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Coronavirus, il Messico rischia di diventare un nuovo epicentro della pandemia (di I. Luzi)

Immagine di copertina
Città del Messico. Credit: EPA/Jorge Nunez

Coronavirus, il Messico rischia di diventare un nuovo epicentro della pandemia (di I. Luzi)

In America centrale la maggior parte dei paesi, dalla Costa Rica al Guatemala, hanno risposto in maniera decisa, forse anche troppo, all’epidemia di Coronavirus. Questo nonostante in tutta la regione si contino soltanto quasi 3mila casi per il momento. Di questo numero, un terzo dei casi proviene unicamente dal Messico. Paese che, nonostante oltre mille contagi e già 28 morti,  fino al 23 marzo non aveva annunciato alcuna misura restrittiva di spessore per la sua popolazione di oltre 129 milioni di persone.

Eppure il virus, secondo gli esperti, si aggira già da un mese sottotraccia, da quando sono comparsi i primi casi a Città del Messico.  I numeri sono così bassi, finora, perché le autorità non hanno fatto molti test per riscontrare persone positive. Il collegamento è semplice: pochi test, pochi malati. Impossibile, anche solo lontanamente, stabilire con certezza quanti siano i casi sommersi e le positività asintomatiche.

Una situazione, quella del Messico, che fino a qualche giorno fa sembrava surreale, con le strade piene di persone, i negozi aperti, il solito traffico caotico, mentre il mondo entrava in quarantena. Uno scenario grottesco, nonostante i numerosi richiami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), affinché il paese prendesse provvedimenti contro la pandemia di Coronavirus. “Se i casi continuano a crescere, avremo molto presto una mancanza di attrezzature mediche ed entreremo in una fase di crisi del sistema sanitario. La capacità degli ospedali, già di suo molto scarsa, sarà annichilita se non verranno prese le misure appropriate”, afferma il dottor Hector Cadena Mendoza.

Mendoza sostiene che alcuni accorgimenti siano stati presi già a gennaio, quando le prime notizie dalla Cina avevano iniziato a circolare. Tuttavia, la verità è che le autorità erano convinte che il virus non avrebbe colpito più di tanto il Messico. Non sembra di rivedere lo stesso atteggiamento degli Stati Uniti e dell’Ue, nel sottovalutare la forza e pericolosità del virus Tuttavia, mentre in Europa e negli Stati Uniti, le misure restrittive a un certo punto sono state adottate, in Messico il governo e, in particolare, il presidente Andrés Manuel López Obrador hanno continuato a invitare la popolazione a uscire e andare avanti con la propria vita come se niente fosse. Ad abbracciarsi, a volersi bene, affermando che l’economia è importante e che non poteva fermarsi per un patogeno qualsiasi. Foto e video mostrano il presidente Obrador il 15 di marzo a una manifestazione politica, mentre stringe mani, sorride e si fa scattare foto con i suoi sostenitori, senza rispettare la minima regola protettiva e il distanziamento sociale. Obrador ha 66 anni.

Per il presidente, il sistema sanitario messicano è all’altezza della pandemia e ha risorse mediche e letti sufficienti per qualsiasi situazione, anche la peggiore. Eppure, sebbene ci siano molte reticenze ad ammetterlo da parte degli stessi medici, il sistema non è affatto pronto. Lo dice anche l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD): il Messico ha meno infermieri e unità di terapia intensiva pro capite dell’Italia, degli Stati Uniti e della Corea del Sud. E i respiratori sono soltanto 2.050 in tutto il paese. Una situazione potenzialmente apocalittica.

Dopo mille indugi e innumerevoli pressioni, il governo ha finalmente ceduto: di fronte all’aumento vertiginoso dei casi, il 235 per cento in più in appena una settimana, le autorità messicane hanno deciso di sospendere tutte le attività non essenziali fino alla fine di aprile e hanno dichiarato l’emergenza sanitaria nazionale. Ora, da Veracruz a Città del Messico, fino alle bellissime spiagge di Cancún, la maggior parte dei messicani si trova dentro casa, ma una fetta della popolazione, quella parte che vive alla giornata e non può permettersi di rimanere al sicuro fra le propria mura domestiche, continua a uscire, a guadagnarsi il pane quotidiano. Non andare a lavorare è un lusso che non tutti possono permettersi in Messico, dove i poveri temono più di morire di fame, che di malattia.

Secondo diversi medici, come Francisco Moreno, che lavora in una clinica privata a Città del Messico e ha già trattato diversi casi di Coronavirus, il paese ha tutte le carte in regola per poter ritrovarsi nella stessa situazione dell’Italia. Per esempio, molte persone che lavorano per la strada e strutture sanitarie non preparate. Per questo Moreno è sicuro che nelle prossime settimane il numero dei casi aumenterà ancora di più. Tuttavia, c’è chi crede che il Messico saprà cosa fare, come José Estévez, medico di famiglia a Toluca, il quale  afferma che, nonostante il ritardo, non è troppo tardi per il suo paese: “Ora siamo in una fase in cui se tutti i parametri e protocolli vengono presi in considerazione e rispettati, possiamo minimizzare il danno. Negli altri paesi, penso che la mancanza di tempo sufficiente sia stato il vero problema”. Inoltre, Estévez è convinto che il paese, che ha già affrontato un’altra epidemia nel 2009, quella del H1N1, saprà come gestire una nuova emergenza.

Va detto che l’H1N1, una forma di influenza suina emersa precisamente in Messico per la prima volta undici anni fa,  ha causato soltanto 398 morti, portando il paese a fermarsi solo due settimane fra aprile e maggio di quell’anno. Quello che preoccupa è anche l’attitudine di molti cittadini che sottovalutano il virus e che credono che non succederà niente in Messico. Un atteggiamento che può far solo preoccupare, tanto che una delle prime vittime del Coronavirus è deceduta dopo aver partecipato a un grande concerto e dove, teoricamente, è entrata in contatto con centinaia di persone.

Per questa ragione, molti epidemiologi internazionali ritengono che il Messico potrebbe diventare un nuovo epicentro della pandemia, come l’Italia e gli Stati Uniti, nelle prossime settimane, con centinaia di migliaia di casi. Senza contare che l’Organizzazione Sanitaria panamericana (PAHO) ha stimato che per 700mila messicani, soprattutto coloro con problemi di obesità e di diabete, il Coronavirus potrebbe essere potenzialmente mortale. In poche parole: i mille casi attuali in Messico potrebbero essere solo la calma prima della tempesta.

 

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