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Joe Biden: può essere lui l’anti-Trump?

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È uscito vincitore dal Super Tuesday delle primarie e adesso l'esponente moderato dei dem è lanciato verso le elezioni presidenziali Usa di novembre: l'ex vicepresidente di Obama può davvero insidiare Trump?

Elezioni Usa 2020, Joe Biden: può essere lui l’anti-Trump?

Nel 1974 Time Magazine pubblicò una sezione dal titolo “200 volti per il futuro”: tra di loro figurava un giovane senatore dello stato americano del Delaware, poco più che trentenne. Al fianco di meteore e false promesse, quel giovane senatore avrebbe negli anni costruito una delle più lunghe carriere nel Congresso americano, sarebbe stato vice-presidente degli Stati Uniti per due mandati, e dopo l’ultimo Super Tuesday, sembra destinato a essere l’uomo che se la vedrà contro Donald Trump per occupare lo studio ovale della Casa Bianca. Inutile dire che quel giovane senatore poco più che 30enne si chiamava Joe Biden.

Sono passati ormai 46 anni da quanto quel giovane senatore del Delaware era visto come una giovane promessa, e oggi, che quella promessa si è fatta realtà, il 77enne Biden ha letteralmente dominato la notte elettorale del Super Tuesday, diventando il più votato tra i candidati democratici in queste primarie, nonché primo per numero di delegati. Un dato apparentemente scontato, visto il cursus honorum di Biden: 36 anni passati a rappresentare il Delaware in Senato, due mandati da vicepresidente. Eppure, dopo una campagna elettorale caratterizzata da gaffe e incertezze, dopo una grande delusione nelle prime consultazioni in Iowa, New Hampshire e Nevada, c’era chi stava parlando di un naufragio della sua campagna elettorale, che avrebbe potuto lasciare campo libero al suo principale rivale, Bernie Sanders, senza che la parte moderata del partito, di cui Biden è esponente, potesse trovare tra gli altri candidati in campo un sostituto all’altezza.

Dopo una campagna elettorale fatta di gaffe durante i dibattiti – lo stesso Biden si era definito una “gaffe machine” – e parole messe fuori posto, che avevano sollevato tra i media i problemi circa l’età di Biden, 77 anni, vista da alcuni come troppo avanzata per sostenere una campagna elettorale, dopo le prime prestazioni deboli, “Sleepy Joe”, come lo ha soprannominato Donald Trump, sembra essersi risvegliato, e la svolta è stata il voto alle primarie del 29 febbraio in South Carolina.

Nello stato del sud il grosso dell’elettorato democratico è composto da afroamericani, un gruppo etnico generalmente vicina ai candidati dell’establishment democratica e che sembrava essere destinata a sostenere Biden in queste elezioni, ma l’inizio traballante della campagna dell’ex senatore del Delaware sembrava aver messo in dubbio questa apparente certezza. Con Biden in difficoltà, Micheal Bloomberg, che sarebbe entrato in partita al Super Tuesday, stava corteggiando il voto afroamericano, mentre Bernie Sanders, storicamente in difficoltà in questa parte di elettorato, sperava di trovare il modo di recuperare e anche altri candidati, come l’imprenditore Tom Steyer, avevano provato a occupare uno spazio che sembrava destinato a rimanere libero.

 

Nonostante i timori della vigilia, Biden ha ottenuto in South Carolina una vittoria netta che ha rappresentato una vera svolta nel caotico andamento delle primarie, portando al ritiro in 48 ore di Tom Steyer, Pete Buttigieg ed Amy Klobuchar, che di fronte a un Biden forte – al contrario loro – nell’elettorato afroamericano hanno visto in lui l’unico in grado di catalizzare su di sé i consensi della cosiddetta moderate lane. Il rafforzamento di Biden, inoltre, ha fermato in partenza ogni tentativo di Bloomberg di entrare in gara in una situazione particolarmente caotica al Super Tuesday, passando come colui che sarebbe stato in grado di mettere ordine e catalizzare su di sé tutto il consenso contrario a Sanders.

