. Se questo accadrà, non solo io, ma centinaia, persino migliaia di persone messe dietro le sbarre senza prove adeguate, potrebbero riconquistare la propria libertà».