Il Dragone sta invecchiando: la crisi demografica preoccupa la Cina
Dal 2016 la Cina ha archiviato la politica del figlio unico. Eppure le nascite continuano a diminuire. Perché la mentalità dei cittadini è cambiata rispetto a 40 anni fa. Ora la missione di Pechino è ringiovanire la popolazione per evitare contraccolpi economici
I due bambini sono comparsi quasi da un giorno all’altro. Prima, la statua nel parco di Wuhan raffigurava una famiglia di sole tre persone davanti a un grande anello: due genitori che tengono per mano il figlio o la figlia. L’aggiunta degli altri due, racconta Guo Xue, l’autore dell’installazione, non è stata una sua idea e non è dovuta a ragioni estetiche o urbanistiche: sono state le autorità locali a richiederla verso la fine del 2023, per allinearsi alla campagna del Governo cinese che vuole incoraggiare i cittadini ad avere più figli. Campagna che passa anche attraverso, appunto, la rappresentazione di famiglie più numerose nei prodotti culturali e artistici, dopo decenni di volantini, cartelloni e altri materiali che ritraevano esclusivamente famiglie con un solo bambino, in linea con la politica del figlio unico.
La politica del figlio unico è stata abbandonata solo pochi anni fa, eppure oggi la Cina si trova a dover fronteggiare una precoce crisi demografica. Nel 2022 la sua popolazione è diminuita per la prima volta dalla grande carestia cinese alla fine degli anni Cinquanta. Nel 2023 è diminuita ancora, e l’India ha superato la Cina come Paese più popoloso al mondo: le nascite sono diminuite per il settimo anno di fila e hanno raggiunto poco più di 9 milioni, mezzo milione in meno rispetto al 2022.
Quando venne abbandonata la politica del figlio unico, nel 2016, le nascite erano circa il doppio di oggi. La popolazione non solo sta diminuendo, ma sta anche – e soprattutto – sta invecchiando. Un problema serio, di cui molti Paesi europei conoscono bene le conseguenze economiche e sociali, soprattutto per quanto riguarda la pressione fiscale sulle generazioni più giovani e la sostenibilità del sistema pensionistico.
Contromisure
In Cina gli sforzi del Governo per invertire la tendenza stanno assumendo i toni di una missione nazionale. Le attività promosse dallo Stato – come eventi per incontrare potenziali partner, “potenziati” dall’intelligenza artificiale per identificare persone con maggior compatibilità – possono far ridere alcuni, ma altri le considerano offensive e intrusive nella vita privata delle persone.
Nell’agosto dell’anno scorso, in occasione dell’equivalente cinese di San Valentino, gli abitanti della città di Xi’an hanno ricevuto un messaggio automatico da un numero governativo che recitava più o meno così: «Ti auguriamo amore e un matrimonio ad un’età appropriata. Estendiamo la stirpe cinese!».
Ci sono anche incentivi finanziari: una Provincia, ad esempio, dà l’equivalente di circa 125 euro alle coppie che si sposano prima dei 25 anni. Non si è arrivati all’obbligatorietà e alle costrizioni che hanno invece caratterizzato il periodo della politica del figlio unico.
Boomerang
Nel 1980 il tasso di fecondità – ovvero, semplificando leggermente, il numero medio di figli per donna – era di circa 3. Assumendo che rimanesse costante, i modelli predittivi sviluppati da alcuni studiosi guidati da Song Jiang indicarono che la popolazione cinese sarebbe arrivata ad oltre 4 miliardi di persone entro il 2080.
La continua crescita demografica, si pensava all’epoca, avrebbe rallentato lo sviluppo e l’economia del Paese. Il Governo istituì così la politica del figlio unico: alle famiglie cinesi era permesso avere soltanto un bambino. La legge spesso venne imposta con la forza, tramite l’uso di contraccettivi e imponendo aborti e sterilizzazioni: le famiglie che la violavano rischiavano multe che potevano arrivare ad essere multipli dello stipendio annuale medio.
Le previsioni dell’epoca, tuttavia, non avevano tenuto in considerazione altri cambiamenti nella società e nell’economia del Paese, che avrebbero abbassato il numero di figli per famiglia in modo organico. Ad esempio, la maggior partecipazione alla vita lavorativa del Paese da parte delle donne e lo spostamento delle persone dalla campagna alle città.
Quando venne istituita la politica del figlio unico si pensò che, una volta evitato il rischio di sovrappopolamento, sarebbe stato sufficiente fare marcia indietro ed eliminare la legge per far sì che la natalità tornasse a crescere. Ma quando la legge è stata effettivamente rimossa, prima garantendo qualche eccezione via via sempre più numerosa, e infine con l’abrogazione alla fine del 2015, il numero di nascite non è aumentato. Anzi, ha continuato a scendere.
