La Corea del Sud bandisce il caffè in tutte le scuole
Il governo ha deciso di agire dopo che diversi studenti hanno detto di soffrire di palpitazioni legate anche allo stress di un sistema educativo molto esigente
La Corea del Sud ha bandito la vendita di caffè e bevande che contengono caffeina nelle scuole primarie e secondarie per cercare di promuovere delle scelte di vita più sane per studenti e professori.
Tutte le macchinette automatiche e i chioschi nelle scuole del Paese asiatico smetteranno di vedere ogni prodotto che contiene caffeina dal 14 settembre, in seguito a una direttiva del Ministero per la Sicurezza di Cibo e Sostanze di Seoul.
Il divieto fa parte di una campagna più ampia messa in piedi dal governo per scoraggiare il consumo di cibo e bevande ad alto contenuto di calorie e caffeina.
“Vogliamo creare delle abitudini alimentari più sane tra i bambini e gli adolescenti”, ha detto un rappresentante ministeriale al Korea Times. Nel 2016, il 17 per cento degli studenti delle scuole primarie e secondarie sudcoreane erano obesi.
All’inizio dell’anno il governo sudcoreano aveva già bandito gli energy drink a scuola e le pubblicità di fast food, merendine zuccherate e bevande ad alto contenuto di caffeina in TV negli orari in cui i bambini la guardano di più.
La decisione è arrivata anche grazie ai report pubblicati dai media del Paese che mostravano come gli studenti sudcoreani, già sottoposti a molto stress per via di un sistema scolastico molto esigente, soffrano di palpitazioni per via del caffè.
Molti studenti consumano regolarmente caffè ed energy drinks per riuscire a rimanere scegli e studiare di più di fronte a un sistema educativo molto competitivo e impegnativo.
Altri sintomi riportati sono vertigini, aumento del battito cardiaco, disordini del sonno e nervosismo.
Gli abitanti della Corea del Sud sono il popolo che beve più caffè in tutta l’Asia, secondo una ricerca di mercato di Euromonitor: un sudcoreano medio beve in media 181 caffè all’anno. Secondo lo stesso studio, gli italiani ne bevono in media 546 all’anno, mentre gli statunitensi 266.