Elezioni Iraq, ha vinto lo sciita estremista al-Sadr: farà un governo tecnico
La coalizione del premier uscente Abadi, appoggiato dalla comunità internazionale, è solo terza: l’Iraq si avvia dunque senza incertezze a riconoscere l’Iran come suo vicino più prossimo
Una certezza c’è. Il risultato delle elezioni politiche in Iraq conferma che questo è stato un voto di protesta: protesta contro i partiti precedentemente al governo, protesta contro le regole di una politica troppo compromessa con gli Stati Uniti, protesta contro un sistema corrotto.
Ha vinto la coalizione sciita estremista dei Manifestanti (al-Sairoon), guidata dal leader religioso Muqtada al-Sadr.
Al secondo posto c’è la coalizione Fatah, guidata da Hadi al-Amiri e composta dai politici più conservatori della Suprema coalizione dell’Iraq.
La coalizione Vittoria dell’Iraq (Nasr Coalition), con a capo il primo ministro uscente, Haidar Abadi, data per favorita alla vigilia, è arrivata solo terza.
Il vincitore, al-Sadr, ha annunciato che il prossimo governo sarà formato da tecnici e che si concentrerà sul sostegno alla popolazione.
“Il nuovo governo iracheno sarà un governo tecnico, non sarà influenzato da interessi politici o economici”, ha scritto il leader su Twitter.
Il 15 maggio 2018 la Commissione elettorale statale ha diffuso i risultati ufficiali preliminari delle elezioni: la coalizione di al-Sadr, di cui fa parte anche il partito comunista iracheno, è in testa in sei province e in seconda posizione in altre quattro.
Il primo ministro iracheno Haider al-Abadi e altri esponenti politici del paese arabo si sono congratulati per la vittoria della coalizione al-Sairoon, che però avrà bisogno dei voti di altri partiti per formare un governo.
Al-Sadr ha fatto capire di non volersi alleare con il movimento Fatih, giunto secondo ed espressione delle Unità di mobilitazione popolare, le milizie sciite legate all’Iran e affiliate all’esercito iracheno.
L’affluenza alle urne è stata del 44,5 per cento, molto più bassa rispetto alle precedenti elezioni.
Quella del 12 maggio è stata la prima tornata elettorale dalla sconfitta del sedicente Stato islamico, avvenuta nel 2017.
Il paese è stato sconvolto dalla guerra con l’Isis dal 2014.
Le coalizioni in corsa sono rimaste quasi del tutto invariate rispetto alle precedenti votazioni.
A scindersi è stato principalmente il fronte sunnita, il più forte in Iraq, rappresentato da cinque coalizioni diverse.
Appena si sono diffusi i risultati ufficiosi della commissione elettorale, nella notte tra domenica 12 e lunedì 13 maggio, i sostenitori di Mottaqa al-Sadr si sono riversati nelle strade di Baghdad, esattamente come accade alla fine di una partita di calcio.
Centinaia di miliziani hanno occupato la larga arteria principale, Karrada, organizzando caroselli di auto e sventolando la bandiera del partito, insieme alle tradizionali immagini del profeta Ali, segno distintivo degli sciiti.
Il risultato era probabile ma non con questo stacco netto, superiore al 35 per cento, punta dell’iceberg di un elettorato astensionista perché insoddisfatto e deluso dalla classe politica irachena.
Il successo dei sadristi, che negli anni dell’occupazione americana erano una milizia efferata, che organizzò parecchi attentati, tra cui quello contro i contractors della compagnia Black Water nel distretto di Mansour, salvo poi rifarsi il pedigree politico con un’abile operazione di make up, ci dice che la coalizione sciita, seppure divisa, resta dominante, con un paio di altri leader che dovranno fare i conti con la spartizione del potere: l’ex premier Nuri al Maliki e Hadi al Amri, leader del partito Fatah.
L’Iraq si avvia dunque senza incertezze a riconoscere l’Iran come suo vicino più prossimo. E lo farà, con buona pace di Trump.