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La Danimarca nega l’asilo ai rifugiati siriani: “Paese sicuro, possono tornare a casa”

Immagine di copertina
Rifugiati siriani in cammino in nord-Europa. Credits: Twitter

La Danimarca nega l’asilo ai rifugiati siriani

La Danimarca ha deciso di revocare il permesso di soggiorno ai rifugiati siriani sulla base di una decisione presa nel 2019, quando ha dichiarato sicure le zone del Paese controllate da Bashar al Assad. Dall’estate del 2020 ad oggi sono 189 i siriani a cui il governo danese ha negato il rinnovo dello status di rifugiato. Copenaghen ha anche rivalutato la posizione di circa 500 persone originarie di Damasco e delle zone limitrofe alla capitale perché la situazione nel Paese sarebbe “migliorata significativamente” da quando Assad ha ripreso il controllo del territorio.

Eppure, nonostante dopo il ritorno di Assad i combattimenti sono andati avanti solo a nord del Paese, secondo le organizzazioni che si occupano di diritti umani esiste ancora la principale condizione di insicurezza che ha spinto tante persone a ribellarsi al regime a partire dal 2011: la polizia segreta siriana, che in questi anni ha arrestato, torturato e “fatto sparire” oltre 100mila persone. “Chiunque può essere arrestato”, ha detto al the Guardian Hiba al-Khalil, un 28enne scappato sei anni fa e arrivato in Danimarca dopo aver attraversato il confine tra Turchia e Grecia.

Secondo Human Rights Watch, la detenzione arbitraria degli oppositori politici è molto diffusa nelle aree che durante la guerra civile erano nelle mani dei ribelli. L’atteggiamento del governo danese ha attirato l’attenzione dei media internazionali quando il 19enne Aya Abu-Daher ha perorato la causa della sua famiglia in un programma televisivo all’inizio di aprile, commuovendo il pubblico quando, in lacrime, ha chiesto “cosa avesse fatto di male” per non poter restare in Danimarca, dove aveva già iniziato a costruire una nuova vita.

“Le nuove regole stabilite dal governo per i rifugiati siriani corrispondono a un trattamento non dignitoso”, ha detto Charlotte Slente, segretaria generale del Danish Refugee Council. “La fine dei combattimenti in alcune aree non significa che le persone possono sentirsi sicure e quindi essere mandate indietro. Nè le Nazioni Unite né gli altri Paesi reputano la Siria un Paese sicuro”.

Eppure la decisione della Danimarca, primo Stato europeo a ritenere la Siria un Paese in cui poter fare ritorno, potrebbe rappresentare un pericoloso precedente, ancor più se si considera che è guidato da un governo socialdemocratico, che ha preso questa scelta nonostante è impossibile ad oggi mettere in atto i rimpatri perché non esistono accordi diplomatici diretti tra Copenaghen e Damasco.

L’esecutivo di centrosinistra, entrato in carica dopo le elezioni generali di giugno del 2019,  ha deciso di adottare politiche di respingimento che confermano in sostanza la linea del governo conservatore precedente per attrarre anche l’elettorato di centro-destra, soprattutto della classe operaia che non vede di buon occhio la presenza dei rifugiati stranieri.

“Abbiamo chiarito ai rifugiati siriani che il loro permesso è temporaneo e può essere revocato in qualsiasi momento qualora cessassero le condizioni che rendono necessaria la loro protezione”, ha dichiarato il Ministro dell’Immigrazione e dell’Integrazione Mattias Tesfaye all’Afp. “La politica del governo sta funzionando e non ho alcuna intenzione di fare passi indietro”, ha aggiunto.

Alcuni dei richiedenti a cui è stato negato l’asilo sono stati rinchiusi in centri di detenzione, che secondo gli attivisti per i diritti umani sono simili a prigioni, dove i residenti non possono lavorare, studiare o avere accesso alle cure. La Danimarca è un Paese di 5,8 milioni di abitanti, di cui 500mila sono immigranti e 35mila rifugiati siriani.

Leggi anche: Sull’accoglienza dei rifugiati Biden non rompe con Trump e tradisce le sue promesse 2. “Dopo 10 anni di conflitto in Siria, Bashar al-Assad ha vinto. Torture e persecuzioni continueranno” 3. Siria, 10 anni di guerra. Unhcr: “Aspettative deluse, imprescindibile offrire solidarietà” 

 

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