Elezioni presidenziali in Tunisia 2019: ecco tutti i candidati
Il paese si prepara alla seconda tornata elettorale dall’entrata in vigore della nuova Costituzione nel 2014. Alle urne potranno recarsi sette milioni di aventi diritto, chiamati a scegliere tra 26 candidati
Elezioni presidenziali in Tunisia 2019: tutti i candidati
Conto alla rovescia per le elezioni in Tunisia. Il paese si appresta alle urne per le presidenziali domenica 15 settembre e per le amministrative il 6 ottobre. 6,7 milioni di tunisini si recheranno alle urne per scegliere tra 26 candidati alla presidenza.
L’appuntamento per le presidenziali è stato anticipato dopo la morte del Presidente Beji Caid Essebsi, lo scorso 27 giugno 2019, perché il Presidente ad interim può mantenere legalmente l’incarico per un massimo di novanta giorni, fino al 23 ottobre.
Il contesto politico delle elezioni in Tunisia è caratterizzato da una aspra lotta tra chi vuole portare a termine la rivoluzione del 2011 (la così detta ‘Rivoluzione dei Gelsomini’), e rompere con il passato, e chi desidera la continuità con il vecchio regime. All’interno di questa lotta si inserisce il conflitto tra le forze politiche laiche e quelle islamiche.
In Tunisia, così come nella maggior parte delle ex colonie francesi, il presidente della repubblica viene eletto con un doppio turno molto simile al sistema che elegge il presidente francese: se nessuno dei candidati ottiene la maggioranza più uno dei voti al primo turno, è necessario un ballottaggio tra i due candidati più votati, che quest’anno si dovrebbe tenere il 3 novembre, dopo le elezioni per rinnovare il parlamento che sono fissate per domenica 6 ottobre.
Lo scopo principale dei 26 candidati è conquistare il 30 per cento circa di elettori ancora indecisi, secondo i sondaggi, e convincere i più giovani a recarsi alle urne, mentre si prevede già un alto tasso di astensionismo.
I candidati
Difficile per l’elettore medio tunisino fare la sua scelta tra i numerosissimi candidati visto che si hanno a disposizione poche informazioni sui loro vari programmi.
Si tratta di 26 candidati, in particolare: Mongi Rahoui, Mohamed Abbou, Abir Moussi, Nabil Karoui, Moncef Marzouki, Mohsen Marzouk, Mohamed Nouri, Hechmi Hamdi, Youssef Chahed, Kais Saïed, Elyès Fakhfakh, Slim Riahi, Hatem Boulabiar, Abid Briki, Seifeddine Makhlouf, Mohamed Mraïhi, Mehdi Jomaâ, Hamadi Jebali, Hamma Hammami, Abdelkrim Zbidi, Abdelfattah Mourou, Omar Mansour, Selma Elloumi, Saïd Aydi, Safi Saïd, Neji Jalloul.
71 sono state le candidature rigettate, tra cui quella dell’avvocato apertamente gay, Mounir Baatour, sulla base di irregolarità formali, sulle 97 presentate.
I candidati degni di nota per le elezioni in Tunisia 2019 possono essere ridotti a cinque, anche se solo due di questi riusciranno a concorrere per il ballottaggio.
Nabil Karoui, 56 anni, è un uomo d’affari che si occupa soprattutto di telecomunicazioni e attualmente si trova in carcere accusato di riciclaggio di denaro. Candidato antisistema, il “Berlusconi tunisino”, come lo chiama qualcuno, è dato come favorito dagli ultimi sondaggi.
In grande crescita nei sondaggi è anche Kaïs Saïed, candidato indipendente, professore universitario di diritto costituzionale. Ha 61 anni e anche la sua è una candidatura antisistema, che propone la trasformazione dell’Assemblea Nazionale e promette che non risiederà nella residenza presidenziale di Cartagine. Favorevole alla pena di morte e molto conservatore su diverse questioni, come l’omosessualità, ha un elettorato relativamente giovane, che vede in lui l’integrità che manca a molta classe dirigente tunisina.
