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Ecco perché prendersela con Charlie Hebdo non serve a nulla

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Ecco perché prendersela con Charlie Hebdo non serve a nulla

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan fa inconsapevole auto-satira sulla vignetta di Charlie Hebdo che lo riguarda: “Non ho neppure guardato questa caricatura, perché mi rifiuto di dare importanza, anche solo per curiosità, a queste pubblicazioni immorali. La mia rabbia non è dovuta all’attacco ignobile contro la mia persona, ma agli insulti contro il Profeta”. La vignetta in questione ci restituisce l’immagine di un gran capo di governo che sbircia di sbieco un sedere disegnato presentando un’excusatio non petita. Tanto da sporgere querela per due chiappe. O meglio da sporgere le chiappe per una querela.

È infatti una bella trappola quella che ha acchiappato, è il caso di dirlo, il semi-dittatore. I veri potenti (finché lo sono) si beano della satira. Se ne lamentano solo quando è iniziata la discesa. La giustificazione non richiesta del sovrano di Ankara (“Lo faccio per il Profeta, non per me”) ci mostra che il problema invece è proprio la vicinanza tra il suo faccione e le natiche in una pericolosa ineluttabile assimilazione. Ciò che lo sconvolge è la rappresentazione della sua nudità di fronte al desiderio sessuale, che nell’Islam tradizionalista è considerato malvagio come lo è ancora in certo Cristianesimo. È la sua reductio ad Hominem, l’abbattimento del recinto sacro del potere, che lo ferisce.

Già, perché Erdogan, nonostante la sua immagine laica, si è fatto anche un po’ Pontefice, incarna uno spirito profondo ancora verticale, gerarchico, autoritario, che anima le religioni tradizionali. L’illuminismo aveva già da tempo in pancia invece il Cristo-uomo, morto e deriso, senza ambizioni di sacralità. Il Cristianesimo è l’ultima delle religioni: dopo Gesù di Nazareth, Dio non è più assoluto. E diventa sempre più difficile predicarlo tale. Il relativismo cui sono ispirate le nostre Costituzioni occidentali è una presa d’atto della religione come fenomeno storico circoscrivibile. Come posso predicare il mio Dio assoluto se altri sei miliardi di persone ne predicano un altro? O uccido tutti o divento matto e, come accade in Francia drammaticamente in questi giorni, a volte le due cose coincidono.

Ci stiamo mettendo duemila anni ma, anche non volendolo, finiremo per ascoltare tutti Cristo: chi vuol cercare Dio lo troverà solo nella coscienza e non più in un covo di mattoni o nella carta di un libro. Ma la guerra è ancora lunga. Charlie scende in battaglia con l’empito del volontario che offre il petto. L’illustrazione fantastica rende ottuse e quasi tenere le sembianze del caudillo turco. Ritraendolo nell’intimità ce lo restituisce uomo volgare, in senso nobile, con cui trovare sintonia. Il testo forse non gode della stessa spontaneità del disegno. “Ouuuhu il profeta” fa ridere perché siamo in molti a venerare ciò che comincia dall’osso sacro, ma l’intenzione è volutamente provocatoria; non coglie la goccia del potere prima che trabocchi, la va a stanare dentro il vaso.

Ma sono sottigliezze: il conflitto è duro e occorre ancora una volta e per sempre essere “Charlieri” con tutti noi stessi. E che la provocazione sia molto potente, lo dimostra in modo lampante la querela. Erdogan si rivolge ad un’autorità, si appella a chi tutela la libertà di espressione. Si spoglia frignante del suo potere assoluto per implorare ascolto laico. Viecce Recep Tayyip, continueremo a prenderti per le natiche fino all’ultimo versetto che emetterai.

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