Una donna thailandese è stata condannata a 43 anni di carcere per “lesa maestà”
Una dipendente pubblica è accusata di aver diffuso audio ritenuti offensivi per la Corona
Una donna thailandese di circa 60 anni, identificata dai suoi avvocati col nome di Anchan, è stata condannata a 43 anni di carcere per lesa maestà, dopo aver postato su Facebook sei anni fa alcune registrazioni vocali ritenute offensive verso il re Rama IX Bhumibol Adulyadej, deceduto nel 2016, e verso la corona. La condanna inizialmente annunciata era di 87 anni, ma è stata ridotta dopo che Anchan ha ammesso la sua colpevolezza.
La storia della donna, una dipendente pubblica, ha suscitato l’indignazione di attivisti per i diritti umani e degli studenti che nel 2020 hanno protestato per mesi a Bangkok contro l’articolo 112 del codice penale thailandese, che preserva da critiche l’intero sistema monarchico, e contro altri privilegi concessi alla famiglia reale thailandese.
Sunai Phasuk, attivista di Human Rights Watch, ha parlato di un “verdetto choc”, che “invia un segnale inquietante per dire che non solo le critiche alla monarchia non saranno tollerate, ma verranno anche severamente punite”.
All’inizio delle proteste, il re thailandese Rama X Vajiralongkorn aveva chiesto esplicitamente al governo di non fare ricorso alla norma, ma dal novembre scorso il premier Prayut Chan Ocha l’ha utilizzata per denunce e arresti tra i giovani dissidenti, accusati di aver offeso o minacciato la corona. Almeno 50 di loro sono ancora in carcere o in attesa di giudizio, come riporta Repubblica.
Le accuse
La polizia informatica ha registrato 26 post di Anchan su YouTube e tre su Facebook, pubblicati tra il 2014 e il 2016, in cui la donna condivideva registrazioni vocali proibite riprese dal sito di Banpodj, un personaggio molto critico della monarchia thailandese. La lesa maestà in Thailandia è punita col carcere dai tre ai 15 anni per ogni singolo episodio, e la pena si somma a quella di altri eventuali episodi. Da qui la condanna così pesante per la donna.
Anchan si è difesa dichiarando che non intendeva diffamare la monarchia. “Ho pensato che fosse una cosa da niente”, ha detto al tribunale. “C’erano tante persone che avevano condiviso quel contenuto e lo avevano ascoltato. L’autore lo ha fatto per così tanti anni… Quindi non ci ho davvero pensato e non ero abbastanza attenta da rendermi conto che non era appropriato”.
Se i giudici confermeranno la condanna di Anchan in appello, la donna tornerà in carcere dopo i tre anni che vi ha già trascorso tra il 2015 e il 2018. Nel Paese asiatico c’è già un precedente: la condanna di un venditore ambulante accusato di aver postato più contenuti offensivi. L’uomo ottenne inizialmente una sentenza a 70 anni ridotti a 35, anche nel suo caso dopo la confessione. Anchan è anche accusata di aver violato la legge sulla criminalità informatica, un reato minore rispetto alla lesa maestà.
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