“Siamo qui a rischiare la vita per abbattere il regime”, le voci dei dissidenti dall’Iran
TPI ha raccolto le testimonianza di due giovani iraniani, Mohammed M., sostenitore del gruppo dei dissidenti del MEK, e Ali Reza, attivista residente in Francia
Almeno 22 morti e oltre 400 arresti in Iran: nonostante i Guardiani della Rivoluzione iraniani abbiano dichiarato di aver sedato le proteste iniziate lo scorso 27 dicembre, gli attivisti sostengono che le manifestazioni non sono affatto cessate e proseguiranno fino a quando non ci sarà un cambiamento ai vertici dello stato.
Mentre il governo di Teheran sminuisce la portata delle manifestazioni e le cancellerie internazionali tentennano nel prendere posizione, si alzano le voci dei dissidenti, in Iran e all’estero.
TPI ha raccolto le testimonianza di due giovani iraniani, Mohammed M., trentacinquenne sostenitore del gruppo dei dissidenti del MEK, contattato telefonicamente mentre manifestava a Gopaygan, e Ali Reza, attivista iraniano residente in Francia.
Mohammed, supporter del Mojahedin e Khalq (MEK) conosciuto anche come Peoples Mojahedin of Iran (PMOI)
Mohammed, dove ti trovi in questo momento?
Sono a Golpaygan, proprio nel cuore di una manifestazione.
Quindi non è vero che le proteste sono terminate?
Le manifestazioni continuano a Tehran e Isfahan e in molte altre città. Come ho già detto, mi trovo in mezzo a un corteo proprio ora a Golpaygan e contemporaneamente si stanno svolgendo iniziative a Shahinshahr, Foolabad, Najafabad, nella provincia di Isfahan e in molte altre città.
Come vi siete organizzati?
Abbiamo deciso di prendere il quartiere, così, a gruppi di dieci. C’è chi protegge il quartiere stesso, mentre le forze di oppressione restano fuori. Continueremo la nostra battaglia fino alla fine della dittatura.
Cosa puoi dirci a proposito delle contro-manifestazioni?
Le persone nelle strade sono una vera forza, così oggi il regime ha ordinato ai suoi sostenitori di scendere a manifestare a Golpaygan e nella sua periferia. Su circa 150mila residenti, solo una sessantina hanno accettato di scendere in strada per manifestare a sostegno del regime e solo per cinque minuti. In pratica solo una persona su cento sostiene il regime.
Qual è il ruolo delle donne in questa fase?
Le donne hanno un ruolo chiave, direi trainante nelle manifestazioni. C’è uno slogan molto diffuso: “le donne si sono unite a noi, i codardi stanno invece fermi”.
Ali Reza, noto attivista e dissidente iraniano residente in Francia
Proteste contro la corruzione e la povertà, contro il governo islamista – khomeinista: qual è la principale ragione che ha spinto gli iraniani a scendere in piazza?
La ragione principale è che la gente ne ha abbastanza e vuole un cambio al vertice, sono stanchi del gioco della moderazione. Durante il primo giorno di manifestazioni la gente gridava: “Morte a Rohani, morte al dittatore”.
Nel secondo giorno hanno gridato “Morte a Khamenei”, per rendere ancora più chiaro cosa intendono con dittatore. Un altro slogan che viene scandito è: “Moderati, ora il gioco è finito”.
Il popolo vuole cambiamenti al vertice dello stato, niente di più.
Cosa rispondono i giovani iraniani a coloro che parlano di un complotto straniero e negano la realtà delle richieste del popolo?
Direi loro di venire a vedere, di porre fine al filtraggio delle informazioni su internet, Facebook, Twitter, Instagram e Telegram, di lasciar parlare le persone. Il regime sta tentando di umiliare i dimostranti parlando di un complotto straniero.
Chiunque abbia vissuto in un paese governato da una dittatura sa quanto siano coraggiose le persone che manifestano e quanti pericoli corrano. Le loro stesse vite sono minacciate.
Che messaggio vorreste mandare agli altri popoli e ai governi stranieri che stanno seguendo le notizie dall’Iran?
Abbiamo visto molte persone esprimere il loro sostegno alle proteste in Iran ma l’Europa dovrebbe prendere una posizione più forte. Abbiamo notato come alcuni governi europei stiano ancora aspettando a prendere una posizione, quasi per vedere come evolveranno le cose. Dovrebbero, invece, stare con la gente, soprattutto nel momento in cui quella gente ha più bisogno di loro.