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Egitto, tra nazionalismo e diritti civili, al Cairo tornano le proteste

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Le contestazioni riguardano la politica economica ed estera del presidente al-Sisi, ma anche la repressione delle libertà civili. L'analisi di Giuseppe Acconcia

Sono tornate le proteste al Cairo. Le prime manifestazioni alle porte del sindacato dei giornalisti si sono svolte lo scorso 15 aprile.

I contestatori si sono opposti a gran voce all’accordo tra Egitto e Arabia Saudita, annunciato in seguito alla visita nella capitale egiziana di re Salman Bin Abdel Aziz.

Se la monarchia saudita ha promesso la realizzazione di un ponte che colleghi i due paesi, il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha annunciato la restituzione all’Arabia Saudita delle isole di Tiran e Sanafir, nel mar Rosso .

Questa decisione ha generato contestazioni senza precedenti in violazione della legge anti-proteste in vigore in seguito al colpo di stato militare del 3 luglio 2013.

Già l’ex presidente, Mohamed Morsi, aveva attirato dure critiche per le sue scelte in politica estera, osteggiate dalle opposizioni laiche e dalla giunta militare, in particolare in riferimento alla realizzazione della Diga della Rinascita tra Egitto ed Etiopia. 

Oltre il nazionalismo: gli arresti di attivisti e giornalisti

Le contestazioni sono tornate il 25 aprile 2016 in occasione dell’anniversario della Liberazione del Sinai. Per la prima volta le proteste hanno superato i confini del sindacato dei giornalisti, dopo le manifestazioni nei campus universitari del 2014 e fino alle frammentate mobilitazioni nei quartieri dove la Fratellanza musulmana aveva ottenuto i suoi successi elettorali nel 2012 e 2013. Le proteste del 25 aprile sono state disperse con l’uso di lacrimogeni nei quartieri di Dokki e Giza.

Le contestazioni hanno unito per la prima volta da mesi il sentimento di difesa nazionalistica, diffuso nell’elettorato islamista moderato, con le richieste di giustizia sociale dei partiti e movimenti di sinistra. Si sono uniti alle proteste così anche le opposizioni laiche e di sinistra dai Socialisti rivoluzionari a Corrente popolare (Tyar Shaabi) di Hamdin Sabbahi, classificatosi terzo alle presidenziali del 2012 e unico candidato di opposizione alle presidenziali del 2014, insieme al partito liberale Dostour.

Le manifestazioni sono state precedute e seguite da una diffusa ondata di arresti mirati: 250 di cui 78 ancora in custodia, tra di loro figurano attivisti e difensori dei diritti umani, inclusi l’avvocato Malek Adly del Centro per i diritti economici e sociali (Ecesr), guidato dall’ex candidato alle presidenziali, Khaled Ali; il fumettista Makhluf; il noto attivista dei Socialisti rivoluzionari, Haitham Mohammadin; e il presidente del Cda della Commissione egiziana per i diritti umani e le libertà (Ecrf), Ahmed Abdallah.

Ma anche molti giornalisti figurano tra gli arrestati. Sarebbero 33 secondo il Comitato di protezione dei giornalisti (Cpj), tra cui Ahmed el-Bardeeny e Mohamed Magdy di al-Shoruq. Secondo l’Osservatorio dei giornalisti anti-tortura sono state 222 le violazioni dei diritti umani contro la stampa nei primi tre mesi del 2016.

Gli arresti e le perquisizioni hanno riguardato anche la stampa estera: quattro giornalisti francesi sono stati fermati, mentre è stata aperta un’indagine contro l’Agenzia di stampa Reuters per recenti inchieste in tema di sparizioni forzate. Per le violenze della polizia contro i giornalisti, il Sindacato della stampa ha presentato una lettera di protesta al ministro dell’Interno, Magdy Abdel-Ghaffar.

Le richieste dei contestatori: tra diritti economici e sociali

Alla vigilia delle manifestazioni, in un discorso televisivo il presidente al-Sisi aveva chiesto ai cittadini di proteggere le istituzioni dello Stato, «ricostruite in trenta mesi». «Sicurezza e stabilità hanno impedito che innocenti venissero terrorizzati: non sono solo responsabilità dello stato, delle forze armate e della polizia, ma di tutti noi», ha assicurato al-Sisi, richiamando l’accordo tra popolo ed esercito che aveva fermato le contestazioni di piazza nel 2011.

Al-Sisi ha anche promesso la distribuzione di 2 milioni di lire egiziane (circa 200 mila euro) in beni di consumo in aree disagiate. Tuttavia, il governo egiziano ha proceduto a significativi tagli della spesa pubblica per rispondere alle richieste del Fondo monetario internazionale (Fmi).

Oltre a contestare la politica estera ed economica del presidente al-Sisi, alcuni degli attivisti egiziani sono scesi in piazza anche per chiedere in termini più generali la fine del regime militare e della repressione della società civile. La magistratura egiziana ha di recente riaperto il Caso 173 con lo scopo di perseguire tutte le organizzazioni non governative (Ong) accusate di ricevere finanziamenti dall’estero.

Nell’ambito dello stesso caso, 41 Ong egiziane sono sotto controllo, incluso il Network arabo per i diritti umani, l’Iniziativa egiziana per i diritti personali, il Centro studi per i diritti delle donne Nazra, mentre rischia la chiusura il Centro al-Nadeem contro le torture.

Il giudice, Hesham Abdel Meguid, che si occupa del caso, ha in particolare accusato i giornalisti Gamal Eid e Hossam Bahgat di ricevere fondi per conto di organizzazioni legate alla Open Society Foundation (Osf). Secondo la magistratura egiziana, Osf avrebbe lo scopo di innescare conflitti e proteste nel paese. Bahgat si è distinto per le sue inchieste critiche nei confronti del regime. 

Le elezioni parlamentari del 2015-2016, la vittoria di Abdel Fattah al-Sisi, nonché il ruolo del Cairo in Libia e il sostegno accordato dal governo francese, hanno rafforzato il potere nelle mani della cerchia di generali che ha sostenuto la roadmap del presidente egiziano in seguito alla deposizione dell’ex presidente Morsi.

Tuttavia, la grave instabilità nel Sinai dove continua a vigere lo stato di emergenza e la violazione dei diritti umani, stigmatizzata da alcuni paesi europei e dall’amministrazione Obama, nonché la nuova ondata di proteste, hanno reso il regime egiziano più aggressivo e incline alla repressione dei contestatori. Non solo, questo sta allontanando le richieste di apertura che vengono dalla società civile e inasprendo il conflitto tra movimenti di opposizione legale e illegale e forze di sicurezza.

— L’analisi è stata pubblicata da ISPI con il titolo “Egitto: tra nazionalismo e diritti, al Cairo tornano le contestazioni” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore 

*Giuseppe Acconcia, Giornalista (Il Manifesto) e ricercatore (Università di Londra)

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