Le elezioni britanniche viste dagli ebrei di Londra
Il voto visto da un quartiere di Londra dove il 40 per cento della popolazione è di religione ebraica, raccontato dal giornalista italiano Davide Lerner
C’è in gioco tantissimo in queste elezioni inglesi, in corso oggi. Potrebbe riproporsi prepotentemente la questione scozzese, con il partito nazionalista che nonostante la sconfitta nel referendum del settembre scorso è in poderosa ascesa.
Potrebbe prospettarsi una resa dei conti sul rapporto inglese con l’Europa, che non è mai stato sereno dai tempi del tardivo ingresso nell’allora Comunità Europea, nel 1973, e che il primo ministro in carica David Cameron vuole mettere ai voti.
C’è in gioco l’ulteriore assottigliamento dello stato britannico e del suo welfare, che Ed Miliband e il partito da lui guidato, il Labour, vogliono salvare da un’estinzione dettata dalla necessità di ridurre il deficit.
Ci sono numerose questioni aperte in vista del voto, come la crisi abitativa, il calo di consensi dei partiti principali che potrebbe mettere in discussione la legge elettorale in vigore che da sempre li avvantaggia, e l’incognita dei nazionalisti xenofobi dello United Kingdom Independence Party (Ukip), arrivati primi alle scorse elezioni europee.
Nessuno di questi temi, però, sarà decisivo nella circoscrizione londinese di “Finchley and Golders Green”, dove The Post Internazionale è andato a scovare la sua storia. Finchley-Golders Green è la circoscrizione un tempo feudo elettorale di Margaret Thatcher, la lady di Ferro idolo dei liberal-conservatori e spauracchio dei socialisti (non pochi celebrarono la sua morte al grido di “the witch is dead” – la strega è morta – nell’aprile 2013).
Oggi la campagna elettorale di questa zona benestante nel nord della capitale si sviluppa su temi del tutto inusitati per un’elezione politica britannica, per di più di quest’importanza. Non l’Europa, non la Scozia, non l’economia: a tenere banco e far discutere i candidati è la politica medio-orientale, la situazione in Israele, e questioni come la macellazione kosher o lo stato delle sinagoghe.
A Fincheley e Golders Green, infatti, la presenza ebraica è così significativa da non avere eguali nel paese: il 40 per cento dei residenti sono ebrei. Le comunità ebraiche, quelle più laiche come anche quelle più ortodosse, sono politicamente attive e rappresentano un bacino elettorale appetibile ai principali candidati del collegio, Sarah Sackman (Labour) e Mike Freer (Tory).
“Non credo che non essere ebreo possa danneggiarmi”, dice a The Post Internazionale Mike Freer, 54 anni, parlamentare uscente di Fincheley e Golders Green con tanta voglia di essere riconfermato, “anzi mi renderebbe più facile il compito di rappresentare le comunità, nessuno potrà dire che farne parte mi rende fazioso”.Freer ha dato battaglia, nell’ottobre scorso, per scongiurare il riconoscimento simbolico della stato palestinese da parte di del parlamento britannico, poi nondimeno verificatosi.
Il settimanale Jewish Chronicle lo ha inserito nella lista delle cento persone più influenti nell’ambito della comunità ebraica inglese, che conta circa 300mila persone.La scelta è stata in parte determinata dal ruolo che Freer ricopre all’interno dei Conservative Friends of Israel, un potente gruppo di pressione legato al partito di David Cameron che promuove gli scambi fra Regno Unito e Israele. Tutto questo, gli chiedo, è frutto del caso o è figlio di un calcolo elettorale legato alla sua circoscrizione?“Io penso a dar voce alle mie idee, se poi queste coincidono con quelle degli abitanti di Finchley, tanto meglio, ma non sono strumentale”, si schermisce Freer.
“Israele è la terra santa dove affondano anche le nostre radici, e comunque io mi faccio spesso vivo con l’ambasciatore israeliano per criticare le politiche del governo di Netanyahu, e sono contro l’occupazione dei territori palestinesi”. “Rimane il fatto”, continua Freer, mentre l’avversaria Sackman (che invece è ebrea) fa campagna in una sinagoga qualche isolato più in là, “che se mi chiedessero si scegliere un Paese mediorientale dove andare a vivere non avrei dubbi: fossi bianco o nero, gay o etero, cristiano, buddista o hindu… andrei in Israele”.Nell’elenco, giunto quasi al vattelappesca, si dimentica dei musulmani. “Anche loro”, si corregge subito, “anche loro stanno meglio lì”.
Un sondaggio suggerisce che il 69 per cento degli elettori ebrei sosterrà i Tories alle elezioni del 7 maggio. Se a livello nazionale conterà poco, potrebbe invece risultare decisivo per Freer a Golders Green.
Proprio qui, nella zona di Londra che sembra Gerusalemme e si colora per le festività ebraiche di Hannukah, Sukkot e Purim, Freer è stato aggredito e minacciato al grido di “maiale omosessuale ebreo”. “Delle vere schiappe”, commenta lui ridendo ora che lo spavento è passato, “ne hanno azzeccate solo una su tre”.
Gay, e sposato da gennaio con l’italiano Angelo Crolla, Freer è stato infatti determinante nello spingere il partito conservatore di Cameron verso la legalizzazione dei matrimoni gay.Celebre in questo senso è il suo discorso in parlamento e il suo “se non ora quando”, guardando negli occhi i colleghi che avevano definito il provvedimento “nauseante solo all’idea”.
Ora Mike si prepara alla prossima battaglia: riconquistare Westminster, nel nome di Israele.