Diritto all’oblio
Una sentenza della corte di giustizia europea ha imposto a Google di rimuovere link imbarazzanti su richiesta dei cittadini
Ti piacerebbe se digitando il tuo nome su Google uscisse fuori qualcosa di imbarazzante che hai scritto sui social network quando avevi 14 o 16 anni? Oppure qualche foto che preferiresti il tuo partner o il tuo capo non vedessero?
Decine di milioni di persone, secondo il Washington Post, hanno avuto la dolorosa esperienza navigare su internet e trovare qualcosa di mortificante su se stessi. E molti si sono immediatamente chiesti: come faccio a farlo sparire prima che qualcuno lo possa vedere?
Per i cittadini europei la risposta è arrivata questa settimana, quando la corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che gli individui hanno il diritto di esigere che i risultati di ricerca di Google sgraditi su di loro possano essere cancellati, sancendo un passo avanti verso ciò che i sostenitori della privacy hanno ribattezzato “diritto a essere dimenticati” o “diritto all’oblio”.
Il caso è sorto nel 2010, quando il cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzalez ha denunciato all’autorità spagnola per protezione dei dati personali un vecchio articolo di giornale che mostrava che la sua casa era stata messa all’asta dopo alcune difficoltà finanziarie avute 16 anni prima.
Gonzalez, che aveva da tempo risolto i problemi finanziari, sosteneva che l’informazione non era più rilevante e lamentava che i dettagli circa i suoi vecchi debiti fossero arrivati nei risultati di ricerca di Google in violazione della protezione dei dati personali.
L’autorità spagnola ha respinto la denuncia contro il giornale, dal momento che era un suo diritto pubblicare le informazioni al momento dell’asta. Tuttavia, ha affermato che Google non aveva alcun diritto di diffondere ulteriormente la notizia su Gonzalez e ha ordinato che il motore di ricerca rimuovesse il link dall’elenco dei risultati. Google ha impugnato la sentenza dinanzi all’Alta Corte spagnola che ha rinviato la causa fino alla corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha confermato il verdetto creando un importante precedente per il diritto europeo.
Com’era prevedibile, la decisione – che non può essere più impugnata – ha scatenato un’ondata di allarme in rete. Google ha definito la sentenza “deludente” e secondo alcuni questa decisione è in grado di rendere la vita impossibile non solo ai motori di ricerca, ma anche a molti altri servizi online. Gruppi di attivisti, come l’Open Rights Group, ritengono che si tratta di una grave minaccia alla libertà di espressione. La censura online potrebbe diventare dilagante, spiegano, se i motori di ricerca fossero costretti a rimuovere i link a piacimento dei singoli individui.
Le reazioni possono sembrare sproporzionate, soprattutto se si considera la parte finale della sentenza, che si conclude con un ammonimento. Il diritto a essere dimenticati non si applica se ricorrono “motivi particolari“: se c’è una giusta causa che interferisce con il diritto dei cittadini alla privacy, come ad esempio il ruolo svolto dalla persona interessata nella vita pubblica, i cittadini hanno il diritto di ricevere informazioni sul suo conto.
La decisione della corte ha riaperto il dibattito su come (e se) Internet dovrebbe essere regolamentato. Gli argomenti che in Europa fanno prevalere la privacy degli individui non sono condivisi negli Stati Uniti, dove è ancora acceso il dibattito sulla neutralità della rete. Il risultato finora è piuttosto confuso e probabilmente si sentirà ancora parlare di questo problema.