Emirati Arabi Uniti: 43 dissidenti condannati all’ergastolo per “terrorismo”
Il processo era cominciato in sordina durante la Cop28
Quarantatré dissidenti sono stati condannati all’ergastolo negli Emirati Arabi Uniti per “terrorismo”. La condanna, annunciata oggi dall’agenzia di stampa ufficiale Wam, è arrivata al termine di un processo penale fortemente criticato sia dalle Nazioni Unite che da diverse organizzazioni a difesa dei diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch.
La Corte d’appello federale di Abu Dhabi, si legge nel lancio dell’agenzia Wam, “ha condannato all’ergastolo 43 imputati per il reato di costituzione e gestione di un’organizzazione terroristica”. Il procedimento vedeva tra gli accusati 84 persone.
A cinque imputati sono state comminate condanne fino a 15 anni di reclusione, mentre altri cinque accusati sono stati condannati a scontare 10 anni di carcere. Altri 24 imputati invece hanno visto il proprio caso archiviato. Secondo l’accusa, i condannati erano coinvolti in attività legate alla Fratellanza Musulmana, considerata un’organizzazione terroristica negli Emirati Arabi.
“Queste condanne lunghe ed esagerate sono una presa in giro della giustizia e sono un altro chiodo nella bara per la nascente società civile degli Emirati Arabi Uniti”, ha commentato Joey Shea, ricercatore di Human Rights Watch nel Paese. “Gli Emirati Arabi Uniti hanno trascinato decine dei suoi più impegnati difensori dei diritti umani e membri della società civile in un processo spudoratamente iniquo, costellato di violazioni del giusto processo e accuse di tortura”. Il verdetto è stato criticato anche dall’Emirates Detainees Advocacy Center, associazione fondata a Istanbul da alcuni dissidenti in esilio, e da Amnesty International.
“Gli Emirati Arabi Uniti devono revocare al più presto questo verdetto illegittimo e rilasciare immediatamente gli imputati. Il processo è stato una spudorata parodia della giustizia e ha violato molteplici principi fondamentali del diritto, tra cui il principio per cui non si può processare la stessa persona due volte per lo stesso crimine e il principio per cui non si possono punire le persone retroattivamente in base a leggi che non esistevano al momento del presunto reato”, ha commentato Devin Kenney, ricercatore di Amnesty International negli Emirati Arabi Uniti. “Processare 84 cittadini degli Emirati contemporaneamente, tra cui 26 prigionieri di coscienza e noti difensori dei diritti umani, è un esercizio malcelato di punizione dei dissidenti, ulteriormente macchiato da una miriade di violazioni del giusto processo, la più grave delle quali è rappresentata dalle accuse non indagate di tortura e altri maltrattamenti”.
Secondo Amnesty, “gli imputati sono stati tenuti in isolamento prolungato, privati di ogni contatto con le proprie famiglie e con i loro avvocati e sottoposti a privazione del sonno attraverso l’esposizione continua a musica ad alto volume”. “Non è solo il verdetto, ma l’intero caso che prende in giro lo stato di diritto”, ha aggiunto Kenney. “Questo caso dovrebbe essere il chiodo sulla bara dei tentativi degli Emirati Arabi Uniti di mascherare i loro orrendi abusi dei diritti umani dietro una facciata progressista”.
Il processo era cominciato durante la COP28, la conferenza internazionale sul clima tenuta a Dubai dal 30 novembre al 13 dicembre dello scorso anno. L’intero procedimento, cominciato meno di un mese dopo essere stato notificato agli accusati, è stato tenuto segreto, così come l’atto di incriminazione, le accuse contro gli imputati, l’elenco dei legali coinvolti e persino i nomi degli incriminati, poi diventati solo parzialmente noti grazie a una serie di fughe di notizie.
Secondo Amnesty, tra gli imputati noti, 67 su 72 (il 93 per cento) era già stato processato con le stesse accuse nell’ultimo procedimento di massa istruito contro decine di dissidenti tra il 2012 e il 2013. “Quasi la metà (34 su 72) sono firmatari della petizione pro-democrazia del marzo 2011 che ha spinto le autorità degli Emirati Arabi Uniti a intraprendere l’attuale corso repressivo”, denuncia l’organizzazione. “La stragrande maggioranza degli imputati, 60 su 72 (l’83 per cento), ha già scontato più della pena comminata durante il processo precedente”.