Donne imam contro l’estremismo religioso
In Algeria sono centinaia le mourchidat designate dal governo per diffondere la visione di un Islam più moderato
“Uccidere è un peccato capitale, e allora per quale ragione le persone possono uccidere innocenti in nome dell’Islam?” si chiede Fatma Zohra, una delle centinaia di imam donna appuntate dal governo algerino per combattere l’estremismo religioso.
Il 26 dicembre 1991, l’Algeria tenne le sue prime elezioni pluripartitiche dopo quasi trent’anni sotto un sistema che prevedeva l’esistenza di una sola fazione politica.
La vittoria del partito islamista del Fronte Islamico di Salvezza era ormai alle porte.
Avrebbe trasformato l’Algeria in un Paese di stampo islamista, ma le elezioni furono annullate. L’esercito, che aveva guadagnato una certa importanza e legittimità storica dopo aver liberato il Paese dai colonizzatori francesi, effettuò un colpo di stato, dichiarando il Fronte Islamico di Salvezza illegale nel marzo del 1992.
Da allora, il sistema pluripartitico serve solo come facciata democratica in un regime che rifiuta l’alternanza elettorale e dove il Fronte di Liberazione Nazionale rimane l’unico partito ad aver mai governato.
Nonostante l’Algeria non sia mai stata governata de facto da un partito islamico, il 99 per cento della popolazione algerina è musulmana conservatrice. Il Ministero degli affari religiosi assume quindi un ruolo particolarmente importante e tra i suoi compiti c’è anche quello di combattere e prevenire la diffusione di un Islam più radicale.
La crescente influenza dei militanti legati ad Al Qaeda e ai salafiti, oltre che la presenza dello Stato Islamico nella vicina Libia, hanno portato a un incremento nel numero di “mourchidates” appuntate dal ministero.
La mourchidat è l’equivalente del maschile imam e può svolgere tutte le sue stesse funzioni, dal sostenere dibattiti religiosi al dare consigli alla comunità (in particolare alle donne). L’unica cosa che non può fare è condurre la preghiera nelle moschee.
Ad oggi, sono 300 le mourchidates nominate dal governo algerino. La maggior parte si laurea in studi islamici e molte imparano a memoria il Corano, ottenendo così anche il titolo di “hafiz”.
È dal 1993 che combattono una guerra sul fronte intellettuale, cercando di educare la popolazione a una visione di un Islam più moderato e tenedola lontana dai falsi predicatori che promuovono forme radicali della religione.
Lavorano nelle moschee, ma anche nelle prigioni, centri giovanili, ospedali e scuole, diffondendo il messaggio di pace dell’Islam e predicando la tolleranza.
“Anche se sono pochi gli algerini che si sono uniti ai militanti dello Stato Islamico, è necessario rimanere vigili perché la radicalizzazione può prendere varie forme”, ha detto Samia, una mourchidat che lavora da 15 anni in una regione dell’Algeria dove sta aumentando il livello di radicalizzazione tra i giovani, in un’intervista a AFP.
“Pseudo-imam che non sanno nulla sugli insegnamenti del Corano stanno cercando di indottrinare le persone attraverso programmi televisivi e internet. In particolare sono gli adolescenti che vanno monitorati perché sono i più impressionabili e possono essere facilmente influenzati”, ha concluso Samia.