Youssef Chahed è il primo ministro dal 2016 e si candida a presidente a capo del Tahya Tounes (Viva la Tunisia), partito da lui stesso fondato dopo la sua esclusione dal partito precedente, l’Ennahdha (Movimento della Rinascita). Nella sua campagna elettorale punta molto sui risultati del suo governo in campo economico, sebbene non del tutto soddisfacenti secondo gli osservatori.
Abir Moussi è la candidata a capo del Partito Libero della Costituzione, collocato molto a destra nell’emiciclo tunisino, e che guarda con nostalgia la dittatura autoritaria di Ben Ali. Considera l’omosessualità un crimine e propone di trattare in modo differente i bambini nati fuori dal matrimonio.
Infine, Moncef Marzouki è stato il presidente della Tunisia dal 2011 al 2014 e riprova a candidarsi, sebbene secondo i sondaggi sembra avere poche possibilità di arrivare al ballottaggio.
Il primo candidato apertamente omosessuale è stato rigettato
Da ricordare la candidatura di Baatour che, anche se rigettata, ha rappresentato una novità assoluta nel mondo arabo – basti vedere il risalto che ha avuto sui media internazionali-, dove l’omosessualità è praticata con discrezione, mai dichiarata e punibile per legge.
La Tunisia non fa eccezione, anche se è uno dei Paesi islamici più all’avanguardia sui diritti umani, in particolare per le donne. L’omosessualità qui è ascritta al reato di sodomia, punibile fino a 3 anni di reclusione.
A seguito della rivoluzione del 2011, è sorta la prima web radio gay ‘Shams Rad’, sostenitrice della battaglia per la depenalizzazione dell’omosessualità. È, infatti, ormai opinione diffusa tra la popolazione che l’essere gay non debba costituire reato.
Baatour fa parte di un pool di giuristi che si sta battendo affinché l’articolo 230 che punisce l’omosessualità venga cancellato dal Codice Penale della legge tunisina.
Elezioni in Tunisia, il contesto
Queste sono le seconde elezioni libere e democratiche in Tunisia dopo il 2011. Le prime si sono svolte dopo l’ondata delle primavere arabe che hanno coinvolto quasi tutto il nord Africa e hanno destituito il precedente presidente-dittatore Ben Ali, in carica ininterrottamente dal 1987.
Alle elezioni presidenziali del 2014 riuscirono ad accedere al ballottaggio il presidente uscente dell’epoca, Moncef Marzouki, e Beji Caïd Essebsi a capo di un’ampia alleanza chiamata Nidaa Tounes (Appello della Tunisia).
Anche se nel 2014 i candidati erano 27, queste nuove elezioni si presentano diverse e più complesse: sulla scena politica c’è infatti la presenza di almeno due movimenti populisti, capitanati dal magnate Nabil Karoui e da Abir Moussi, che in maniera diversa approfittano della difficile situazione politica ed economica per costruire il loro discorso politico.
Inoltre, alcune importanti modifiche attuate alla carta costituzionale nel 2014 hanno depotenziato i poteri del presidente della repubblica a favore del presidente del consiglio dei ministri e del suo governo, che è nominato e votato dal parlamento.
In particolare, il nuovo articolo 77 prevede che il capo dello stato abbia la responsabilità di rappresentare lo Stato e di definire politiche generali nei settori della difesa, degli affari esteri e della sicurezza nazionale, previa consultazione con il capo del governo.
Il premier ha anche il potere di sciogliere il parlamento, di presiedere il Consiglio di sicurezza nazionale e di garantire l’alto comando delle forze armate, di dichiarare guerra e concludere la pace.
Non basterà dunque seguire questa tornata elettorale per capire chi comanderà per i prossimi cinque anni in questo Paese strettamente connesso con l’Italia per le sue politiche energetiche e migratorie.