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L’incolmabile vuoto nella leadership globale

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L'analisi di Alon Ben-Meir sull'inadeguatezza dei leader mondiali e sulla necessità di figure capaci di guidarci fuori da un momento storico difficile

Viene spesso sollevata una domanda: i leader sono un riflesso del loro tempo, oppure sono coloro che rispondono alla chiamata del momento? La storia ha dimostrato che molti si sono fatti avanti spinti da un imperativo morale. Gli eventi e le circostanze erano tali che agire o non farlo aveva implicazioni talmente enormi da cambiare il corso della storia.

Stiamo certamente vivendo in un periodo di prove globali senza precedenti. L’estremismo violento si diffonde; povertà e miseria sono pervasive; paura, incertezza e disperazione regnano sovrane; e minacce esistenziali come la proliferazione nucleare e terribili disastri ambientali incombono.

Eppure, ci crogioliamo in un torpore confortevole, dimentichi di ciò che ci circonda, come se la tempesta che si prepara sulle nostre teste potesse dissiparsi da sola e noi potessimo in qualche modo esserne risparmiati e sopravvivere.

Dobbiamo ancora trovare un leader, e sfido chiunque a nominarne uno, che possa affrontare queste formidabili sfide che ci troviamo di fronte oggi. Un leader che si elevi sulla fragilità umana, sui suoi difetti e fallimenti. Un leader che sia coraggioso ma non avventato, che abbia una visione ma che sia connesso con la realtà, che non si scoraggi di fronte alle avversità, che sia disposto anche a morire per una causa nella quale crede.

Innegabilmente, siamo di fronte a una penuria di leadership che riflette lo stato corrente delle cose e condizioni che sono le stesse quasi dappertutto.

I compiacenti sono rassegnati allo status quo, agli indifferenti non importa, gli illusi fantasticano, i politici sono impegnati a manipolare, e gli assetati di potere mentono e imbrogliano per rimanere aggrappati alle loro poltrone.

I giovani non trovano pace, come hanno mostrato la Primavera araba e altri eventi occorsi altrove, perché non sanno che cosa il futuro riserverà loro. I vecchi sono disperati e contano i giorni che gli rimangono; i ricchi vogliono essere ancora più ricchi e la ricchezza globale è nelle mani di pochi, mentre i poveri non hanno dove andare.

Le autorità religiose predicano il vangelo della moralità che non praticano. E le menti migliori e più brillanti, che potrebbero alzarsi e prendere la guida, non vogliono sporcarsi le mani in questioni di politica.

Dove sono i leader che dovrebbero rispondere alla chiamata di questa congiuntura critica? Si dice che John Quincy Adams abbia detto: “Se le vostre azioni possono ispirare qualcuno a sognare qualcosa di più, imparare qualcosa di più e diventare qualcosa di più, allora siete dei leader”.

Leader come il primo ministro Churchill, che ha mostrato una volontà di ferro affrontando la Germania nazista e vincendo, ha fatto trionfare il mondo intero insieme a lui.

Yitzhak Rabin, che ha saputo riconoscere l’inevitabilità della coesistenza tra israeliani e palestinesi, aveva ragione 23 anni fa e avrebbe ragione ancora adesso. Ha allungato la mano per afferrare la pace e concluso gli accordi di Oslo del 1993, ed è morto per ciò in cui credeva.

Il presidente Abramo Lincoln, che ha combattuto contro la Confederazione per preservare l’Unione (pagando un prezzo altissimo: quasi 1 milione di vite americane), ha avviato gli Stati Uniti su un sentiero di grandezza che non trova pari nella storia delle nazioni.

Si dice che Lincoln abbia detto: “Non sono obbligato a vincere, ma sono tenuto a essere vero. Non sono obbligato ad avere successo, ma a non tradire la luce che porto dentro”.

Nelson Mandela scelse coraggiosamente la verità e la riconciliazione anziché un’insensata vendetta. Il suo esempio dimostra che è possibile la riconciliazione tra gli oppressi e gli oppressori.

Come ha detto David Foster Wallace, i veri leader sono persone che “aiutano a superare i limiti del nostro egoismo e della nostra debolezza, e la paura. Sono coloro che ci spingono a fare di meglio, a fare cose più difficili di quanto non avremmo pensato di poter fare”.

