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Gli Usa non sono più una superpotenza e il discorso di Pompeo in Medio Oriente lo dimostra 

Immagine di copertina
Il Segretario di Stato Mike Pompeo al Cairo. Credit: AFP

Il Segretario di Stato ha messo in discussione la dottrina Obama per il Medio Oriente, accusando l'ex presidente di aver sottovalutato l'Isis e additando ancora una volta l'Iran come il nemico numero uno dell'America

Sono trascorsi 10 anni dal discorso del Cairo del presidente Obama, passato alla storia per l’apertura al mondo arabo e la promessa di un nuovo rapporto tra Stati Uniti e Medio Oriente. Punti cardine della dottrina Obama erano la distensione delle relazioni con l’Iran e la risoluzione della questione palestinese.

Se nel secondo caso non si sono visti miglioramenti e anzi la soluzione dei due Stati sembra sempre più lontana, con l’accordo sul nucleare il presidente Usa era riuscito ad allentare la tensione con Teheran. O almeno fino all’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.

Il nuovo presidente non ha perso tempo nel disfarsi di tutto il lavoro fatto dall’amministrazione Obama nella regione, stracciando l’accordo sul nucleare e dichiarando l’Iran il nemico numero uno degli Usa. Posto che si contende con la Russia, a seconda del momento.

Il cambio di paradigma nella politica estera americana, già evidente nei fatti, è stato ribadito dal Segretario di Stato Mike Pompeo nel discorso tenuto il 10 gennaio 2019 all’Università americana del Cairo.

Ancora prima del suo contenuto fa discutere il titolo dell’intervento di Pompeo: “Una forza per il bene: il ruolo riaffermato degli Stati Uniti nel Medio Oriente”.

Viene da chiedersi come la più grande crisi umanitaria della storia in Yemen, l’inasprirsi del conflitto palestinese con il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, il ritiro dalla Siria o lo scontro aperto con l’Iran (per fare alcuni esempi) faccia degli Usa una “forza per il bene”.

Spoiler allert: se pensate di trovare risposta nel testo del discorso vi sbagliate. Yemen e Palestina non sono nemmeno menzionati.

Dal palco del Cairo, invece, Pompeo ha dichiarato che “in soli 24 mesi, gli Stati Uniti sotto il presidente Trump hanno riaffermato il loro tradizionale ruolo di forza per il bene in questa regione, perché abbiamo imparato dai nostri errori. Abbiamo riscoperto la nostra voce. Abbiamo ricostruito le nostre relazioni. Abbiamo rigettato le false aperture dei nemici”.

Nel caso il riferimento all’Iran come forza destabilizzante della regione non fosse stato abbastanza chiaro, il Segretario di Stato ha subito fatto le dovuto precisazioni, puntando il dito contro il regime degli ayatollah.

“Le nazioni del Medio Oriente non potranno mai godere della sicurezza, raggiungere la stabilità economica o far avanzare i sogni dei loro popoli se il regime rivoluzionario dell’Iran persiste nella strada attuale”.

E chi ha permesso a Teheran di espandersi in Medio Oriente a discapito degli Usa e dei suoi alleati regionali? Il presidente Obama, ovviamente, accusato di aver compiuto “gravi errori” di calcolo e di aver frainteso quanto stava accadendo nella regione mediorientale, oltre ad aver permesso all’Isis di crescere ed espandersi territorialmente.

Risulta però difficile credere a Pompeo quando afferma che gli Usa hanno riaffermato la loro posizione e ricostruito le loro relazioni in Medio Oriente. Meno di un mese fa il presidente Trump ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria, lasciando a Russia, Iran e Turchia mano libera nelle fasi finali del conflitto siriano, con grande disappunto di Arabia Saudita, Israele e ribelli curdi, rimasti senza protezione.

Insomma, più che riaffermare la propria presenza in Medio Oriente il presidente Trump ha chiaramente voltato le spalle ai suoi alleati, dimostrandosi un partner ben poco affidabile e portando anche diversi esponenti della sua amministrazione a rassegnare le dimissioni.

Oltre agli effetti immediati che il ritiro americano avrà sulla regione bisogna considerare che l’assenza di Washington e della sua forza militare potrebbe costringere quei governi che si erano sempre riparati all’ombra degli Usa ad avviare una corsa agli armamenti molto pericolosa.

L’acquisto da parte della Turchia del sistema missilistico russo (a discapito di quello americano, nonostante le minacce di Bolton) ne è un esempio.

Resta da vedere come procederà il ritiro delle truppe americane dalla Siria, iniziato l’11 gennaio e destinato a durare probabilmente mesi in attesa di ricucire la frattura con la Turchia e garantire la sicurezza dei curdi, e cosa succederà con la diffusione del testo dell'”Accordo del secolo” per risolvere il conflitto israelo-palestinese.

Di certo, il discorso di Bolton passerà alla storia come fu per quello di Barak Obama, ma per il vuoto delle sue parole e come dimostazione della debolezza dell’amministrazione Trump in Medio Oriente.

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