“La polizia ha ucciso mia figlia: ora noi afroamericani dobbiamo tutti votare Biden, anche per lei”
“Dovete tutti andare a votare, perché lei non può più farlo”. La madre di Breonna Taylor, l’afro-americana uccisa dalla polizia a Louisville e divenuta simbolo delle proteste del movimento Black Live Matters, fa un discorso che riassumibile in questa unica frase, dopo essere arrivata dal Kentucky per parlare alla folla radunata davanti al Trump International Hotel a New York. Niente lacrime e un sorriso largo come una prateria. A tenerle la mano c’è il padre di Jacob Blake, afroamericano paralizzato da otto colpi alla schiena sparati dalla polizia di Kenosha nel Wisconsin: indossa un basco alla Black Panter e una felpa con un indiano Sioux. Tuona alla folla di bussare ad ogni porta, “every damn door” e trascinare ogni afroamericano al voto.
In un video divenuto celebre, Jacob Blake Senior, davanti alla stampa di tutto il Paese radunata davanti alla sua porta alcuni giorni dopo la sparatoria in cui è rimasto coinvolto il figlio, recitava un versetto del corano in arabo, lingua che non parla ma che usa per pregare. Non esattamente l’immagine dell’elettore democratico medio. Non a caso, non una sola volta in oltre tre ore di arringhe e slogan urlati davanti agli specchi della Trump Tower viene fatto il nome di Joe Biden, o di Kamala Harris, nessuno nella folla radunata porta neanche una spilletta o un cappellino dei Dem. Eppure il messaggio è chiaro: andate alle urne e votate e, ça va sans dire, votate democratico.
L’evento è parte di un tour del paese chiamato “State of Emergency”, che toccherà diversi stati da qui alle elezioni e che ha come obiettivo quello di convincere i “depressed voters” come vengono chiamati, gli afroamericani che ritengono il voto inutile e che sentono di non avere più rappresentanza, fenomeno più ampio nelle città del nord che nelle comunità del sud. La comunità afroamericana infatti è spaccata principalmente in due, tra chi vota democratico e chi non vota. Ma la demografia parla chiaro: se l’opera di convincimento dovesse funzionare, porterebbe una valanga di voti in stati chiave che assicurerebbe a Biden una vittoria senza appello.
Ma perché un movimento radicale e rivoluzionario che chiede “reparations”, ovvero un programma economico e culturale di supporto alle comunità afroamericane per ripagare i danni inflitti con la schiavitù e la discriminazione, e l’abolizione del sistema attuale di polizia, scende in piazza a raccogliere voti per il bianco, moderato e settuagenario Joe Biden? La risposta non è certo Kamala Harris, che per quanto donna e nera ha un CV da procuratore distrettuale che, se possibile, la rende ancora più invisa ai manifestanti di BLM. Stando a uno studio della Princeton State University, nessun candidato repubblicano ha mai ricevuto un consenso superiore al 13 per cento dalla comunità afroamericana. La risposta sta nella storia del processo di emancipazione delle comunità afroamericane negli stati del sud e nella presenza dei loro leader nelle amministrazioni locali con le liste del Partito Democratico.
Se prima degli anni Sessanta il voto nero era sparso e poco incisivo, con l’inizio della battaglia dei Civil Rights portata avanti dai democratici si è andato a creare un blocco monolitico di voti, che oggi va a perdersi solo in direzione del non voto. L’appartenenza al Partito Democratico viene trasmessa in casa e negli spazi di preghiera nelle contee del sud dove razzismo e discriminazione spesso rendono ancora le comunità impermeabili tra loro. Il Partito Democratico è per molti afroamericani l’unica via di accesso ad una rappresentanza politica locale, ad una protezione economica e legale per la propria comunità. Il voto afroamericano democratico del sud infatti è un voto generalmente poco progressista. Testimonianza ne è la vittoria di Joe Biden alle primarie su Bernie Sanders, che invece ha convinto molto i giovani urbani del nord.
Queste, quindi, le ragioni dietro al rush finale dei militanti di Black Lives Matters, che battono le periferie delle città grandi dove le comunità si sfilacciano e l’indifferenza prevale e bussano ad ogni porta per ricordare l’importanza del voto democratico È qualcosa in più di una versione americana del “turarsi il naso e votare DC”, è un voto di sopravvivenza e di comunità, è un voto strategico per le rappresentanze locali che ogni giorno si trovano a dover combattere sui budget cittadini per la presenza di politiche di supporto alle proprie comunità, a chiedere l’abolizione di leggi che lasciano mano libera alla polizia e a denunciare tribunali che garantiscono impunità sistematica agli agenti coinvolti in atti di violenza e abusi. Non è un voto a Biden o a Harris, è un voto al partito, perché quando hai lo stato contro avere un partito è importante.
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