Le elezioni americane sono la scelta del male minore tra Trump e Clinton
A prescindere dal risultato delle elezioni statunitensi una cosa è chiara, in questa campagna elettorale l’America ha già perso. Il commento da Washington DC
Sono le 10:30 del mattino del 26 ottobre a Washington DC e un gruppo di contestatori aspetta l’arrivo di Donald Trump davanti all’International Trump Hotel, l’hotel di lusso di proprietà del tycoon newyorkese.
La folla non è molto numerosa, ma si fa sentire a colpi di slogan: “Refugees welcome” (i rifugiati sono i benvenuti), “Keep Trump away from nukes” (tenete Trump lontano dalle testate nucleari), “No racism” (no al razzizmo). È il volto dell’America che non ha paura del diverso, ma che in esso trova la sua ricchezza e legittimazione.
Sono giorni di fibrillazione per gli Stati Uniti e questa campagna elettorale sta sfasciando famiglie e amicizie. Mai come in quest’occasione il dibattito è violento, trascende dai programmi elettorali e costringe l’America a guardarsi allo specchio: come si è arrivati a questo punto?
A colpi di scandali avanzano le rivelazioni, le interviste, le supposizioni. Dalle dichiarazioni sessiste di Donald alle email di Hillary non c’è pace e l’opinione pubblica continua a oscillare come un pendolo impazzito a favore dell’uno o dell’altro candidato. Com’è possibile?
Hillary Clinton e Donald Trump sono due personaggi completamente diversi, con idee politiche radicalmente opposte, per non parlare delle attitudini. Teoricamente, con le elezioni che si avvicinano e dopo ben tre dibattiti in cui i due candidati si sono confrontati (e accusati reciprocamente) sulle questioni più disparate, gli americani dovrebbero aver elaborato un’opinione.
Non è così e il motivo è presto detto. Gli americani sono indecisi perché detestano, per un motivo o per un altro, entrambi i candidati. Per capire la realtà di questa campagna elettorale bisogna andare oltre la divisione, sebbene fondata, tra campagna (elettori di Trump) e città (sostenitori di Hillary).
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Basta parlare con le persone per capire che a questo punto per loro votare significa scegliere il male minore. Se da un lato non è difficile individuare i mille motivi per cui non votare Trump, per la candidata democratica la questione è più nascosta e richiede una meticolosità nell’informazione e nella conoscenza delle intricate maglie del sistema politico statunitense.
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La vicenda delle email e la decisione dell’Fbi di non procedere contro la Clinton ha contribuito a coltivare un senso di sfiducia dell’elettorato americano, di per sé scettico e diffidente, nei confronti del governo che appare corrotto, nebuloso e pronto a voltare le spalle all’ideale della trasparenza a cui da sempre gli americani sono legati.
I repubblicani, forse, sono i più delusi e attraversano una fase di crisi. Faticano a fare i conti con il fatto che votare per il loro partito significa votare per un personaggio del genere. Non si capacitano di come il suono del populismo e della volgarità abbia spazzato via i valori storici dei conservatori.
Per la verità questo non l’hanno capito nemmeno i democratici. Il team della Clinton ha ingaggiato un’équipe di psicologi, sociologi e medici per capire Trump e cercare di trovare un modo convincente di sostenere il confronto. In parte ci sono riusciti e hanno elaborato la tecnica di usare gli slogan di Trump come arma contro di lui per ridicolizzarlo e svelarne i contenuti grotteschi.
Tra i manifestanti di oggi c’è un gruppo che sostiene il candidato del partito Libertario, Gary Johnson (che in una recente intervista non ha saputo dire cosa fosse Aleppo). Altri invece, come un signore che indossa una maschera da suino, si dichiarano a favore della candidata dei Verdi Jill Stein, perché sono stanchi della corruzione, degli inciuci e della politica estera aggressiva.
Sono tutti scontenti, ma sanno che le scelte sono soltanto due. A prescindere dalle urne, una cosa è chiara sin da ora: in questa campagna si sa già chi ha perso, ed è l’America.
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*Testo e foto a cura di Giovanna De Maio