Un giovane egiziano racconta quant’è difficile fare obiezione di coscienza nell’Egitto di al-Sisi
Ad Amir Eid, 25 anni, è stata negata la possibilità di viaggiare, studiare e lavorare dopo aver rifiutato di arruolarsi come previsto dalla legge egiziana
Amir Eid vive al Cairo, ha 25 anni e lo scorso 16 ottobre non si è presentato alla convocazione in caserma, decidendo di rendere pubblico il suo rifiuto di arruolarsi con un post su Facebook. Sostiene che il suo sia l’ultimo di nove casi di obiezione di coscienza che dal 2009 si sono verificati in Egitto.
Non è facile per un giovane vivere oggi in Egitto: la repressione della giunta militare guidata dal generale al-Sisi, l’incertezza politica e una libertà individuale sempre più ristretta, sono dinamiche pesanti nella vita di tutti i giorni. Tuttavia, la vita diventa ancora più difficile quando un giovane decide di non presentarsi in caserma per iniziare il servizio militare obbligatorio e dichiara pubblicamente sui social network la sua scelta di obiezione di coscienza.
“Prima, quando c’era Mubarak, era più semplice: ti presentavi alla caserma, e in qualche modo, manifestando la tua volontà di non entrare nell’esercito, ti rimandavano a casa. Mentre oggi, con la dittatura militare, questo non succede, ed è proprio questo che ha portato me ed altri a dichiarare il nostro rifiuto morale alla leva obbligatoria”, dice Amir a TPI al telefono dal Cairo.
L’articolo 86 della costituzione egiziana prevede il servizio militare obbligatorio, regolato dal Military and National Service Act n. 127 del 1980, per tutti gli uomini di età compresa fra i 18 ed i 30 anni per una durata di 3 anni; tale periodo è ridotto a 18 mesi se si è laureati.
Solo alcune categorie di persone sono invece esentate dal servizio obbligatorio, ad esempio chi soffre di problemi di salute fisica e mentale, chi è figlio unico e rappresenta dunque l’unico sostegno economico in un nucleo familiare, o chi ha la doppia cittadinanza. Gli altri sono obbligati a presentarsi alla convocazione, pena l’accusa di diserzione e la condanna a un anno di carcere e al pagamento di una multa; chi fugge all’estero invece non potrà più rinnovare il passaporto egiziano.
Il 25 maggio del 2015, dopo essersi laureato in ingegneria, Amir si è presentato, come previsto dalla legge, in caserma per gli accertamenti medici necessari all’arruolamento, chiedendo l’esenzione dalla leva per motivi familiari. Dopo qualche tempo, il giovane ha ricevuto una risposta positiva sull’idoneità al servizio militare, mentre nessuna indicazione sull’esonero richiesto.
A questo punto è iniziato un calvario di 18 mesi, in cui ad Amir è stata preclusa la possibilità di lavorare e di iniziare un master al politecnico di Milano – dove era stato ammesso – dal momento che le autorità militari non gli hanno rilasciato i documenti necessari.
“Qualche volta mi chiamavano per dirmi che mi sarei dovuto presentare un determinato giorno, poi mi richiamavano e mi dicevano che non mi sarei dovuto più presentare”.
Quando Amir lo scorso ottobre ha ricevuto la fatidica chiamata con la richiesta di presentarsi in caserma, ha deciso di fare obiezione e rendere pubblica la sua scelta.
La legge egiziana non regolamenta il caso degli obiettori di coscienza, né prevede il servizio civile in sostituzione di quello militare; dunque chi si oppone moralmente ad entrare nell’esercito, ha difficoltà a trovare tutele legali. Così in Egitto l’obiettore di coscienza si trova in una precaria condizione d’isolamento.
Qui sotto il video con la dichiarazione di obiezione di coscienza di Amir, sottotitolato in italiano. Il pezzo prosegue dopo il video.
“Ho provato a chiedere a un giornalista mio amico di pubblicare qualcosa riguardo alla mia obiezione; ma quando lui ne ha parlato con il direttore del giornale, questo gli ha risposto che non se ne parlava proprio”, racconta Amir.
Il solo mezzo per diffondere propria storia, secondo Amir, è la stampa internazionale. “Questo è l’unico strumento che possiamo usare; visto che qui non possiamo contare su nessuno, e comunque anche la gente comune ha paura di mostrare solidarietà”.