Numeri
Da inizio 2016, quando si è osservato un rallentamento problematico nella crescita della popolazione, è stato permesso alle famiglie cinesi di avere due figli. Dal 2021 ne sono stati invece permessi tre, e la campagna di promozione delle famiglie numerose si è intensificata, mentre le nascite continuavano a diminuire.
I demografi considerano un tasso di fecondità di circa 2,1 come necessario per garantire che il numero della popolazione rimanga stabile – in pratica due figli per coppia, in modo da poter sostituire i genitori – assumendo un numero all’incirca uguale di uomini e donne nel Paese.
La Cina è scesa sotto a questa soglia nel 1991. Oggi il tasso è di poco superiore a 1, il numero più basso di qualsiasi Paese con più di 100 milioni di abitanti. Per fare un confronto, in Italia il tasso è molto basso, ma è comunque superiore a quello cinese: intorno a 1,22.
In India, oggi il Paese più popoloso al mondo, il tasso è intorno a 2, quindi leggermente inferiore al necessario per mantenere la popolazione stabile. Ma le giovani donne in India sono molte, e una media di 2 figli ciascuna è sufficiente – secondo le previsioni attuali delle Nazioni Unite – per far sì che la popolazione continui a crescere ancora per quarant’anni, raggiungendo il picco intorno all’anno 2063, con 1,7 miliardi di abitanti. La popolazione cinese, al contrario, a quel punto sarà diminuita di circa 300 milioni di persone, e nel 2100 sarà intorno alla metà di quella indiana.
In Cina la politica del figlio unico, unita alla tradizionale preferenza per i figli maschi, ha causato un forte disequilibrio nel Paese: oggi ci sono quasi 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne. La Cina è inoltre più sviluppata e molto più urbanizzata dell’India, e la partecipazione femminile al lavoro è significativamente più elevata (oltre il 60% contro il 24%).
Rispetto ad altre grandi economie, inoltre, la popolazione cinese sta invecchiando in una fase precoce del suo sviluppo. Quando il numero di abitanti in Giappone cominciò a diminuire, ad esempio, il Pil pro-capite nazionale era quasi tre volte quello cinese del 2022. E mentre in Giappone molte persone anziane continuano a lavorare, facendo sì che la forza lavoro rimanga più o meno costante anche se la popolazione diminuisce, la Cina è uno dei Paesi con l’età pensionabile più bassa al mondo, grazie a una vecchia legge degli anni Cinquanta la cui revisione è stata posposta molte volte. Circa un cinese su cinque oggi ha almeno 60 anni, l’età in cui la maggior parte dei lavori del Paese va in pensione.
Fattori frenanti
Le ragioni del basso tasso di natalità sono molteplici. Le donne non solo sono in relativa minoranza, ma molte non sono intenzionate ad avere dei figli, per ragioni svariate, personali e tutte legittime, come non voler rinunciare alla carriera e all’indipendenza economica (dal momento che è ancora molto difficile per le donne, in Cina come in molti altri posti, coniugare carriera e famiglia), o per la mancanza di un partner. Anche i matrimoni, infatti, sono in continua diminuzione nel Paese.
Il repentino cambio di registro della propaganda, poi, è difficile da digerire per chi ha vissuto sulla propria pelle le limitazioni della politica del figlio unico. Nel giro di pochi anni le donne (e le famiglie in generale) sono passate dal cercare di evitare sanzioni per i troppi figli – o peggio, vedersi costrette ad abortire, dare figli in adozione o sterilizzarsi – al sentirsi dire che dovrebbero avere più figli.
Anche le coppie che vorrebbero allargare la famiglia, comunque, potrebbero essere costrette a rinunciarvi per ragioni economiche. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 21% l’anno scorso, e crescere un figlio in Cina ha un costo altissimo.
Secondo un report pubblicato da un importante istituto di ricerca (il YuWa Population Research Institute), che ha analizzato la situazione in tredici Paesi, crescere un figlio fino alla maggiore età in Cina ha un costo pari a circa 6,3 volte il Pil pro-capite, al secondo posto tra gli Stati presi in considerazione dopo la Corea del Sud, che, forse non a caso, detiene anche il primato del tasso di fecondità più basso al mondo. In Giappone il costo è pari a 4,26 volte il Pil pro-capite, negli Stati Uniti è del 4,11 e in Francia del 2,24.
Gli ostacoli a un’inversione di tendenza demografica in Cina, insomma, difficilmente sembrano risolvibili con statue o pubblicità che ritraggono un modello famigliare che a molti semplicemente non interessa, e a cui altrettanti sono costretti a rinunciare.