La pandemia negli Usa si poteva evitare. Ora con 40mila morti Trump vuole riaprire tutto
Negli Stati Uniti è più importante salvare l'economia che la salute dei cittadini. Ecco il piano di Trump per la fase 2 tra misure anti-immigrati e poca chiarezza su cosa abbia fatto la Casa Bianca prima dell'arrivo della pandemia. L'analisi dell'inviato di TPI a Washington Iacopo Luzi
Coronavirus Usa, perché ora vogliono riaprire prima di tutti
WASHINGTON – Quando ho iniziato a scrivere quest’articolo, volevo parlare di come gli Stati Uniti e l’amministrazione Trump avessero avuto due mesi di tempo, e numerosi avvertimenti, per evitare una epidemia nel paese. Poi è venuta fuori la storia di voler riaprire l’America già per i primi di maggio, nonostante gli States abbiano ottocentomila casi, più di 40mila morti e il probabile raggiungimento di un milione d’infetti per la fine del mese, secondo varie stime. Tutto ciò, mentre gli epidemiologi affermano che tornare alla normalità, adesso, sia una follia e molti cittadini, in diversi stati, siano scesi in strada a protestare contro le restrizioni.
Infine, quando credevo che la situazione fosse già abbastanza surreale, è arrivata, questo lunedì 20 aprile, la notizia che il presidente Trump, a breve, firmerà un ordine esecutivo per proibire l’approvazione di nuove green card (le carte di residenza, per intenderci) e la conseguente venuta di nuovi stranieri attraverso questa forma di immigrazione. La ragione? Fermare, come denominato da Donald Trump, il “nemico invisibile”. Di fronte a ciò, ora, mi ritrovo a cercare di fare ordine in questo marasma di notizie e avvenimenti.
Cosa è successo per punti
Eppure il tutto potrebbe essere semplicemente riassunto in quattro semplici punti:
1. Gli Stati Uniti hanno sottostimato il pericolo del Coronavirus, senza prepararsi minimamente per svariati mesi, e ora sono il paese al mondo con più malati e morti.
2. Questa situazione di crisi ha portato, logicamente, a delle restrizioni e quarantene in tutti i vari stati per cercare di fermare la diffusione del patogeno, cosa che non è piaciuta a tutti e ha danneggiato profondamente l’economia. Sono ventidue i milioni di disoccupati, al momento.
3. Siccome in America l’economia è molto, ma molto, importante, spesso più di tante altre cose, è nata l’insorgente necessità di riaprire il paese molto prima del previsto, nonostante il picco dei casi sia ancora distante in diverse zone. E, allo stesso tempo, abbiamo potuto vedere, in televisione, centinaia di persone che si sono precipitate in strada a protestare per la propria libertà (di ammalarsi, aggiungerei, visto che hanno contagiato e sono stati contagiati in molti, senza dubbio), anziché ringraziare le autorità statali per proteggerli e cercare di mantenerli in salute.
4. Tutto questo ha paradossalmente portato la Casa Bianca a prendersela con gli immigrati e proibire la loro immigrazione legale per sessanta giorni, anziché esaminare la propria mancanza d’azione e coordinamento, con la motivazione che questo eviterà l’arrivo di nuovi contagi (come se i malati non fossero già tantissimi) e permetterà agli statunitensi disoccupati di avere accesso ai lavori, quando l’economia ripartirà, prima che uno straniero glieli freghi. Ora, se non avete ancora il mal di testa, dopo questa rapida panoramica, possiamo entrare nel dettaglio.
In primis, parlando del fatto che, secondo quanto rivelato dalla stampa americana, il presidente Trump fin da fine gennaio aveva ricevuto numerosi avvisi e avvertimenti da parte di membri della sua amministrazione, anche molto vicini a lui, sul pericolo del Coronavirus. Tuttavia, il magnate newyorkese ha etichettato come eccessivamente allarmiste queste preoccupazioni e minimizzato il virus fino alla metà di marzo quando, di fronte al vertiginoso aumento dei casi, ha dovuto ritrattare e cambiare idea. Addirittura difendendo a spada tratta il proprio operato, affermando, per esempio, di aver chiuso i voli dalla Cina prima di tutti quanti.
Un enorme vuoto su cosa è successo a febbraio
Eppure, in una delle sue ormai consuete conferenze stampa giornaliere (che spesso si tramutano in comizi), mentre mostrava una cronologia delle misure prese dalla sua amministrazione, c’era un evidente buco nel mese di febbraio. Di fronte alle domande insistenti dei giornalisti , soprattutto una reporter della CBS, che facevano notare la grave assenza di provvedimenti per un mese intero, Donald Trump non è stato in grado di spiegare cosa avesse fatto esattamente la Casa Bianca a febbraio, limitandosi a ripetere “abbiamo fatto molto” e tacciando i media presenti di mettere in circolo solo “fake news”.
La verità è che gli Stati Uniti avrebbero potuto evitare tranquillamente una pandemia, o per lo meno essere pronti ad affrontarla adeguatamente, ma ciò non è avvenuto. Gli ospedali sono ancora in crisi, mentre continua a mancare la capacità di compiere test a tappeto sulla popolazione, per comprendere l’effettiva dimensione dell’epidemia. Già tutto questo potrebbe essere sufficiente, per spiegare la situazione che si sta vivendo qui, da Washington DC al Dakota del Nord, anche se i giornalisti italiani esperti di America, che spesso vivono in Italia, tendono a descriverla diversamente e in maniera confusa.