“Nell’Egitto di oggi tutte quelle attività e campagne di protezione dei diritti umani, come quella contro la tortura, subiscono come conseguenza leggi repressive” afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia “Leggi che per esempio impediscono di scendere in piazza, portando poi a ripercussioni sui singoli promotori delle campagne; proprio perché oggi, in Egitto, lo spazio per esprimere le proprie opinioni di fatto coincide con quello della giunta militare, dunque non esiste”.
L’unico movimento a supporto degli obiettori di coscienza in Egitto è il No to Compulsory Military Service Movement, un movimento pacifista che dal 2009 si schiera dalla parte dei giovani che rifiutano di arruolarsi. Uno degli attivisti del movimento, contattato da TPI via email, ci prega di mantenere il suo anonimato, vista la paura di possibili ritorsioni da parte dei servizi di sicurezza egiziani.
“Noi come movimento rifiutiamo la leva militare obbligatoria, rifiutiamo l’umiliazione e la perdita di dignità che le reclute subiscono durante il servizio, rifiutiamo qualunque tipo d’obbligo a imbracciare le armi” spiega l’attivista. “Siamo un movimento pacifista contro la militarizzazione dello Stato, che rifiuta l’idea della guerra, e quindi supportiamo gli obiettori di coscienza”.
Pur essendo ancora attivo, il movimento ha conosciuto, e sta conoscendo continue pressioni. “Noi, membri del movimento, subiamo continue minacce e riceviamo molte chiamate per interrogatori, così come i nostri familiari che vengono raggiunti al telefono, giusto per metterci pressione” continua l’attivista.
Un tempo il movimento organizzava eventi e attività, ma oggi è troppo pericoloso. “Siamo costretti a mostrare solidarietà e lavorare solo su internet”.
“Il problema oggi è che la situazione all’interno del paese è molto polarizzata: tra chi sta con il governo e chi gli è nemico. Per cui Amir oggi rientra nella categoria dei nemici interni”, dice al telefono preoccupato Riccardo Noury. “Sicuramente abbiamo paura che il ragazzo possa subire ritorsioni, visto il clima che ora sta attraversando l’Egitto. E poi, secondo noi, rispetto agli altri casi di obiezione di coscienza, oggi la chiamata alle armi per difendere il proprio paese ha una sua forza specifica, considerato il clima di tensione terroristica che sta interessando la regione del Sinai da due anni a questa parte”.
Infatti, dopo la caduta di Mubarak, la regione del Sinai ha conosciuto prima ripetuti attacchi da parte di beduini a militari egiziani, che sfruttavano il caos politico per rafforzare posizioni di potere locali, e poi da combattenti islamisti successivamente alleatisi con lo Stato Islamico. L’ultimo attacco dei ribelli islamisti è del 14 ottobre scorso, quando i miliziani islamici hanno aperto il fuoco contro un checkpoint militare, uccidendo 12 soldati.
Il movimento, nel supportare gli obiettori, fa leva sull’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il quale recita che ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Inoltre, l’articolo 64 della costituzione egiziana garantisce la libertà di credo a tutti i cittadini senza limiti, ed anche questo articolo viene usato dagli obiettori come garante della loro legittima scelta.
Tuttavia, l’Egitto insieme ad altri 15 paesi, il 24 aprile del 2002 – sotto il governo di Mubarak – aveva inviato una lettera alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite dichiarando che non avrebbe riconosciuto l’universale applicabilità dell’obiezione di coscienza per il servizio militare, rendendo di fatto l’articolo 18 della Dichiarazione inutilizzabile.
“Il problema è che fino ad oggi lo stato non ha mai riconosciuto nemmeno un caso di obiezione di coscienza. Di quei nove obiettori, alcuni sono stati esonerati per motivi di salute, altri per motivi universitari, e altri ancora senza specificare ragioni, mentre un altro è in attesa come me di una risposta. Insomma, non ammetteranno mai l’obiezione di coscienza come motivo legittimo, e dunque se ne inventeranno altri”, sostiene Amir.
Amir vive con ansia e preoccupazione le conseguenze della sua coraggiosa scelta. Al momento si trova in un limbo in cui non sa cosa potrebbero decidere le autorità militari dopo la sua scelta.
* A cura di Federico Annibale