Cos’è l’effetto West Virginia e perché riguarda anche l’Italia
Nata nel 1861 con una secessione dalla Virginia sudista, oggi la West Virginia con poco meno di due milioni di abitanti e una grande produzione di carbone è uno stato piccolo ma con una forte identità. Nonostante alle elezioni presidenziali la West Virginia esprima 5 grandi elettori, teoricamente determinanti per eleggere il presidente, non è mai risultato essere uno stato in bilico.
Dal 1960 – anno in cui ha iniziato a delinearsi la geografia elettorale odierna degli States – al 1996, tutte le elezioni presidenziali in West Virginia sono state vinte dai democratici con le sole due eccezioni del 1972 e del 1984, anni in cui i repubblicani vinsero in quasi tutti i 50 stati.
Nel 2000, tuttavia, qualcosa è cambiato: George W. Bush riuscì con sorpresa di molti a vincere contro Al Gore in questo stato con circa 6 punti percentuali di vantaggio. Una vittoria di margine netto in uno stato che in quelle elezioni, decise da poche migliaia di voti, ebbe un peso determinante.
Da quel momento in West Virginia i repubblicani non si sono più fermati, arrotondando il proprio consenso nel 2004 e nel 2008, nonostante la vittoria dei democratici. Nel 2012, addirittura, Obama, pur imponendosi come presidente, non riuscì a vincere in neanche una contea della West Virginia. Nel 2016 Donald Trump ha confermato la precedente, ottimale performance dei repubblicani, riuscendo a vincere in tutte le contee e ottenendo il 67 per cento dei voti, con un vantaggio su Hillary Clinton di oltre 40 punti percentuali.
Ma come ha fatto un feudo dei democratici a divenire una roccaforte repubblicana? Gli elementi sono molti, e possiamo raccoglierli nel loro insieme e con le loro conseguenze sotto il nome di “effetto West Virginia”.
Un elemento comune a molti altri Paesi e che negli Stati Uniti è sempre stato evidente è la spaccatura elettorale tra città e campagna, con i democratici (e i loro omologhi stranieri) sempre più avanti nei centri urbani e più ritirati nelle aree rurali. La West Virginia non ha grandi aree urbane, l’area metropolitana di Huntington è abitata da poco più di 300mila abitanti e il resto dello stato è costituito da aree agricole in cui i repubblicani hanno sempre trovato terreno fertile.
L’altro elemento è legato alla principale risorsa dello stato, il carbone. Se le trade unions dei lavoratori del carbone sono state per decenni vicine ai democratici, qualcosa è cambiato quando gradualmente il principale partito del centrosinistra statunitense ha iniziato a sposare cause ambientaliste, mettendo da parte la produzione del carbone. Con la produzione di questa risorsa crollata di un terzo tra il 1998 e il 2013, la West Virginia ha visto minacciato il proprio motore economico e ha iniziato a prendere le distanze dalle blande posizioni dei democratici a riguardo, iniziando a preferire sempre di più i repubblicani.
Potrebbe quindi sembrare un unicum che la repubblicanissima West Virginia sia riuscita a eleggere alle elezioni di Mid Term del 6 novembre 2018 un senatore democratico. In realtà non lo è. Negli Stati Uniti il voto al senatore è spesso legato alla persona e al suo radicamento nello stato. Ne sono un esempio gli stati del Sud: passati da essere roccaforti democratiche a stati repubblicani negli anni Sessanta, hanno continuato a eleggere senatori democratici fino agli anni Ottanta.
Per questo motivo il senatore democratico rieletto della West Virginia Joe Manchin, non appena ha potuto, ha strizzato l’occhio agli elettori repubblicani, per esempio votando a favore sulla vicenda della nomina del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema, nonostante la contrarietà dei democratici. Il sito statunitense FiveThirtyEight ha addirittura notato come Manchin abbia votato il 60 per cento delle volte in linea con Donald Trump.
Ma l’effetto West Virginia può verificarsi anche altrove? Assolutamente sì, Italia compresa, e lo scorso 4 marzo 2018 lo abbiamo visto. In Umbria, ad esempio.
Questa regione del centro Italia, con meno di un milione di abitanti, è una delle meno popolose del nostro Paese. Per decenni è stata ritenuta una regione rossa ma alle politiche del 2018 il centrodestra, trainato dalla Lega di Salvini, ha ottenuto una forte affermazione e la vittoria in tutti i collegi uninominali. I democratici, qui vincitori fino alle regionali 2015, si sono quindi visti addirittura sorpassare alla Camera sia dal centrodestra che dal Movimento Cinque Stelle.
Da cosa ha avuto origine un simile cambiamento elettorale? Le sue cause possono essere ricercate solo nel tracollo generale del centrosinistra del 4 marzo? In attesa di vedere se si è trattato di un voto isolato o se la regione ha cambiato definitivamente colore, possiamo trovare molte analogie con quanto accaduto in West Virginia.
L’Umbria è infatti una regione composta soprattutto da piccoli centri, e il suo capoluogo, Perugia, conta 165mila abitanti. Anche qui la crescente spaccatura elettorale tra città e campagna ha avuto sicuramente il proprio peso, con tutte una serie di cittadine di poche migliaia di abitanti che hanno iniziato ad allontanarsi dal centrosinistra.
Bisogna inoltre considerare un altro elemento: l’Umbria è una regione economicamente caratterizzata dalla presenza delle acciaierie a Terni e da una radicata piccola e media impresa. Da anni gli operai si sono allontanati dal centrosinistra e quelli delle acciaierie di Terni, più volte a rischio licenziamento, non hanno agito diversamente e hanno sposato la linea leghista, nell’ottica di scongiurare il timore di una delocalizzazione della fabbrica con conseguente perdita del lavoro.
Lo stesso discorso vale per la piccola e media impresa, che ha visto nella Lega una proposta politica maggiormente vicina ai loro problemi e non solo dal punto di vista fiscale. In zone d’Italia come l’Umbria, fatte di piccoli borghi e con una radicata piccola e media impresa, il tema immigrazione è maggiormente sentito e l’aumento di immigrati ha avuto un peso maggiore sulla scelta elettorale, poiché sono visti come una minaccia alla stabilità di un tessuto già provato dalla crisi economica.
E così la Lega è passata dallo 0,59 per cento del 2013 al 20 per cento del 2018, con una crescita apparentemente inarrestabile e che sembrava impossibile in una regione ritenuta rossa fino a poco tempo fa. Effetto West Virginia.