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Elezioni nel Regno Unito tra Brexit e Ue: una guida

Le elezioni del 12 dicembre nel Regno Unito decideranno la Brexit, il futuro del Paese e quello dell'Unione Europea. Tutto quello che c'è da sapere sui candidati, i favoriti, i sondaggi e i possibili scenari

Elezioni nel Regno Unito: una guida

Il Regno Unito torna giovedì 12 dicembre torna al voto per eleggere i 650 membri della Camera dei Comuni, che andranno a comporre il 58esimo Parlamento.

Sono elezioni anticipate, convocate dal Parlamento a soli due anni dal 2017. Questa volta la posta in gioco non è ‘solo’ il governo del Paese, ma anche il destino della Brexit. La speranza del premier conservatore, Boris Johnson, è quella di conquistare una netta maggioranza, in modo da superare lo stallo parlamentare per gli accordi con l’Ue: ad oggi, la scadenza per uscire dall’Unione europea è il 31 gennaio.

I candidati delle Elezioni nel Regno Unito 2019

Il partito favorito è il Partito Conservatore, dato dai sondaggi oltre il 40 per cento e guidato dal primo ministro uscente Boris Johnson. In questa campagna elettorale, i conservatori hanno puntato su una posizione chiara su Brexit e su un programma economico più orientato alla spesa e all’inclusività che in passato, come nel caso delle promesse di investimenti nel campo della sanità.

Sull’altro fronte il Labour guidato da Jeremy Corbyn che, secondo i sondaggi, ha poche probabilità di conquistare una maggioranza. Potrebbe però cercare di mettere insieme una coalizione, in seguito alla quale rinegoziare in termini più morbidi e europeisti l’intesa per la Brexit. Il partito ha un programma economico e politico molto più radicale che, oltre a un massiccio aumento delle spese e degli investimenti, include anche la promessa di nazionalizzare una serie di servizi pubblici, di far partire un grande piano di edilizia popolare e l’inclusione dei rappresentati dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle grandi società.

Dietro ai due partiti principali ci sono le formazioni minori che non hanno possibilità di guidare il prossimo governo, ma che potrebbero diventare importanti alleati di un futuro esecutivo di coalizione. Il più importante tra questi è il Partito Liberal Democratico, guidato da Jo Swinson (favorevole a cancellare il risultato del referendum su Brexit, ad ogni costo). Seguono il Partito Nazionale Scozzese (SNP), il Brexit Party di Nigel Farage, i Verdi, lo UKIP e i partiti regionali, come il gallese Plaid Cymru, e i nordirlandesi DUP e Sinn Fein.

Elezioni nel Regno Unito, orari e gli exit poll

Le votazioni inizieranno alle 7 di mattina e si concluderanno alle 22 (le 8 e le 23 ora italiana). La Bbc, Itv e Sky News inizieranno a diffondere i primi exit poll.

I media britannici fanno notare che alle precedenti elezioni in quattro casi su cinque si sono rivelati sostanzialmente corretti. C’è però la possibilità che se la forbice dei risultati sarà molto stretta, per avere primi dati consistenti si dovrà attendere l’avvenuto scrutinio di gran parte delle schede, scrutinio che proseguirà fino alle prime ore del mattino successivo.

Alle elezioni del 2017, ad esempio, si dovette attendere la mattina del giorno successivo per avere la certezza che i conservatori non erano riusciti a raggiungere la maggioranza dei seggi. Un risultato ufficiale finale è atteso nella giornata di venerdì 13.

Chi va a votare

Si calcola che saranno circa 45 milioni i britannici ad essere chiamati alle urne per eleggere i prossimi 650 membri della Camera dei Comuni.

Ad avere diritto di voto sono i britannici dai 18 anni in su, compresi i cittadini della Repubblica d’Irlanda e quelli degli Stati del Commonwealth che però abbiano la loro residenza in Gran Bretagna. I cittadini residenti all’estero possono votare solo se nel corso degli ultimi 15 anni si sono registrati a votare.

