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Home » Esteri

Noi, sterilizzate con la forza, vogliamo le scuse del governo peruviano 20 anni dopo

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Tra la metà degli anni Novanta e i primi anni Duemila, 350mila donne furono costrette a sottoporsi a questa procedura. Ancora oggi, le vittime chiedono giustizia

Gli operatori sanitari incaricati dal governo guidato all’epoca da Alberto Fujimori, bussavano di porta in porta per convincere, persuadere o imporre con la forza alle donne delle comunità agricole situate sugli altipiani del Perù di seguirli per ricevere delle cure mediche gratuite.

In realtà, le donne e anche gli uomini venivano condotti all’interno di cliniche e ospedali per essere sottoposti nella maggior parte dei casi alla sterilizzazione forzata, come parte di un programma varato dal governo per il controllo delle nascite e la pianificazione familiare.

Tra loro c’era anche Esperanza Huayama, al terzo mese di gravidanza. Una mattina di 20 anni fa, Esperanza salì a bordo di un autobus che la condusse in una struttura ospedaliera dove rimase per oltre tre ore. Le dissero che si sarebbe dovuta sottoporre a una visita di routine, ma le cose andarono diversamente.

I medici le somministrarono degli anestetici e la donna intuì che qualcosa non quadrava. Purtroppo era troppo tardi. Quando l’effetto dell’anestetico svanì, Esperanza si accorse di essere stata sterilizzata, divenendo anche lei una delle vittime inconsapevoli di una campagna di controllo delle nascite voluta dal governo che coinvolse migliaia di donne, per lo più indigene, che abitavano nelle aree rurali e nelle zone più povere del paese sudamericano.

“Non ho mai firmato nulla. Sono stata ingannata. Gli infermieri ci dicevano che dovevamo andare in clinica dove ci avrebbero consegnato un kit gratuito per il check-up, delle medicine e perfino del cibo. Ci dicevano che era per il nostro bene e il nostro benessere”, ha raccontato la donna che oggi ha 60 anni.

“Ci minacciavano e dicevano che tutte coloro che si fossero rifiutate di sottoporsi a questa pratica, non avrebbero ottenuto cure mediche in futuro”, ha raccontato ancora la donna in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Reuters.

Tutto ciò accadeva intorno alla metà degli anni Novanta: circa 350mila donne e 25mila uomini furono sottoposti a sterilizzazione forzata come parte del programma governativo voluto da Fujimori, il quale sosteneva l’idea che un tasso di natalità più basso fosse fondamentale per eliminare la povertà in Perù.

“Venivamo incise senza alcun ritegno e ci trattavano come animali. Sentivo altre donne che piangevano e urlavano dal dolore”, ha raccontato ancora la donna, che a causa dell’intervento chirurgico perse il figlio che portava in grembo.

“Non ci davano nessun medicinale per placare i dolori post-operatori”, ha raccontato ancor Esperanza, “e quando i medici finivano ci facevano accomodare all’esterno e ci rispedivano a Lima”.

Nel 2015 il procuratore Luis Antonio Landa Burgos ordinò la riapertura di un’indagine penale per fare luce sulle sterilizzazioni forzate, ampliandola con nuove dichiarazioni rilasciate dalle vittime.

Alle accuse di aver violato i diritti umani, l’ex presidente peruviano Fujimori in carcere dal 2007 per corruzione, ha sempre risposto che le sterilizzazioni effettuate in quel periodo erano state tutte volontarie.

Tuttavia, le oltre duemila dichiarazioni rilasciate dalle vittime (tra cui Esperanza Huayama) raccontano una verità diversa: tutte le donne coinvolte nel programma governativo venivano sottoposte alla procedura senza alcun consenso e senza essere informate sui rischi ai quali andavano incontro.

Tutte coloro che avevano firmato dei moduli di consenso scritti in spagnolo dove acconsentivano in teoria a sottoporsi all’operazione chirurgica, in realtà non sapevano cosa stessero accettando perché non sapevano né leggere, né tanto meno scrivere. Si esprimevano solo nell’idioma della loro comunità di appartenenza (quechua).

