Una lezione da Cuba: l’isola anomala tra resistenza e lotta al patriarcato
Resiste da 60 anni al blocco Usa. È sopravvissuta alla caduta dell’Urss. E al Covid. Ora però la patria del socialismo caraibico deve superare la recessione provocata dalla guerra. E vara una legge all’avanguardia contro il patriarcato
Cuba è in difficoltà, come mai prima di ora. Una situazione simile a quella di inizio anni Novanta. Un combinato micidiale di eventi e scelte politiche internazionali che rischiano di mettere all’angolo questa preziosa esperienza.
Ho avuto l’opportunità di fare una visita alle zone colpite duramente dall’uragano Ian, dalla città di Artemisa al paesino di Bahia Honda dove al consultorio medico c’erano tantissime persone e pochi farmaci, fino a l’Avana. Nelle zone rurali spazzate dai venti, la devastazione è grande e lì sono a lavoro le squadre di volontari arrivati da tutto il Paese. Nella capitale, i cambiamenti sociali sono evidenti, anche rispetto al periodo pre-pandemia. Luci spente, file, difficoltà di mobilità sui mezzi pubblici, poca gente in giro, soprattutto la sera.
Tempesta perfetta
Il Covid, l’impatto della pandemia sul turismo, l’incendio di Matanzas, l’uragano Ian, in concomitanza con uno dei periodi più duri del “bloqueo” statunitense hanno contribuito a una crisi economica senza precedenti.
Tanto che, lo scorso 14 novembre, il presidente della Camera di commercio cubana, Antonio Carricarte, ha annunciato il dimezzamento delle stime originali di crescita per il 2022: dal 4 al 2 per cento. Previsione che coincide con quella realizzata a ottobre dalla Cepal, l’organismo economico regionale dell’Onu per l’America Latina.
Il turismo è un barometro fondamentale per l’economia cubana. Il governo ha annunciato a fine ottobre che quest’anno il Paese probabilmente riceverà 1,7 milioni di turisti, decisamente al di sotto della stima originale di 2,5 milioni e lontanissima dai quasi 5 del 2019, anno record. Anche la guerra in Ucraina ha contribuito alla quasi sparizione dei turisti russi.
Inoltre cominciano a scarseggiare le provviste alimentari, con file davanti ai negozi dove avviene la spartizione e il razionamento. Ci sono anche problemi seri con i farmaci, il combustibile e soprattutto l’energia elettrica. Dormire al Colonial con il rumore del gruppo elettrogeno fa un certo effetto. Tutto avviene in maniera ordinata, con quella che i cubani chiamano “dignità patriottica”.
Alcuni imprenditori stranieri hanno dichiarato alla stampa che anche la previsione al 2 per cento sarebbe eccessivamente ottimista.
Blocco senza fine
Dal 1992, Cuba ha presentato ogni anno una risoluzione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per chiedere la fine del blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti contro l’isola. Anche quest’anno, il 30esimo, la maggioranza della comunità internazionale ha votato a favore della fine della politica genocida di Washington.
Ma nel periodo da aprile 2018 a marzo 2019, in piena era Trump, «l’inasprimento del blocco ha continuato ad essere l’asse centrale della politica del governo degli Stati Uniti verso Cuba», causando all’isola perdite dell’ordine di 4 miliardi e 343,6 milioni di dollari.
Il Dipartimento di Stato Usa ha ampliato in tre occasioni l’elenco delle entità cubane soggette a restrizioni, oltre a quelle imposte dal blocco. Questa misura ha causato notevoli danni all’economia del Paese caraibico, a causa del suo effetto intimidatorio nei confronti della comunità imprenditoriale internazionale. Nello specifico sono cinque gli ambiti su cui gli Stati Uniti hanno picchiato duro.
La prima è la cancellazione delle licenze per i viaggi d’istruzione: a partire dal 5 giugno 2019, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha eliminato le licenze generali per i viaggi didattici di gruppo “people-to-people” e ha negato le autorizzazioni per gli aeromobili non commerciali e le navi passeggeri e da diporto in soggiorno temporaneo, comprese le navi da crociera. Cosa che ovviamente ha avuto un forte impatto sul numero di visitatori a Cuba.
In secondo luogo è entrato in vigore il titolo III della legge Helms-Burton. In base a questa norma, Trump ha deciso di ammettere la possibilità che si possano intraprendere azioni legali nei tribunali Usa per le cause intentate da cittadini o entità statunitensi contro società o individui cubani o di Paesi terzi che sono commercialmente collegati alle proprietà nazionalizzate a Cuba negli anni Sessanta. Per L’Avana, questa è «una dimostrazione senza precedenti dell’intensificazione della politica anti-cubana del governo statunitense».
Terzo: il divieto di spedizione del petrolio venezuelano a Cuba. In quest’ambito l’amministrazione Trump ha sanzionato quasi 200 aziende cubane e alberghi gestiti dall’esercito e ha anche annunciato la possibilità di imporre sanzioni contro qualsiasi società o nave collegata alla spedizione di petrolio venezuelano sull’isola.
Quarto: le limitazioni ai voli verso destinazioni cubane. Il 25 ottobre 2018, la Casa Bianca ha annunciato nuove misure che vietavano i voli di diverse compagnie aeree statunitensi verso tutti gli aeroporti internazionali cubani, ad eccezione dell’Aeroporto Internazionale José Martí dell’Avana. I voli commerciali sono però stati aumentati dall’amministrazione Biden, che ha pure eliminato il limite di mille dollari ogni tre mesi sulle rimesse: misure volte a sostenere il settore privato dell’economia cubana.