Il sistema elettorale

Il Regno Unito ha un sistema maggioritario relativo.  Il sistema elettorale britannico è molto particolare e produce spesso risultati bizzarri. Si chiama “first past the post”, che significa in sostanza “il primo prende tutto”. È un sistema maggioritario a collegio uninominale. Significa che in ogni collegio viene eletto il candidato che prende anche un solo voto più del secondo.

In pratica, nel parlamento entra solo il candidato che ottiene il maggior numero di voti nella propria circoscrizione elettorale, i voti del candidato perdente cadono nel vuoto. Questo ovviamente favorisce i due partiti maggiori, ossia i Tories e i Labour, e in passato ha creato equilibri chiari in quanto a rapporti fra maggioranza e minoranza parlamentare (anche se, in realtà, in tempi recenti si è verificata più spesso la situazione dell’hung parliament).

Per questa ragione partiti come i LibDem, che prendono pochi voti ma distribuiti in tutto il paese, non sono molto rappresentati, mentre lo scozzese SNP, che prende in percentuale meno della metà dei voti dei LibDem, ma tutti concentrati in Scozia, risulta quasi sempre il terzo partito più grande del parlamento (anche se è solo il quarto o il quinto in termini assoluti).

Delle 650 circoscrizioni elettorali presenti in Gran Bretagna, 533 si trovano in Inghilterra, 59 in Scozia, 40 nel Galles e 17 in Irlanda del Nord.

Quanto conta la Regina Elisabetta

Sarà la regina Elisabetta II ad incaricare il vincitore delle elezioni a formare un nuovo governo, se dalle urne uscirà una chiara maggioranza. Se invece nessun partito raggiungerà la maggioranza assoluta e si creasse la situazione dell'”hung parliament”, si apriranno le trattative per la formazione di una coalizione oppure per la creazione di un esecutivo di minoranza.

Finora sono dati come favoriti i Tories guidati da Boris Johnson; ma sulla carta la strada per un eventuale governo di coalizione per BoJo sarebbe estremamente impervia, dato che il contrasto tra i conservatori e le altre forze politiche britanniche è netto. L’alleanza che Theresa May fece con il Dup nord-irlandese probabilmente non è replicabile, date le controversie tra questo partito e Johnson, proprio sul tema Brexit.

Elezioni nel Regno Unito: la Brexit al centro

L’uscita dall’Unione Europea è stato il tema che ha dominato non solo la campagna elettorale, ma anche gli ultimi anni di dibattito pubblico britannico. I sondaggi dicono che in buona parte gli elettori hanno basato e baseranno la propria scelta sulle posizioni dei vari partiti su questo tema.

Il Partito Conservatore di Johnson (così come il Brexit Party e lo UKIP) sono per uscire ad ogni costo dall’Unione Europea. I conservatori vogliono approvare l’accordo di uscita sottoscritto da Johnson con l’Unione,f ma molti di loro non hanno nulla contro il “No Deal”, il rischioso scenario di un’uscita senza accordo.

Il Labour promette invece di negoziare un nuovo accordo di uscita dall’Unione, che includa maggiori tutele per l’ambiente e per i diritti dei lavoratori. L’accordo dovrebbe poi essere sottoposto a un secondo referendum in cui sarà data la possibilità di votare per l’uscita con l’accordo o per rimanere nell’Unione.

I LibDem di Jo Swinson promettono che se otterranno la maggioranza revocheranno l’articolo 51, cioè annulleranno Brexit, senza altri referendum o consultazioni. Se non dovessero ottenere la maggioranza, come è oramai certo che accada, dicono di essere aperti all’ipotesi di un secondo referendum.

La posizione dello SNP è simile a quella del Labour: il partito chiede un nuovo referendum su Brexit, ma promette anche che se dovessero vincere i Conservatori e se il paese dovesse effettivamente uscire dall’Unione, proporrà un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal resto del paese.

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