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Palestina, l’angoscia dei bambini di Khan al Ahmar: “Vivono in povertà assoluta e Israele vuole distruggere la loro scuola”

Immagine di copertina
Credit: AFP

Nel villaggio, che ospita una delle comunità più povere della Cisgiordania, opera la Ong italiana Vento di Terra che garantisce ai bambini l'accesso all'istruzione grazie alla "Scuola di gomme" costruita nel 2009

A fine settembre la Corte suprema israeliana ha dato il via libera alla demolizione del villaggio beduino di Khan al Ahmar, un insediamento che si trova nei territori occupati della Cisgiordania e in cui è stata costruita la “Scuola di gomme” della Ong italiana Vento di Terra.

La distruzione del villaggio permetterebbe a Israele di creare un corridoio che unisca l’insediamento ebraico di Maale Adumim, vicino a Gerusalemme, e uno più piccolo situato a nord-est, Kfar Adumim, espandendo ulteriormente gli insediamenti ebraici e dividendo in due i territori della Cisgiordania.

Secondo il governo israeliano, il villaggio è stato costruito senza i necessari permessi, ma la comunità internazionale si è schierata contro Israele, affermando che la demolizione di Khan al Ahmar viola il diritto internazionale. La stessa Amnesty International lo ha defintio “un crimine di guerra”.

Per capire qual è la situazione nel villaggio, TPI ha intervistato Massimo Annibale Rossi, operatore della Ong Vento di Terra, che si trova a Khan al Ahmar.

“La Corte suprema di Israele ha stabilito che il villaggio doveva essere abbattuto il primo ottobre e la reazione della comunità internazionale in merito è stata molto forte. Sulla questione si è espressa anche l’Unione europea tramite Federica Moghrerini e la stessa cancelliera Angela Merkel ha avvisato il governo israeliano che se villaggio e scuola fossero stati demoliti avrebbe rinunciato alla sua visita in Israele.

C’è un dispositivo molto forte dal punto di vista diplomatico. La decisione della Corte di distruggere Khan al Ahmar è in contraddizione con gli orientamenti internazionali e non ha potuto ordinare anche la deportazione di chi vive nel villaggio”.

Qual è la reazione dei beduini e della comunità locale?

“C’è una presenza significativa da parte dei media internazionali, così come una reazione molto forte della società civile palestinese. Anche i dissidenti israeliani si sono schierati contro la demolizione del villaggio e della scuola, che ad oggi continua a funzionare e a garantire l’istruzione ai 180 bambini della zona”.

Come vivono gli abitanti, e soprattutto i bambini, sapendo che le case e la scuola potrebbero essere demolite da un momento all’altro?

“La popolazione è stremata, questa situazione in realtà va avanti dal 2009 tra un processo e l’altro. I bambini in particolare vivono una situazione di stress spaventoso, non sanno se l’indomani ci sarà ancora la loro scuola, o se verrà demolita tra una lezione e l’altra.

La comunità locale vive tutto ciò come una grandissima ingiustizia, è stremata, ma sente il sostegno della comunità internazionale: ci sono ambasciatori e diplomatici provenienti da tutto il mondo e la loro presenza testimonia che la scuola ha il diritto di continuare a vivere senza se e senza ma. La comunità beduina di Khan al Ahmar è in questo territorio da prima del 1967 e ha tutto diritto a vivere e continuare a vivere qui”.

Se il villaggio venisse demolito dove andrebbe la popolazione?

“Israele ha proposto alla comunità di trasferirsi in una zona vicina alla discarica di Gerusalemme, ma i beduini non hanno accettato. Cosa ne sarà di loro è ancora un punto interrogativo, al momento non c’è una soluzione e spero che la diplomazia intervenga per risolvere questo aspetto”.

Secondo la Corte israeliana il villaggio è stato costruito senza i necessari permessi. Il governo potrebbe sanare la situazione e permettere che la comunità resti lì?

“Non la metterei così. I beduini erano in questa zona da prima di Israele. Stiamo parlando di un’area che gli Accordi di Oslo hanno definito come palestinese, la cosiddetta area C, e Israele non ha diritto di decidere se una popolazione può stare là o meno, non è una loro prerogativa. L’area C, secondo gli Accordi, doveva passare sotto il controllo palestinese entro il 2000, ma sappiamo che come è andata a finire.

La demolizione del villaggio infatti violerebbe il diritto internazionale e in particolare la Quarta convenzione di Ginevra, che vieta tra l’altro la deportazione e la demolizione delle abitazioni o degli edifici pubblici in territori occupati”.

Voi come Ong cosa potete fare se la demolizione dovesse avvenire?

“Siamo una piccola realtà che è sempre stata vicino a questo gruppo, che è anche uno dei più poveri dell’area, e continueremo a sostenerlo. Di più purtroppo non possiamo fare e adesso la questione è entrata nell’ambito della diplomazia internazionale”.

Pensa che la diplomazia potrà evitare la distruzione del villaggio?

“Credo il sostegno della diplomazia internazionale contro un’azione così devastante anche sotto il piano delle relazioni internazionali sia molto significativa. Il nostro messaggio è che ci sia sempre una forte presenza diplomatica e dei media. Un’assenza eccellente per esempio è quella dei media italiani, soprattutto se si considera che nel villaggio opera una Ong italiana.

Adesso non resta che aspettare e avere fiducia nella diplomazia”.

La scuola di gomme di Vento di Terra

Nel 2009, la Ong italiana Vento di Terra ha realizzato nel villaggio beduino la “scuola di gomme”, un edificio privo di fondamenta e costruito usando calce e pneumatici al posto dei mattoni.

Sono stati quindi impiegati materiali facilmente reperibili a costo zero che possono essere usati come componenti per edilizia. Le gomme, riempite di terra, sono state posizionate a file sfalsate per comporre le pareti dell’edificio.

Per garantire la protezione della gomma dai raggi solari è stata impiegata un’intonacatura finale in argilla.

La scuola “è divenuta un simbolo del diritto all’istruzione e di difesa dei diritti delle comunità beduine palestinesi residenti nell’Area C”, come scrive Vento di Terra, e garantisce l’istruzione a 180 bambini costretti in precedenza a percorrere chilometri per arrivare alla prima scuola.

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