Ma guardate ai nostri leader di oggi, tra i tanti al mondo, che non meritano altro che disprezzo e vergogna:

Il presidente russo Putin, la cui fame di potere è superata solo dalla sua avidità corrotta e insaziabile, mentre l’economia russa èa brandelli e la gente soffre per i suoi eccessi dittatoriali e sogni imperialisti.

Avrebbe potuto fare della Russia una parte integrante della Comunità europea, e insieme avrebbero potuto raggiungere nuovi traguardi che singolarmente sono fuori dalla portata di entrambe.

Il presidente turco Erdogan, il cui zelo religioso e scarsa attenzione per i diritti umani stanno privando le persone della loro libertà e distruggendo il paese pezzo a pezzo.

Purtroppo, ha perso l’opportunità di creare un modello di democrazia islamica che avrebbe avuto un impatto enorme sul mondo arabo, specialmente all’indomani della Primavera araba.

Il primo ministro israeliano Netanyahu, che ha fatto della demagogia una forma d’arte e il cui zelo ideologico priva sia gli israeliani che i palestinesi della pace cui agognano e di cui hanno bisogno.

Non riesce a comprendere che la pace israelo-palestinese potrebbe aprire la strada alla rinascita della regione, se fosse accompagnata da una più ampia pace arabo-israeliana, e cambiare letteralmente il corso della storia.

Il presidente americano Bush, che ha avviato una sconsiderata guerra in Iraq – una guerra che ha trasformato la regione in un inferno e innescato una pericolosa lotta settaria della quale non si intravede la fine.

Immaginate, che differenza avrebbe fatto se i quasi due trilioni di dollari buttati in una guerra insensata fossero stati spesi nelle nostre infrastrutture fatiscenti e negli aiuti a centinaia di comunità che vivono in condizioni di abietta povertà e squallore.

L’ayatollah Khamenei, che giustizia e tortura il suo popolo mentre lo priva della propria dignità e del proprio diritto naturale di essere libero. Manda denaro, materiale e uomini per alimentare la macchina assassina di Assad, tutto nel nome di Dio.

Avrebbe potuto utilizzare le splendide ricchezze in risorse umane e naturali dell’Iran per giocare un ruolo costruttivo di leader regionale e promuovere la stabilità, il progresso e la pace.

Anche se il presidente Obama appartiene a una categoria completamente diversa – ha restituito alla presidenza degli Stati Uniti la dignità e la levatura che merita e dimostrato un inappuntabile impegno verso i diritti umani – non ha mai compreso fino in fondo il ruolo indispensabile degli Stati Uniti come leader globale.

Ha guidato dalle retrovie, creando la percezione di debolezza e di incertezza che ha permesso ad altri poteri, specialmente Russia e Iran, di infilarsi nel vuoto lasciato, insinuando il dubbio tra gli alleati americani sull’effettiva capacità degli Stati Uniti di svolgere il ruolo di guida

Con la carenza di leadership globale, c’è da soprendersi che la guerra civile in Siria abbia ucciso 300 mila persone e lasciato un paese in rovina mentre i leader del mondo falliscono miseramente nel fermare il massacro?

C’è da sorprendersi che il conflitto sunnita-sciita continui a divorare le vite di decine di migliaia di persone innocenti, sapendo che la guerra non può essere vinta e che l’unica scelta possibile è quella di convivere?

C’è da sorprendersi se dopo cinque decenni di occupazione israeliana, i palestinesi combattono tra di loro e contro Israele? Entrambe le parti devono ancora rinsavire e capire che solo la convivenza pacifica può assicurare la mutua sopravvivenza.

C’è da sorprendersi se l’estremismo violento è in crescita, se i giovani si radicalizzano e se non hanno grandi prospettive per il futuro?

Fin quando la leadership rimarrà vacante sulla scena internazionale, non possiamo che aspettarci che tutto continui così com’è.

Sì, i leader sono il riflesso del loro tempo, e ovunque la popolazione potrebbe aver raggiunto il punto di rottura.

Esigono una leadership di cui possono fidarsi, che li abbia a cuore e che sia audace. Possiamo solo sperare che questi leader li ascolteranno ed emergeranno per rispondere alla loro chiamata disperata.

— Analisi di Alon Ben-Meir, professore di relazioni internazionali ed esperto di Medio Oriente alla New York University

— Traduzione a cura di Paola Lepori

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