A Cuba si dimette Raul Castro: è la fine di un’era
A sessant’anni dalla proclamazione della ‘revolucion’, a porte chiuse e senza la presenza di media stranieri, è cominciato l’ottavo congresso del Partito comunista cubano che proclamerà la fine dell’era Castro e l’ingresso di una classe di dirigente più giovane, guidata dall’attuale presidente Miguel Diaz-Canel.
Raul Castro, fratello del ‘lider maximo’ Fidel, morto nel 2016, lascerà, all’età di 89 anni, l’incarico di segretario generale del partito e la guida delle forze armate, segnando ufficialmente il passaggio di mano e la svolta storica. Saranno quattro giorni di assemblea in cui tutto appare già scritto. Anche il successore di Raul, indicato tre anni fa in Diaz-Canel, 60 anni, presidente di Cuba dal 2019. La sua nomina rappresenta anche la fine della successione dinastica dei Castro, che arriva con nuove regole nel partito nel segno del ringiovanimento, in un momento di grave crisi segnata dalla pandemia e dall’embargo degli Stati Uniti.
Da ora in poi per entrare a far parte del Comitato centrale del partito non si potrà avere più di sessant’anni e non più di settanta per occupare ruoli dirigenziali. Diaz-Canel rientra in questa nuova linea: compirà 61 anni il 20 aprile, il giorno dopo la fine del congresso che lo proclamerà nuovo segretario del partito.
Intervenendo all’apertura del Congresso, Castro ha sollecitato un dialogo “rispettoso” tra Cuba e gli Stati Uniti. Confermando di voler cedere il timone “a una nuova generazione”, ha chiesto “un nuovo tipo di rapporto con gli Stati Uniti” ma senza “rinunciare ai principi della rivoluzione e del socialismo”.
Castro ha inoltre sottolineato l’importanza di rafforzare l’economia del Paese in un momento segnato da crisi e carenze e ha affermato che lo “sviluppo dell’economia nazionale” è oggi, insieme alla “lotta per la pace e la fermezza ideologica”, una delle “missioni principali” del partito.
Nel suo discorso, Castro ha anche “esortato a difendere l’aumento della produzione nazionale, soprattutto alimentare, e a bandire l’abitudine dannosa di importare”. “Il Paese – ha aggiunto – deve abituarsi a convivere con ciò che abbiamo e non aspettarsi più di ciò che siamo in grado di generare, in modo che le richieste insoddisfatte della popolazione costituiscano un incentivo per i produttori nazionali”.
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