Dedicare la vita al Tibet
La storia di Tsering e del motivo per cui è diventato rifugiato in India
Tsering ha 35 anni ed è un tibetano originario di Amdo, regione attualmente chiamata Qinghai sotto il regime cinese. Sua madre è nomade, come la maggior parte dei tibetani, e pascola yak e pecore sugli altipiani più alti del mondo. Suo padre ha fondato una scuola elementare nel villaggio in cui vive.
Tsering ha studiato nella stessa scuola fondata dal padre; è stato ammesso all’univeristà, e una volta finiti gli studi è diventato a sua volta insegnante.
Tutto questo è successo in un Tibet occupato dalla Cina. In cui possedere una foto del Dalai Lama, fare una telefonata all’estero o sventolare la bandiera tibetana sono ragioni sufficienti per essere incarcerati.
Come molti altri, vedendo le limitazioni e sofferenze che i tibetani ricevono quotidianamente, Tsering ha provato a fare qualcosa per il suo popolo. È bastato poco però a fargli capire che restare in Tibet sarebbe diventato sempre più pericoloso per lui.
A 23 anni ha deciso di lasciare il Tibet e di raggiungere Dharamsala, in India, il principale centro della diaspora tibetana. Ha raggiunto Lhasa, la capitale del Tibet, e con un gruppo di una ventina di altri tibetani ha intrapreso un viaggio a piedi oltre l’Himalaya.
Vista la presenza massiva dell’esercito cinese in zone tibetane, Tsering e gli altri componenti del suo gruppo potevano avanzare solo di notte, tra la neve e i ghiacci della catena montuosa più grande del mondo.
Dopo più di due settimane di cammino hanno raggiunto la frontiera con il Nepal. Molti gruppi di rifugiati vengono spesso fermati dalla polizia cinese: se catturati, i rifugiati vengono rinchiusi in centri di lavoro forzato e rieducazione. Se invece riescono ad attraversare il confine, dovranno continuare a camminare ancora per qualche giorno prima di raggiungere il centro di accoglienza per rifugiati.
Una volta registratisi in Nepal, i rifugiati tibetani possono poi decidere di restare o continuare verso l’India. Di recente però la Cina sta facendo forti pressioni sul Nepal affinchè rimpatri i rifugiati tibetani, e quindi in pochi decidono di restare.
Tsering sapeva fin dall’inizio che la sua meta sarebbe stata Dharamsala. Qui vive il Dalai Lama e ha sede il governo tibetano in esilio, the ‘Central Tibetan Administration’. Inoltre, molti giornali e ONG che si occupano di diritti umani in Tibet e in esilio hanno sede a Dharamsala.
Oggi Tsering lavora per una di queste ONG come ricercatore. In precedenza, ha lavorato come giornalista per diverse testate in lingua tibetana, e ancora oggi collabora con giornali e riviste della diaspora.
Nel frattempo le cose in Tibet non sono migliorate. Il governo cinese continua inpunito a opprimere i tibetani, forzando nomadi a lasciare i campi che hanno pascolato per millenni al fine di sfruttare le risorse minerarie dell’altopiano tibetano, costringendo monaci a lasciare i monasteri di cui fanno parte, arrestando e torturando chiunque sfidi l’autorità del governo cinese, o gridi lunga vita al Dalai Lama.
A partire dal 2012, più di 140 tibetani si sono dati fuoco in segno di protesta. Dopo un iniziale periodo di sbigottimento di fronte a queste manifestazioni, la Cina ha iniziato ad arrestare con l’accusa di omicidio i famigliari di coloro che decidono di immolarsi tra le fiamme.
Organizzazioni come quella in cui lavora Tsering portano alla luce ciò che la Cina cerca di nascondere. In un report recentemente presentato alle Nazioni Unite sono stati presentati i casi di molti prigionieri politici tibetani morti in carcere a causa delle torture subite.
La risposta della Cina è stata che all’interno dei propri confini la tortura non esiste.
Tsering ha deciso di dedicare la sua vita alla causa tibetana. Vuole riprendere gli studi, per aumentare il contributo che può dare alla protezione dei diritti umani in Tibet.
Una campagna su Indiegogo sta raccogliendo fondi per finanziare la sua istruzione. Per collaborare o saperne di più, clicca qui.