Quinto e ultimo: l’inserimento dell’isola nella lista degli Stati sponsor del terrorismo. Attualmente, sono quattro i Paesi considerati sponsor del terrorismo dagli Usa: Cuba, Corea del Nord, Siria e Iran. L’idea alla base dell’elenco è permettere al Dipartimento di Stato americano di determinare se questi Paesi abbiano sostenuto o meno atti di terrorismo internazionale. Tuttavia, l’elenco è basato in gran parte su ipotesi e informazioni incomplete. Il caso di Cuba è emblematico: il governo colombiano aveva chiesto a L’Avana di offrirsi come sede per i negoziati con Eln e Farc, e il suo inserimento nella lista sembrerebbe dipendere proprio dall’aver ospitato la delegazione che negoziava la pace. Gustavo Petro, neo-eletto presidente della Colombia, ha sostenuto l’ingiustizia della misura e invitato Biden a sospenderla, ribadendo il ruolo di Cuba, Venezuela e Norvegia di Paesi garanti per i nuovi colloqui del processo di pace.
Cuba era stata iscritta nella lista per la prima volta nel 1982 da Reagan. Nel 2015 Obama l’aveva rimossa, ma a pochi giorni dall’insediamento del suo successore, Trump ha deciso per il reinserimento. Una scelta che ricade anche sul resto del mondo: a partire dal 12 gennaio 2021 i viaggiatori provenienti dai Paesi beneficiari del “Visa Waiver Program”, che potrebbero quindi soggiornare negli Stati Uniti in assenza di visto, non possono richiedere l’Esta (Autorizzazione elettronica di viaggio per gli Usa) se hanno visitato Cuba. Di più: la maggioranza delle banche internazionali si rifiutano di processare i pagamenti cubani per paura di essere accusate di complicità con il terrorismo e incorrere in multe. Situazione che genera un sostanziale blocco degli afflussi di valuta estera e una contrazione del budget per le importazioni di cibo e medicinali. Ancor più grave ora con l’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari in seguito alla guerra in Ucraina.
Trasparenza e partecipazione
Nonostante il difficile periodo che l’isola sta attraversando continuano a prodursi fatti di straordinaria importanza. Homero Acosta, segretario dell’Assemblea nazionale e del Consiglio di Stato, ci ha spiegato che il grande cambiamento che ha attraversato Cuba con l’approvazione della nuova Costituzione nel 2019 ha posto le basi per una trasformazione anche sui temi dell’uguaglianza di genere, della violenza di genere, del lavoro di cura e della trasformazione del concetto di famiglia.
Con la necessità di accompagnare questo cambiamento con un processo di consultazione popolare per scrivere il nuovo Codice delle Famiglie, che andasse a sostituire quello del 1976.
Questo impressionante esercizio di democrazia partecipativa si è concluso con il referendum e la successiva legge.
Complessivamente si sono tenuti 79mila incontri popolari in tutto il Paese per discutere il progetto, a cui hanno partecipato sei milioni e mezzo di cittadini. Il processo di consultazione popolare ha permesso di raccogliere 336.595 interventi degli elettori e 434mila proposte.
Come contributo alla discussione, un ruolo centrale l’ha svolto la comunicazione portata avanti, in modo particolare, dal programma televisivo “Familia”. Il programma, pensato per promuovere la piena conoscenza dei contenuti del nuovo Codice, sottolineandone la concezione profondamente umanistica e la sua natura avanzata, ma anche per rendere visibile la composizione diversificata, eterogenea e complessa che oggi caratterizza le famiglie cubane.
Un processo di consultazione, informazione e comunicazione, a cui si è aggiunto quello educativo portato avanti dal Centro Nacional de Educación Sexual, gestito da Mariela Castro, figlia di Raul. Nonostante l’impegno di trasparenza e partecipazione, una parte importante della popolazione, si è espressa comunque votando “No” al referendum. Questo per dire di una discussione vera, profonda, capace di attraversare in lungo e largo la società cubana.
Il nuovo Codice delle famiglie va oltre il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la possibilità di adozione da parte di coppie omosessuali o la maternità surrogata senza fini di lucro, e rappresenta una vera avanguardia a livello internazionale.
L’Unione Nazionale dei Giuristi di Cuba ha, infatti, presentato il documento affermando che il progetto “abbandona il criterio patriarcale” di definizioni della famiglia.
Il documento affronta tantissimi temi come l’unione affettiva, le famiglie multiparentali, la responsabilità genitoriale, l’adozione, la gestazione solidale, la discriminazione e la violenza in famiglia, la divisione del lavoro di cura, l’affiliazione assistita.
Cuba è in difficoltà e resiste con orgoglio e determinazione, una volontà che si respira tra i comitati di difesa della rivoluzione, tra i membri del “poder popular”, tra gli scienziati del vaccino cubano, fino ai piani alti della Repubblica e del Partito.
L’incontro con il presidente Diaz Canel è stato un momento emozionante, uno scambio franco con un uomo che porta sulle spalle la continuazione della esperienza anomala cubana, un socialismo caraibico che ha resistito alle picconate della storia e che ora deve resistere alle bordate del blocco economico.
La domenica pomeriggio abbiamo fatto un salto al mare, ci ha accompagnato Ernesto con il suo van e una piccola attività da operatore turistico. Ernesto dice di essere un patriota, che deve tutto alla rivoluzione, lui e la sua famiglia di contadini poveri delle aree interne, ma che è davvero dura. Se nei prossimi mesi non riuscirà a garantire da mangiare ai figli sarà costretto ad andare via. Lo dice con un nodo alla gola, guardando la costa, quasi ad esorcizzare l’unica possibilità di sopravvivere che gli resta.
La sfida più grande della rivoluzione sarà quella di convincere Ernesto a restare.