Corruzione iberica
La Spagna perde dieci posizioni nella classifica di Transparency International. Ma è davvero così corrotta?
La busta color marrone canna da zucchero contenente 25mila euro in banconote da 500 euro che l’ex tesoriere del Partido Popular (PP) Luis Barcenas ha giurato dinanzi ad un giudice di aver consegnato nel marzo 2010 all’attuale primo ministro Mariano Rajoy è uno degli eventi clou dell’annus horribilis che ha vissuto la Spagna. Un 2013 amaro che non ha risparmiato nemmeno l’immagine della famiglia reale spagnola, appannata dal “Caso Nòos”, consumatosi anch’esso nel 2010, all’inizio della crisi economica. Nel “caso Nòos” l’indagato è il genero del re Juan Carlos, Iñaki Urdangarin, accusato di essersi appropriato indebitamente di sei milioni di euro in fondi pubblici tramite l’Istituto Nòos, un’associazione senza scopo di lucro.
Tutte queste vicende hanno pesato nel bilancio che ogni anno “Trasparency International” traccia su 177 paesi del mondo. La Spagna è risultata la nazione che è peggiorata di più nell’arco degli ultimi 12 mesi in Europa: ben dieci posizioni perse, attestandosi al 40° posto. Nel complesso meglio di Italia (59) e Grecia (80). Ma peggio di Portogallo (33) e Cipro (31). In cima alla classifica svettano Danimarca (1) e Nuova Zelanda (1) mentre chiudono la classifica Somalia, Nord Corea e Afghanistan (175).
Tanto per dare un’entità del tonfo spagnolo basta dire che l’indice di corruzione è stato simile a quello della Gambia, della Libia(172), del Mali (127), della Guinea Bissau (163). Peggio ha fatto solo la Siria (167), giunta al terzo anno di una sanguinosa guerra civile.
La Spagna è l’unico paese dell’Eurozona a non avere una legge che obblighi chi usa i soldi pubblici a pubblicare come vengono spesi. A breve dovrebbe essere approvata una “legge sulla trasparenza” ma, secondo “Transparency International”, «molta strada deve essere compiuta» . In particolare l’Ong con sede in Germania chiede sanzioni più chiare ed esplicite. Oppure che dal raggio di azione della nuova legge non vengano escluse questioni che possano minacciare gli interessi economici e commerciali, i settori della politica economica e monetaria e la politica ambientale.
Anche il “Guardian” ha raccolto i dati raccolti da “Transparency International” ma ha sollevato qualche dubbio in merito alla validità di quello che è attualmente considerato “l’indicatore di corruzione più diffuso al mondo”. Lo studio si avvale infatti delle percezioni di un nucleo di imprenditori e di esperti. Non proprio prove inconfutabili, insomma. Il giudizio finale dello studio, secondo il “Guardian”, deve essere preso con le molle. Basare un giudizio su sensazioni può non essere del tutto valido.
In un articolo di inizio anno comparso su “Foreign Policy” intitolato “Percezioni che corrompono” Alex Cobham ha evidenziato come lo studio dovrebbe concentrarsi di più su come la corruzione danneggi i cittadini.
In molti non sono d’accordo con il metodo utilizzato da TI. L’“Economist” ha chiamato «Il misuratore delle tenebre» e ritiene che i suoi numeri non possano racchiudere in un numero un evento tanto profondo e diffuso come la corruzione.