Il boomerang di Trump in Georgia: così la propaganda sui brogli potrebbe regalare il Senato a Biden
La propaganda di Trump sui brogli potrebbe regalare il Senato a Biden
La telefonata in cui Donald Trump ha chiesto al segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, di trovare i voti necessari a sovvertire il risultato ufficiale delle elezioni presidenziali nello stato è solo l’ultimo dei tentativi del presidente uscente di ribaltare l’esito delle elezioni del 3 novembre. In particolare la Georgia è stato uno dei terreni più caldi in cui il Tycoon ha cercato di gettare benzina sul fuoco in questi due mesi, infiammando gli animi dei repubblicani per dimostrare che la vittoria di Biden era stata truccata.
Nello stato che ha dato i natali a Jimmy Carter e Martin Luther King, segnato da una storia di soppressione del voto e razzismo, un presidente democratico non vinceva dal 1992, quando a trionfare fu Bill Clinton. Troppo difficile, per Trump, accettare di aver perso i voti elettorali di questa roccaforte repubblicana, tanto che nell’audio della telefonata di sabato pubblicato in esclusiva dal Washington Post il 3 gennaio Trump afferma: “The people are so angry in Georgia” (le persone sono così arrabbiate in Georgia).
Eppure proprio questo elemento potrebbe avere un effetto boomerang sul Tycoon, perché quei militanti arrabbiati che hanno creduto alla propaganda di Trump potrebbero disertare le urne in virtù del fatto che il sistema elettorale è truccato nella sfida cruciale per il Senato. Domani in Georgia circa 7 milioni di elettori sceglieranno chi tra i quattro candidati in corsa occuperà i due seggi vacanti alla Camera alta del Congresso dopo che alle elezioni del 3 novembre scorso nessuno si è aggiudicato il quorum necessario ad essere eletto. La competizione vede il candidato democratico Jon Ossoff sfidare il senatore repubblicano uscente David Perdue e Raphael Warnock, pastore della chiesa di Martin Luther King, la trumpiana multi miliardaria Kelly Loeffler.
Cosa si giocano democratici e repubblicani in Georgia
La partita è alta perché in Senato il Gop ha la provvisoria maggioranza di 50 seggi contro i 48 dei dem e da quelle due poltrone dipende la possibilità di Biden di amministrare il Paese nei prossimi quattro anni. I democratici infatti godono solo di una risicata maggioranza alla Camera, e al presidente eletto serve che vincano entrambi i candidati per garantirsi una soglia minima di governabilità in Congresso: portandosi a 50 seggi in Senato e raggiungendo i repubblicani, potrà contare sulla vicepresidente Kamala Harris, che è anche la presidente della Camrra alta e che ha facoltà di votare in caso di parità, per far passare leggi. Nel caso in cui a trionfare siano i candidati repubblicani la situazione per Biden si complica, perché i rossi potrebbero bloccare molte delle leggi con cui la nuova presidenza vorrebbe segnare un cambio di passo.
Questo il Gop lo sa molto bene, eppure i messaggi inviati agli elettori nel corso della campagna elettorale potrebbero aver confuso la base del partito tra estremisti e moderati di destra, con una parte di elettorato che diventa sempre più fedele a Trump e meno al partito. Diversi sondaggi mostrano che la maggior parte dei repubblicani crede nel mito della vottoria rubata da Biden, con percentuali che vanno dal 52 all’80 per cento, e sono state moltissime le manifestazioni pro Trump che in questi mesi hanno infiammato le strade di Washington e di altre città al grido “rigged elections”, che culmineranno in quella in programma il 6 gennaio, quando almeno 12 senatori e 100 deputati ostacoleranno la certificazione della vittoria di Biden in Congresso.
L’effetto boomerang della propaganda di Trump in Georgia
A fine novembre un esponente dei repubblicani in Georgia ha dichiarato al New York Times che molti militanti hanno affermato di non voler più votare dopo i brogli del 3 novembre perché “non credono alle elezioni”. L’effetto potrebbe essere disastroso proprio in Georgia perché Trump ha trascorso gli ultimi due mesi ad attaccare i quadri del suo stesso partito in quello stato. Dopo aver presentato due ricorsi per chiedere il riconteggio dei voti, non solo ha accusato i democratici di aver imbrogliato ma ha anche attaccato il governatore a lui fedelissimo Brian Kemp – antiabortista di ferro che incarna i valori più conservatori del partito – di voler proteggere i dem, intimandogli più volte di dirottare i voti del collegio elettorale in suo favore.