Il Super Tuesday, infatti, non è stato per Biden solamente il giorno in cui ha ottenuto il consenso dei candidati uscenti: Biden si è realmente attestato come attuale frontrunner delle primarie democratiche, non limitandosi a vincere negli stati del sud a maggioranza afroamericana in cui era dato favorito, ma battendo Sanders in Texas, uno dei principali terreni di scontro del Super Tuesday, in Minnesota – complice l’endorsement di Amy Klobuchar -, dove quattro anni fa Sanders aveva sconfitto Hillary Clinton, e in Maine e Massachusetts, due stati del New England in cui sembrava esserci terreno fertile per la vittoria di Sanders. Un risveglio dopo una partenza che sembrava disperata.

Rialzarsi dopo le difficoltà è qualcosa che Joe Biden, purtroppo, ha dovuto affrontare più d’una volta nella sua vita. Torniamo al 1974, quando il Time lo aveva nominato tra i 200 volti del futuro. Erano passati appena due anni da quando Biden, un cattolico di origine irlandese nato in Pennsylvania che non aveva ancora compiuto 30 anni, era stato eletto a sorpresa senatore del Delaware, battendo il repubblicano uscente James Caleb Boggs e divenendo così un nome nuovo e fresco tra i democratici, che lo stesso giorno ricevevano alle presidenziali una delle più sonore sconfitte della loro storia per mano del presidente repubblicano Richard Nixon.

Poco più di un mese dopo, una tragedia immane colpì la famiglia di Biden: sua moglie Neila e i suoi tre figli si trovano in auto, quando vengono travolti dalla vettura di un ubriaco. Neila e la figlia Naomi Christine, di appena 13 mesi, restano uccise, mentre i figli Beau e Hunter sopravvivono, ma sono feriti gravemente. Per Biden, come per chiunque abbia vissuto una situazione del genere,  è un colpo molto duro, tanto che pensa di rinunciare al posto al Senato per prendersi cura dei figli. Sono i membri del Partito Democratico che gli fanno forza e lo invitano a tenere duro, così come anche i figli, che lo invitano ad andare avanti non solo in politica, ma anche nella vita affettiva.

Dopo la difficoltà iniziale, Biden anno dopo anno diede inizio a una lunga e blasonata carriera senatoriale e riuscì anche ad andare avanti sotto il profilo degli affetti, sposando nel 1977 Jill Tracy Jacobs, da cui nel 1981 ha avuto la figlia Ashley. Nel 1988, il senatore del Delaware provò a candidarsi alle primarie dei democratici per candidarsi alla Casa Bianca, ma la campagna non decollò, anche per via dell’accusa di aver copiato un discorso dal leader dei laburisti britannici Neil Kinnock che non lo aiutò a trovare consensi. Venti anni dopo, nel 2008, Biden pensò potesse essere il momento di tentare, un’altra volta, la scalata alla Casa Bianca, con una campagna che aveva come principale punto un cambio di strategia nella guerra in Iraq, ma dopo un magro risultato nei caucus in Iowa decise di fare un passo indietro. Ma stavolta la sua campagna non ebbe esito inutile.

A vincere, in quelle primarie, fu infatti Barack Obama, all’epoca senatore dell’Illinois di appena 47 anni che portò avanti una campagna basata sulla novità e che, secondo alcuni, poteva non avere sufficiente esperienza per fare il presidente degli Stati Uniti. Per questa ragione si decise di mettergli accanto Joe Biden, che nel 2008 diventò così vicepresidente.