Oggi, a distanza di due decenni, quelle stesse donne chiedono giustizia per loro e per tutte le vittime di questa pratica considerata a tutti i livelli una vera e propria violazione dei diritti umani.

“Giustizia significherebbe per noi che il governo attuale ci garantisse che tutto questo non accadrà mai più. Ci devono delle scuse scuse e noi siamo qui in attesa di riceverle”, ha ribadito Esperanza.

Le ferite sia fisiche, sia mentali non si sono mai rimarginate sul corpo esile di Esperanza. “Sia io, sia le altre donne, non siamo più state le stesse dopo l’operazione chirurgica. Stiamo ancora soffrendo”, ha detto la donna aggiungendo di non riuscire più a svolgere lavori agricoli pesanti o trasportare la legna.

Esperanza non ha mai nascosto di aver attraversato lunghi periodi di depressione, dopo l’intervento. Nonostante il dolore e la sofferenza, ha fondato un gruppo di sostegno per tutte le vittime delle sterilizzazioni forzate in Perù, che le ha restituito lo slancio e la vitalità per portare avanti una battaglia serrata per chiedere giustizia.

“Uno dei modi più efficaci è far sì che un numero sempre più cospicuo sappia cosa è successo vent’anni fa”, ha spiegato la donna che attualmente è a capo di un progetto dedicato alle vittime della sterilizzazione forzata (Quipu Project).

Nello specifico si tratta di una linea telefonica che offre alle donne la possibilità di raccontare e condividere le loro drammatiche storie. “Continueremo a difendere i nostri diritti umani, facendo in modo che tutte le persone sia dentro sia fuori dal Perù possano conoscerle e siano coscienti del fatto che i nostri diritti sono stati violati. Abbiamo sofferto e ancora oggi ne portiamo i segni”, ha ribadito Esperanza Huayama.

I membri del progetto Quipu guidati da Esperanza e da un’altra vittima della sterilizzazione forzata, Teodula, viaggiano in tutte le principali città peruviane, soprattutto in quelle più remote e in quelle maggiormente colpite dalla campagna promossa da Fujimori, soprattutto i villaggi più poveri delle Ande e dell’Amazzonia.

La campagna del governo peruviano è iniziata intorno alla seconda metà degli anni Novanta. “Prima del 1990, le donne peruviane che vivevano nelle aree rurali o nei villaggi sperduti del paese non avevano alcuna conoscenza di metodi contraccettivi. A influire notevolmente su di loro anche la presenza radicata della chiesa cattolica”, ha raccontato una delle vittime.

La situazione è mutata quando il governo Fujimori lanciò un programma di massa che offriva una vasta gamma di opzioni di contraccezione, compresa la sterilizzazione di uomini e donne.

Il programma impiegava un linguaggio semplice e soprattutto convincente volto alla sensibilizzazione della popolazione. Era stato propinato dal governo con la promessa che, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza o dall’ubicazione, le famiglie avrebbero avuto accesso gratuito a un’ampia gamma di servizi.

Coloro che si sottoposero alla sterilizzazione forzata non lo fecero liberamente: la maggior parte delle donne vittime di questa pratica furono costrette con metodi violenti. Molte altre, invece, non ebbero il tempo di capire di cosa si trattasse o non riuscirono a raccogliere informazioni dettagliate per prendere una decisione consapevole sulle loro scelte riproduttive.

“Mi costrinsero. Mi recai in una clinica per un controllo di routine. Ero incinta al momento in cui mi sottoposero al check-up. Quando mi svegliai, mi dissero che non ero più incinta e che ero stata sterilizzata”, ha raccontato un’altra donna.

Inoltre, nel periodo in cui iniziarono le sterilizzazioni forzate, tredici donne e due uomini persero la vita a causa delle complicazioni derivanti dalle operazioni chirurgiche o per le scarse cure post-operatorie.

Ancora oggi, a distanza di 20 anni, le donne sopravvissute a questa pratica disumana attendono le scuse del governo e, soprattutto, che venga fatta giustizia.

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