Il tutto in un clima di tensione: i funzionari statali, per la maggior parte appartenenti al Gop, hanno ricevuto aggressioni verbali e minacce di morte, tanto che il capo dell’ufficio elettorale Gabriel Sterling, anch’egli repubblicano, in un discorso esasperato pronunciato dopo l’ennesima richiesta di Trump di annullare il voto ha parlato del pericolo che qualcuno restasse “ucciso o ferito”. Ma in questi mesi i due candidati repubblicani al Senato non si sono dissociati pubblicamente dalle dichiarazioni del leader del partito, e hanno anzi difeso le battaglie del presidente uscente, il quale al comizio del 5 dicembre – mentre chiedeva ai cittadini di votare per Perdue e Loeffler – ripeteva anche che “le elezioni erano state truccate”.
Così dopo settimane di lacerante propaganda e di attacchi ai quadri del GOP in Georgia, culminati nelle minacce al segretario di stato contenute nella telefonata di sabato, gli elettori più fedeli al Tycoon potrebbero chiedersi qual è il senso di andare a votare se le elezioni sono state truccate. Se il risultato delle elezioni è già scritto e pilotato dai democratici, per giunta con la complicità dei repubblicani, perché scomodarsi e andare alle urne? E qual è il bisogno di assicurarsi i due seggi in Senato in chiave anti Biden, se alla fine il presunto vincitore non governerà, perché sarà la versione di Trump ad avere la meglio?
Infine, il fatto che l’ex imprenditore di New York si sia circondato di un gruppo di outsider per progettare le sue ultime mosse, abbia invocato manifestazioni popolari e abbia minato la credibilità delle istituzioni democratiche a prescindere dagli schieramenti politici suggerisce che sempre più elettori potrebbero considerare quella di Trump una partita personale che si gioca al di fuori delle Camere, della stessa Casa Bianca e delle urne.
Trump è andato avanti incurante dei consigli dei membri senior del partito e sapendo che coloro che si sono schierati dalla sua parte lo hanno fatto per ingraziarsi l’elettorato galvanizzato dalla sua propaganda. Inoltre molti congressman repubblicani non si opporranno al riconoscimento formale della vittoria di Biden il 6 gennaio. Ma poco importa, perché la battaglia si combatte su Twitter, per le strade e nelle camere della White House occupate da personaggi esterni all’establishment. Un quadro che potrebbe aver ulteriormente sminuito l’importanza dei processi democratici agli occhi della base elettorale, compresi i ballottaggi in Georgia.
La campagna elettorale dei democratici
Il possibile effetto boomerang sulla partecipazione al voto dei repubblicani si scontra con i messaggi inviati in campagna elettorale dai democratici, che in Georgia più che in altri stati puntano sull’affluenza: alle elezioni presidenziali che hanno incoronato Biden si è compiuto un processo che andava avanti da anni, da quando la democratica afroamericana Stacey Abrams ha iniziato a battersi per la registrazione al voto dei neri in uno stato storicamente razzista. Una mobilitazione senza precedenti che ha portato Abrams a candidarsi alla carica di governatore nel 2018 (elezioni perse per poche migliaia di voti) dopo aver cercato di eliminare gli ostacoli che gli strati più poveri della popolazione riscontrano nell’esercitare il proprio diritto al voto.
Ossoff, Warnock e Abrams hanno continuato a far funzionare la macchina messa in piedi in questi anni per garantire che ogni cittadino potesse registrarsi anche per i ballottaggi del 6 gennaio, contando anche sui circa 23mila nuovi elettori che hanno compiuto diciott’anni nel 2020 in un momento in cui l’entusiasmo è alle stelle soprattutto nei sobborghi di Atlanta, che il 3 novembre sono stati decisivi per la vittoria del senatore del Delaware. Da allora 75mila nuovi elettori si sono registrati e 3 milioni di cittadini, il 38 per cento dei votanti, hanno già espresso la propria preferenza tramite il voto a distanza. In un Paese in cui l’alta affluenza premia generalmente i dem. Intanto i due candidati hanno raccolto circa 100 milioni di dollari in piccole donazioni, importanti in una campagna in cui le spese per la pubblicità elettorale ammontano in tutto a 400milioni di dollari sommando i bilanci di entrambi i partiti. Ma per i repubblicani l’investimento potrebbe rivelarsi sprecato.