Il loro rapporto non fu esclusivamente politico negli otto anni trascorsi alla Casa Bianca: tra i due si sviluppò una sincera amicizia, che si vide anche quando un nuovo dramma colpì la famiglia Biden. Nel 2015, infatti, Beau, il primogenito dell’allora vicepresidente, morì a causa di un tumore al cervello. Di fronte alle ingenti spese mediche che aveva dovuto affrontare per le cure del figlio, Biden aveva pensato anche di vendere la casa di famiglia, ma Obama lo implorò di non farlo, dicendosi pronto a dargli di tasca propria qualsiasi somma gli servisse, come raccontato dallo stesso Biden.

Un rapporto tra presidente e vice-presidente strettissimo, di stima e amicizia reciproche che, secondo i commentatori statunitensi, non ha pari. Un rapporto che può essere raccontato con un momento toccante, avvenuto nel 2017, quando i due si apprestavano a lasciare la Casa Bianca a Donald Trump, e Obama volle sorprendere Biden durante la consegna delle Medal of Freedom, assegnandogli l’alto riconoscimento statunitense “con distinzione” senza preavviso, facendo commuovere l’amico e vice. “Sei stato la prima scelta che ho fatto una volta che sono stato nominato, ed è stata la migliore, non solo perché sei stato un ottimo vice-presidente, ma perché ho guadagnato anche un fratello”, ha aggiunto Obama premiando Biden.

La Presidential Medal of Freedom è la più alta onorificenza americana, e solo tre persone oltre a Biden l’hanno ricevuta “with distinction”: San Giovanni Paolo II, Ronald Reagan e Colin Powell.

Dopo questa lunga carriera, cosa ci si può aspettare oggi da Biden? Il Super Tuesday ha assegnato all’ex senatore del Delaware un vantaggio importante, che dovrà saper gestire contro un accanito avversario come Bernie Sanders, ma se dovesse essere lui il candidato democratico, gli toccherebbe una nuova sfida, quella per la Casa Bianca al presidente Donald Trump.

Non sarà una battaglia facile per Biden come non lo sarebbe per Sanders: Trump è popolare e i democratici sembrano essere divisi tra un’area più tradizionale, quella che sta sostenendo Biden, e una più “socialisteggiante”, vicina a Sanders, che tante volte si sono scontrate, rischiando di sembrare incompatibili tra di loro. Chiunque sia il candidato democratico dovrà prima di tutto superare questa divisione, ma ci sarebbe ancora molta strada da fare.

Trump, infatti, è un presidente popolare che ha portato risultati economici importanti negli Stati Uniti, ma una campagna elettorale tra Trump e Biden potrebbe non giocarsi su questo campo.

L’attuale presidente e il suo potenziale sfidante si sono infatti già toccati nel dibattito pubblico, in una vicenda nota come Ucraina-gate, che vede protagonista Hunter Biden, secondogenito dell’ex vicepresidente. Promettente avvocato, nel 2014 è stato assunto da Burisma, un’importante azienda ucraina di gas naturale, con un incarico che non è stato visto di buon occhio da molti osservatori, tra accuse di stipendi d’oro e timori di conflitti d’interesse in anni in cui l’Ucraina si stava allontanando dall’orbita russa per avvicinarsi a quella statunitense.

Una vicenda che non si è limitata a questo, ma che nel 2019 ha visto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump chiamare il neoeletto presidente ucraino Volodymir Zelensky chiedendogli di indagare sulla famiglia Biden, secondo gli accusatori di Trump facendosi forza con un pacchetto di aiuti all’Ucraina. Una vicenda che è sfociata nell’avvio di una procedura d’impeachment contro Trump che si è poi arenata nel voto al Senato, ma che sicuramente sarà, per entrambe le forze politiche, al centro della prossima campagna elettorale.

Non possiamo ancora sapere chi uscirà vincitore dalle presidenziali di novembre, così come ancora non possiamo sapere con certezza se Biden riuscirà a essere il candidato democratico, pur essendo ad oggi il favorito. Quello che possiamo dire serenamente è che quando nel 1974 il Time Magazine inserì Biden in quelli che ritenne essere “200 volti per il futuro”, fosse per lungimiranza o per semplice fortuna, fece una previsione di tutto rispetto.

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