dollari contro morsi?
scatta la polemica sulla fondatezza di un report riguardante fondi statunitensi a gruppi anti-Morsi
“Esclusiva: l’America ha finanziato attivisti anti-Morsi” è il report del giornalista Emad Mekay dell’Università di Berkeley reso pubblico dall’emittente Al-Jazeera mercoledì scorso e, oggi, al centro di un’accesa disputa tra chi ne loda l’approccio investigativo, e chi lo identifica come un chiaro esempio di giornalismo irresponsabile e cospirativo.
Da un lato, “La storia parla da sé,” scrive ad Al-Jazeera Lowell Bergman, vincitore del Premio Pulitzer, ex-corrispondente del “The New York Time” e attuale direttore del Programma di Giornalismo Investigativo dell’Università di Berkeley. “Non si discute sul fatto che pagamenti fossero stati fatti a dissidenti e attivisti politici, come il fatto che costoro promuovessero il rovesciamento del governo, facendo anche uso di forza e violenza.”
Ma, dall’altro, “L’unica cosa che è stata dimostrata,” afferma sul suo blog “Informed Consent” Juan Cole, professore di storia all’Università del Michigan, “è come il programma di ‘assistenza democratica’ del Dipartimento di Stato garantisse contenute somme di denaro a… Sorpresa! Attivisti in difesa della democrazia in Egitto.”
Facciamo un passo indietro e osserviamo il fulcro di questo contestato documento. Creando collegamenti tra diversi incartamenti e servendosi di molti dati numerici, Mekay spiega come gli Stati Uniti, attraverso un programma promosso dal Dipartimento di Stato inteso a promuovere la democrazia in Medio Oriente, abbiano sborsato milioni di dollari dei contribuenti per supportare attivisti e politici egiziani impegnati nella (vincente) campagna anti-Morsi.
Le organizzazioni incaricate di far filtrare i soldi ai gruppi locali egiziani sarebbero il Bureau for Democracy, Human Rights and Labor (DRL), The Middle East Partnership Initiative (MEPI), USAID, e, in particolar modo, la semi-governativa National Endowment for Democracy (NED).
Secondo informazioni pervenute dall’Atto di Libertà d’Informazione, se così fosse, l’assistenza “democratica” statunitense avrebbe violato la legge egiziana, secondo cui è vietato elargire fondi a scopo politico. Inoltre, avrebbe agito contrariamente all’ordinamento americano che non permette di finanziare politici stranieri, o attività sovversive, volte a rovesciare un governo democraticamente eletto – come quello di Morsi – facendo uso dei soldi versati dai contribuenti.
A tali supposizioni, il NED risponde: “ Abbiamo lavorato per circa due decadi per supportare una vasta gamma di gruppi impegnati nella società civile egiziana e, nello specifico, nei diritti umani, nella promozione di media indipendenti, nel provvedere all’educazione civica, nella lotta alla corruzione e nel promuovere il dialogo sulla compatibilità tra Islam e democrazia.”
“Gli Stati Uniti non finanziano partiti o ‘politici locali’ in Egitto o altrove,” aggiunge poi ad Al-Jazeera l’ex-membro dell’amministrazione di George W. Bush e parte attiva del Gruppo di Lavoro sull’Egitto Elliot Abrams. “E’ proibito dalla legge, che è scrupolosamente seguita dalle agenzie statunitensi, e supervisionato attentamente dal Congresso.”
Ciò va a collidere, però, con le dichiarazioni di alcuni funzionari statunitensi impiegati in ONG create dal National Endowment for Democracy (NED) in Egitto, e riportate dal sito “The New American”, secondo cui il loro lavoro sarebbe strettamente connesso con quello di partiti politici egiziani d’opposizione.
Due esempi su tutti, quello della cittadina anglo-egiziana Hafsa Halawa, che ha dichiarato di lavorare per il National Democratic Institute (NDI), cioè una corporazione creata dal NED e affiliata al Partito Democratico statunitense; e quello della cittadina egiziana Esra Abdel-Fatah, beneficiaria da anni del NED e di altri gruppi democratici statunitensi e nota ai suoi conterranei per la strenua battaglia contro la costituzione promulgata da Morsi nel 2012.
Più controverso ancora è il caso del colonnello Omar Safifi Soliman. “Impiccate coloro che controllano il potere, l’acqua e il gas,” scriveva Soliman su Facebook – prima che la sua pagina personale, contenente messaggi pure peggiori, fosse oscurata al rilascio del report di Mekay.
Per chi non lo conoscesse, Soliman è un ex ufficiale di polizia egiziano e giudice della Corte Suprema foraggiato da NED con almeno 120,000$ nel corso di alcuni anni. Mekay fa intendere tra le righe che i fondi americani si fossero protratti fino a oggi, mentre NED si accende alla provocazione e afferma il contrario.
Difficile dimostrare la veridicità dell’una e dell’altra parte. In supporto di Al-Jazeera e Mekay, c’è la testimonianza diretta di un Soliman esiliato a Washington DC mentre, ad avvalorare la tesi dell’opposizione, c’è Stephen McInerney, cioè il capo del Progetto sulla Democrazia in Medio Oriente foraggiato da NED, che afferma come, “Nessuno dei fondi elargiti dal governo americano – direttamente o indirettamente – è consegnato a singoli individui.”
C’è di più. Soliman è stato uno tra i membri del comitato nel forum del 2011 di Carnegie Endowment – una delle think-tank statunitensi più influenti e politicamente connesse a livello mondiale – e, col tempo, ha ottenuto una discreta nomea su social network egiziani, e non, per incitare le masse con toni violenti e provocatori.
Anche a minimizzare il ruolo di Soliman nel recente e riuscito intervento militare egiziano, perché, basandosi su ciò che dice lo studente della Georgetown University Adel Iskandar, “difficilmente Soliman può essere preso seriamente dai rivoluzionari egiziani”, la gravità della questione rimane e necessiterà di tempo per essere confutata in un senso o nell’altro.
“Circa un anno fa Mekay se n’è uscito con un articolo simile”, dice l’attivista e giornalista egiziano Hisham Kassem. “Sembra ossessionato dall’idea che gli Stati Uniti finanzino l’attivismo politico in Egitto.” Inoltre, dall’avvento di Morsi al governo egiziano, Al-Jazeera è costantemente sbeffeggiata e spesso etichettata come emittente degli Ikhwan (Fratelli). Ad esempio, solo lunedì scorso ventidue impiegati, stanchi della faziosità dell’ente, hanno consegnato le dimissioni.
Come il Premio Pulitzer Bergman però, sono in molti “ad attendere con ansia il rilascio di ulteriore documentazione, che determini con sicurezza come i fondi elargiti costituiscano una chiara violazione delle leggi e regolamentazioni americane.”
Gli sviluppi, in positivo o negativo, andranno a influenzare quella rappresentazione della potenza americana come promotrice di democrazia e diritti umani che, negli ultimi anni, si è andata progressivamente a sfaldare nell’immaginario centro-mediorientale.