La gravità della pandemia
Ma viverla, qui, per le strade, vedendo la gente che esce senza mascherina, che svuota i supermercati di carta igienica, che crede che il Coronavirus sia solo un’influenza o una congiura dei poteri forti per ammazzare economicamente il proletariato, permette di capire perché ci sia questa smania impellente di riaprire tutto, che tanto il sistema sanitario può ormai reggere il colpo, dicono (cosa che non è avvenuta in un mese e passa e anzi sono mancati i respiratori fino a due settimana fa) e perché, parole del presidente stesso, “il rimedio non può essere peggiore del male”. Dietro Trump, una schiera di governatori, sindaci, amministratori, che spingono ansiosamente per riaprire la nazione. La voce dei più assennati, che chiedono più tempo e maggiori test, come il governatore Andrew Cuomo dello stato di New York (il quale ha addirittura minacciato di ignorare gli ordini federali) sembra perdersi nel vuoto.
Va detto che, fortunatamente, la decisione finale sul riaprire o meno spetterà ai singoli governatori statali, quindi sicuramente non si annulleranno le quarantene nelle zone più colpite. In fondo, come già detto, c’è un’economia da salvare, arrivando a prendersela con chiunque, persino con l’Organizzazione Mondiale della Salute, per non aver fatto il suo dovere con la Cina, quando è emerso fuori il virus – il paese asiatico è diventato il bersaglio preferito degli attacchi di Trump, che accusa Pechino di aver mentito sui numeri (cosa vera) e di avere molti più morti di quelli dichiarati (cosa presunta, ma probabile).
Alcune perle sparse, prima di procedere al gran finale: nei cartelli dei manifestanti, nelle varie proteste di questa settimana, dal Michigan al Texas, si poteva leggere “Meglio ammalarsi, che morire di fame”. Allo stesso tempo, a Jacksonville, Florida, le spiagge sono state già riaperte e indovinate cosa hanno fatto le persone? Se ne sono restate a casa? No, in centinaia sono andate subito al mare. Perciò eccoci arrivati alle notizie più recenti, con il governo e il Congresso che pompano trilioni di dollari per cercare di salvare l’economia, le sue imprese e i cittadini, mentre c’è una campagna presidenziale da portare avanti e provare a vincere. Sarà Trump contro l’ex vicepresidente democratico Joe Biden. Questa pandemia ha sicuramente danneggiato l’immagine del leader americano, infatti, secondo diversi sondaggi, la maggior parte della popolazione in questo momento giudica negativa la reazione della Casa Bianca al Coronavirus.
Gli effetti sulle presidenziali Usa
Tutto potrebbe avere una ripercussione a novembre, quando si voterà, probabilmente per posta, visto il COVID-19, e senza la possibilità di organizzare comizi e incontri elettorali, eccoci di fronte alla decisione senza precedenti di bloccare l’approvazione delle Green Card per due mesi e la colpevolizzazione degli immigrati, tacciati di venire in America a portare il virus e a rubare posti di lavoro che, con la crisi economica, dovrebbero, adesso, spettare prima agli statunitensi.
Senza entrare nel dettaglio, basta solo dire che diversi studi dimostrano che americani e immigrati spesso non competono per gli stessi posti di lavoro, mentre, allo stesso tempo, molti cittadini americani non hanno le stesse competenze o possibilità di muoversi che avrebbe uno straniero. La cosa sembra, secondo diversi analisti politici, una semplice, e allo stesso tempo azzardata, misura per far contento il proprio zoccolo duro (e spesso estremista) di elettorato, lo stesso che ha fatto vincere Donald Trump nel 2016, dandogli in pasto ciò che odia e teme di più: l’immigrato. Senza contare che l’emergenza ha già legittimato l’amministrazione statunitense ha prendere misure estreme contro i migranti, per esempio alla frontiera con il Messico, dove ha iniziato a deportare ogni nuovo arrivato, in barba a qualsiasi legge migratoria, con il pretesto che possa essere malato di Coronavirus.
Ora, a riguardo del blocco temporaneo delle green card, non si sa se un giudice a livello federale bloccherà l’ordine esecutivo del presidente, specie considerando che la Corte Suprema, il massimo organo giuridico del paese che gode di una maggioranza conservatrice (grazie a due nuovi giudici messi da Trump), ha già legittimato in passato le presidenziali restrizioni d’ingresso a determinati migranti. Con una crisi sanitaria in corso, sembra ancora più credibile che rimanga in vigore l’ordine. Perciò non resta che fare un bel respiro, probabilmente prendersi un’aspirina per evitare l’emicrania, e attendere un nuovo giorno di questa emergenza Coronavirus negli Stati Uniti, senza sapere cosa altro potrà mai succedere. Con una certezza: l’America è, e sempre sarà, un paese differente, sotto tutti i punti di vista, anche i più assurdi e incredibili, rispetto al resto del mondo.
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