Ecco come la Corea del Nord usa i bitcoin per aggirare le sanzioni degli Stati Uniti
Secondo diversi esperti di sicurezza informatica, il regime di Pyongyang fa ricorso alla criptovaluta per eludere le restrizioni commerciali e finanziare così il suo programma nucleare
La Corea del Nord ricorre ai bitcoin per aggirare le sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dagli Stati Uniti per il suo programma nucleare.
Secondo diversi esperti di sicurezza informatica, il regime guidato da Kim Jong-un negli ultimi tempi ha notevolmente intensificato i suoi investimenti sulla criptovaluta, utilizzando i ricavi per continuare a finanziare il proprio programma di armamento nucleare.
Priscilla Moriuchi è un ex alto funzionario dell’Agenzia per la sicurezza Usa incaricato di sorvegliare le minacce informatiche provenienti dall’Asia orientale e oggi lavora per la società di intelligence digitale Recorded Future.
Moriuchi ha stimato che Pyongyang generi ricavi tra i 15 e i 200 milioni di dollari creando e vendendo criptovalute, per poi trasformarle in denaro. In questo modo riesce, almeno in parte, ad aggirare le sanzioni Usa.
La somma non è sufficiente per finanziare totalmente i programmi nucleari della Corea del Nord, ma garantisce comunque che questi non si interrompano del tutto.
L’11 settembre 2017 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione che impone nuove sanzioni economiche alla Corea del Nord come misura di contrasto ai test nucleari portati avanti dal regime.
In particolare, le sanzioni interessano le importazioni petrolifere, il divieto di esportazioni tessili e severi limiti alla possibilità di lavorare all’estero per i cittadini nordcoreani.
A queste si aggiungono le restrizioni da parte degli Stati Uniti, in vigore dal 2008, che presto dovrebbero aggravarsi. Il 23 febbraio il presidente americano Donald Trump ha annunciato “la più grande serie di nuove sanzioni” nei confronti della Corea del Nord.
Le nuove misure americane interesseranno 56 tra navi e compagnie di trasporto marittimo.
Anche se le sanzioni penalizzano l’economia fisica della Corea del Nord, attualmente ci sono pochi modi in cui gli Stati Uniti e, più in generale, la comunità internazionale possono frenare la crescente economia digitale di Pyongyang.
Moriuchi ha parlato degli investimenti del regime nordcoreano in bitcoin con un giornalista di Vox. “Scommetto che queste monete vengono trasformate in qualcosa, valuta o beni materiali, che sta supportando il programma nucleare e missilistico-balistico della Corea del Nord”, ha detto.
Alla base della decisione di Pyongyang di puntare sui bitcoin c’è la semplicità con cui vi si può accedere: non sono richiesti particolari requisiti di sicurezza e inoltre molte delle piattaforme in cui si scambiano le criptovalute garantiscono l’anonimato ai propri utenti.
Secondo Moriuchi, in questi anni la Corea del Nord ha costruito una rete di basi operative in paesi stranieri, in particolare in Cina e nel sud-est asiatico, dove vengono eseguite queste operazioni informatiche.
Gli operatori cyber inviati in questi centri hanno sostanzialmente due posti di lavoro: uno per condurre le operazioni richieste dal regime e un altro per guadagnare loro stessi dei soldi, la maggior parte dei quali, circa dall’80 al 90 per cento, viene però inviata in patria.
In tutto questo non c’è niente di illegale. Inoltre, nel suo operare con la criptovaluta, Pyongyang può trarre vantaggio dal fatto che questa materia è regolata ancora in modo estremamente vago.
Ma il regime ricorre anche ad azioni criminali sui bitcoin.
Nel settembre 2017 FireEye Inc., azienda statunitense specializzata nei sistemi di sicurezza delle reti informatiche, ha pubblicato un rapporto nel quale si ravvisano crimini informatici di matrice nordcoreana ai danni del sistema bancario e finanziario globale.
Nel documento si afferma che “è probabile che questa attività sia stata realizzata per finanziare lo Stato o le casseforti personali dell’élite di Pyongyang” allo scopo di aggirare le sanzioni internazionali.
Da maggio 2017, gli analisti di FireEye Inc. hanno osservato che gli operatori nordcoreani hanno come target almeno tre piattaforme di scambio di criptovalute sudcoreane: il sospetto è che l’obiettivo sia quello di rubare fondi.
In questi casi spesso vengono utilizzati meccanismi di spearphishing, che consistono nell’invio di mail contenenti malware.
Il rapporto rivela che i nordcoreani hanno anche violato un sito web di notizie sui bitcoin in inglese e raccolto pagamenti di riscatti in bitcoin da vittime di questi malware.
Anche l’intelligence della Corea del Sud ritiene che hacker nordcoreani abbiano rubato nel febbraio 2017 almeno 7 milioni di dollari su Bithumb, la più nota piattaforma di scambio di bitcoin del paese. Ma secondo alcuni la somma potrebbe superare gli 80 milioni.
Inoltre, gli hacker hanno anche rubato le informazioni personali di circa 30mila persone, chiedendo 5,5 milioni di dollari in cambio della cancellazione delle informazioni acquisite.
Secondo Steven Kim, ricercatore in visita presso la Jeju Peace, istituto in Corea del Sud, “la criptovaluta è la forma di denaro ideale per la Corea del Nord”.
Citando alcuni esperti, il quotidiano Korea Times osserva invece come l’acquisizione di bitcoin abbia soddisfatto la “disperata richiesta del governo di Kim Jong-un di eludere le sanzioni e alla fine guadagnarsi moneta forte”.