Cop29 al via fra tante ombre e assenze illustri: Meloni c’è, ma continua a finanziare i fossili
Al centro della Conferenza Onu per il Clima un nuovo accordo sulla finanza climatica. Mancano quasi tutti i leader delle maggiori potenze mondiali. La premier italiana invece c'è: ecco cosa (non) ha detto. Il racconto da Baku di Giorgio Brizio
Cop29 al via in Azerbaijan tra le ombre
Baku – La problematica Cop29 in Azerbaijan è iniziata. L’obiettivo di questa Conferenza sul clima, ospitata per la terza volta di seguito da un’autocrazia fossile, è quello di trovare un nuovo accordo sulla finanza climatica, che prende il nome di New Collective Quantified Goal (Ncqg).
Il tema della finanza per il clima può sembrare noioso, ma è fondamentale. Si tratta di superare l’obiettivo annuo dei 100 miliardi dollari fissato alla Cop16 di Copenaghen per il periodo 2010-2025, che da allora non viene modificato. Questa Cop finora è stata raccontata come un’edizione dalle basse aspettative e di transizione in attesa della prossima in Brasile, ma se dovesse riuscire a definire un nuovo modello di finanziamento, che spazi da risorse pubbliche ai finanziamenti attraverso le Banche Multilaterali di Sviluppo fino ai contributi del settore privato, potrebbe essere considerata un successo.
Se passerà il principio che sono gli inquinatori a dover pagare per la transizione degli inquinanti, verrà aggiunto un pilastro all’architrave della cooperazione internazionale.
Il Sud globale – l’Africa, i Caraibi, le isole del Pacifico – chiede una cifra vicina ai mille miliardi di dollari. Per le democrazie del mondo ricco sono soldi difficili da promettere in un contesto di inflazione e crisi politica. Non conta però solo la cifra, ma anche le condizioni e facilità di accesso ai soldi.
Cop29: assenze illustri
Il primo giorno, lunedì, alle Cop è tradizionalmente il giorno zero, quello inaugurale. Nella plenaria, davanti alle 198 delegazioni, ha preso parola Mukhtar Babayev, presidente di Cop29, che – nonostante il suo passato da petroliere – ha ricordato che “le attuali politiche ci portano a un aumento di +3ºC, che distruggerebbe le comunità di molti paesi presenti in questa stanza”.
Dopo di lui Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc (agenzia delle Nazioni Unite che organizza le Cop), ha mostrato una foto che lo mostra abbracciato a Florence, sua vicina ottantacinquenne a Grenada (piccolo Paese caraibico), la cui casa è stata spazzata via da uno dei tanti uragani che hanno caratterizzato quest’anno – Beryl, Boris, Helene, Milton.
Nel secondo e terzo giorno, ieri e oggi, si è svolta la sfilata di capi di stato e governo che tradizionalmente aprono il vertice. Con l’adesione di circa 90 di loro, quasi tutti uomini, la Cop resta il consesso diplomatico con la maggior partecipazione di leader, seconda solo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ci sono stati, per motivi diversi, assenti illustri. Xi Jinping, Vladimir Putin, Cyril Ramaphosa e ovviamente Joe Biden. Lula non poteva prendere aerei per una piccola emorragia celebrale. Macron ha scelto di non venire in virtù della stretta alleanza della Francia con l’Armenia, in conflitto con l’Azerbaijan per la regione del Nagorno-Karabakh. Scholz “ha preferito seguire la crisi di governo piuttosto che la crisi climatica”, come hanno denunciato gli attivisti tedeschi presenti alla Cop in un’azione nel padiglione della Germania.
Von der Leyen è rimasta a Bruxelles per occuparsi delle nomine dei nuovi commissari, le cui audizioni sono state fissate in modo sconsiderato durante la Cop, a cui l’Unione europea è presente come un unico soggetto politico. La vittoria di Trump quantomeno permetterebbe all’Unione di assumere definitivamente un ruolo di guida e e diventare punto di riferimento questione climatica, solo che è l’Ue a essere senza guida.
Cop29: cosa (non) ha detto Meloni
L’unico leader di un grande Paese europeo ad avere alle spalle una maggioranza forte è Giorgia Meloni, che non si è fatta sfuggire l’occasione – anche in quanto presidente del Paese ospitante del G7 – per provare ad accreditarsi come voce dell’Europa.
Stamattina nel suo intervento Meloni ha sottolineato la necessità “che ciascuno cooperi, a partire dai maggiori emettitori di gas a effetto serra”, trascurando il fatto che l’Italia è il sesto Paese per finanziamenti a combustibili fossili nel mondo.
“Un approccio che è troppo ideologico e non pragmatico rischia di toglierci dalla strada per il successo”, ha continuato Meloni, che non ha annunciato nessun nuovo impegno da parte dell’Italia. Se il successo è intensificare i rapporti con i Paesi esportatori di combustibili fossili e continuare a vedere davanti ai nostri occhi le conseguenze della crisi climatica, è sulla giusta strada.
Il disastro di Valencia e le immagini di queste ore in Sicilia ci ricordano però che “la transizione non è più rinviabile”, come ha affermato il premier spagnolo Sanchez che, proprio per quello che è successo alla vigilia di questa Cop, ha tenuto ad esserci.
Ambizioni e minacce
A prendersi la scena, non solo a parole ma anche coi fatti, ci ha provato anche Keir Starmer, che ha lanciato il piano del Regno Unito di tagliare le emissioni dell’81% al 2035. Un passo avanti importante, che leggiamo anche come una sfida all’Unione europea e al suo piano di riduzione delle emissioni del 90% al 2040: vediamo chi decarbonizza l’economia interna prima e meglio?
Subito dopo di lui, salutandolo ma senza stringergli la mano, è arrivato al podio Viktor Orbán, secondo cui “dobbiamo portare avanti la transizione green ma senza smettere di usare petrolio, gas e nucleare”. Se l’Unione segue il primo ministro ungherese, presidente in carica del Consiglio europeo, la sfida la vince il Regno Unito a tavolino.
Sulla falsariga di Meloni e Orbán è intervenuto il presidente turco Erdogan, che è stato l’unico leader applaudito ancor prima che intervenisse. Erdogan ha dedicato più di metà del suo discorso al “massacro che Israele sta compiendo in Palestina” e ha chiesto alle delegazioni di supportare la candidatura della Turchia a ospitare Cop31 nel 2025. Se andrà in porto, avremo l’ennesima Conferenza sul clima in un’autocrazia fossile.