Cosa c’è da aspettarsi dal 2018, tra appuntamenti elettorali e scenari di crisi globali
L'analisi di Giampiero Gramaglia sugli scenari geopolitici dell'anno appena iniziato
Il 2018 rischia di essere l’anno dei Grandi Assenti. Quelli sicuri appartengono al mondo dello sport: i Giochi d’inverno senza la Russia, i Mondiali di calcio senza l’Italia. Quelli paventati, ma non scontati, sono europei: l’Ue sulla scena mondiale, se resterà impaniata nei negoziati sulla Brexit, nella litigiosità ispano-catalana e nelle contrapposizioni sui migranti; e l’Italia sulla scena europea, se la stasi pre-voto della campagna elettorale sfocerà, dopo il voto, in una fase d’instabilità politica.
Ci sono poi le assenze forse auspicabili, perché certe presenze rischiano di fare danni: gli Stati Uniti di Donald Trump potrebbero non rispondere, come già accaduto nel 2017, all’appello della governance globale, della lotta al cambiamento climatico, della ricerca della pace in Medio Oriente.
Certo, senza gli Stati Uniti, la scena mondiale presenta, al centro, un grande vuoto: il presidente Trump sottrae il suo Paese alle responsabilità da Grande Potenza e lo relega al ruolo di cerbero che ringhia ai propri confini, geografici o economico-commerciali. Mark Landler, sul New York Times, scrive che il Pianeta non vede più agli Usa come un punto di riferimento dell’ordine internazionale, ma piuttosto come un’entità introversa e imprevedibile.
Un’irrilevanza americana era in parte già emersa nel doppio mandato del riflessivo, auto-critico e poco assertivo Barack Obama, ma è stata percepita con più forza nel primo anno alla Casa Bianca di Donald Trump, ‘twittatore in capo’ impulsivo e iper-reattivo. Il voto all’Onu contro la decisione – inutil e provocatoria – di trasferire l’Ambasciata degli Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme dà una misura dell’esiguità del consenso intorno alle scelte americane: con Trump, a parte Usa e Israele, solo Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau, le Isole Marshall, cioè lo 0,3% della popolazione mondiale.
Il 2017 nasceva segnato dal calendario elettorale europeo, Olanda, Francia, Germania, Austria, poi complicato dalla vicenda della Catalogna. Il 2018, invece, ha due soli appuntamenti elettorali a priori rilevanti – tre, in un’ottica italiane ed europea -: ci sono il 18 marzo le presidenziali in Russia, quasi una formalità, perché la rielezione a un quarto mandato di Vladimir Putin è scontata (e non solo perché lo Zar esclude sistematicamente dalla competizione i suoi rivali, talora usando metodi legali); e il 6 novembre il voto di midterm negli Stati Uniti, che viene già letto come un referendum su Trump, con i democratici all’opposizione che cercheranno d’ottenere il controllo di almeno un ramo del Congresso.
Ovviamente, pure altrove si voterà – ad esempio il 7 ottobre in Brasile: presidenziali tese e incerte – o ci saranno avvicendamenti al potere – in marzo, a Cuba, si farà da parte Raul Castro – o si ricorderanno figure cardine della nostra Storia – il 18 luglio il Sud Africa celebrerà Nelson Mandela nel centesimo anniversario della sua nascita -.
Sciolte le Camere, l’Italia si prepara ad altri due mesi di campagna elettorale: una modalità costante per la nostra politica dall’estate 2016, quando partì la campagna referendaria. E il voto politico non chiuderà il cerchio: ci saranno quelli amministrativi di maggio e giugno.
Eppure, il calendario degli impegni internazionali va avanti inalterato: Roma, che nel 2017 ha avuto la presidenza del G7, sarà nel 2017 alla guida dell’Osce, puntando a ricalibrarne l’agenda sul tema delle migrazioni (oltre che sul dialogo fra Est e Ovest). Proprio sulla gestione dei flussi di migranti dalla Libia, l’Italia è accusata di complicità nella violazione dei diritti umani di quelli ora ‘ospitati’ nei centri libici.
I principali quadranti d’attenzione geo-politica restano l’Estremo Oriente, il Medio Oriente e, per quanto ci riguarda, l’Unione europea. Il 2018 potrà confermare l’ascesa a leader globale del presidente cinese Xi Jinping e il pieno ritorno a quel ruolo del russo Putin, mentre sarà una misura piena dell’impatto e dell’incisività del presidente francese Emmanuel Macron.
I principali problemi globali sono il cambiamento climatico, l’economia e il lavoro, il sentimento d’insicurezza – collegato al terrorismo e, da una politica della paura, alle migrazioni -, la crescita delle disuguaglianze. Nel flipper del Mondo, c’è poi la pallina impazzita di Donald Trump, le cui priorità variano al ritmo d’un tweet (e al mutare delle convenienze personali).
Estremo Oriente – Qui, la variabile è una sola: la Corea del Nord di Kim Jong-un, il Kim III dell’anacronistica dinastia comunista, potenza nucleare e missilistica il cui arsenale è progressivamente più vasto e più affidabile (e, quindi, più minaccioso e più pericoloso), anche se resta modestissimo a confronto di quelli di Usa e Russia. L’incognita è se Kim e Trump porteranno avanti le loro gag alla Fratelli De Rege – innocue, fin quando restano verbali – o se l’influenza, modesta, di Pechino e Mosca su Pyongyang e di Tokyo e Seul su Washington spingerà al negoziato i due leader riottosi.
Medio Oriente – Qui, invece, le variabili sono talmente numerose da perderci la bussola: sunniti e sciiti continueranno a combattersi nello Yemen?, ed a farsi la guerra ovunque?; l’Arabia Saudita avrà un nuovo re (Mohamed bin Salman potrebbe succedere all’anziano Feisal)?, o le dinamiche – gattopardesche – del rinnovamento non supereranno le resistenze?; l’Iran continuerà a rispettare, nonostante i fermenti interni e le intemperanze di Trump, il patto sul nucleare?; la Siria ritroverà una stabilità sotto il presidente al-Assad, tenuto in piedi dall’alleanza con russi e iraniani e sicuramente confermato alle prossime elezioni?; senza contare le ambizioni della Turchia, la conflittualità di Israele, la fragilità della Libia.
Unione europea – Il 2018 non sarà l’anno della Brexit, che diventerà effettiva nel 2019, ma sarà ancora un anno di trattative sulla Brexit, con un corredo di progressi verso una politica europea della difesa e della sicurezza e litigi sull’immigrazione tra accoglienza e protezione dei confini, solidarietà e ‘aiutiamoli a casa loro’. Sperando che Madrid e Barcellona trovino nel dialogo risposte legali e costituzionali alle aspettative catalane.
L’incognita, per l’Ue, è un elemento finora considerato acquisito: l’affidabilità della Germania, che deve darsi un assetto di governo dopo il voto di settembre. Solo quando se lo sarà dato, si capirà se il motore franco-tedesco potrà davvero girare a pieno regime: il presidente Macron è straripante d’idee e iniziative; la cancelliera tedesca Angela Merkel è meno forte che un anno fa, ma è ancora indispensabile. Nel 2018, come è sempre stato da 60 anni in qua, Francia e Germania da sole non potranno fare il bello e il brutto tempo nell’Ue; ma l’Unione non riuscirà a fare passi avanti senza una buona intesa tra Parigi e Berlino.
L’analisi è stata pubblicata da AffarInternazionali con il titolo “Accadde Domani: 2018, l’anno dei Grandi Assenti” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore.
*Giampiero Gramaglia è direttore responsabile di AffaInternazionali.