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Bosnia, le torture e i pestaggi dei migranti sono all’ordine del giorno: ecco come l’Europa difende i suoi confini

Immagine di copertina
I segni delle violenze su una donna Iraniana.

La polizia croata al confine distrugge cellulari, ruba ai migranti i soldi che sono rimasti loro e li riempie di manganellate. Il reportage dal confine tra Bosnia e Croazia

Velika Kladuša è un campo informale a poche centinaia di metri dal confine bosniacocroato nel cantone Una-sana  che, insieme all’insediamento di Bihac, costituisce il luogo dove i migranti della Rotta Balcanica trovano rifugio prima di tentare il trasbordo verso Croazia e Slovienia.

La distesa di tende si trova all’interno di un terreno di proprietà della compagnia agricola Agrokomerc, della cui azienda ricoprì la presidenza, prima della guerra, l’attuale sindaco della città Fikret Abdić .

confine bosnia croazia violenze sui migranti
Lo studentato di Bihac, a circa 60km dal campo di Velika Kladuša. Qui vivono stipate circa 1000 persone, secondo quanto dedotto dalla Croce Rossa che si occupa della distribuzione dei pasti nel campo.

Abdić non è nuovo alle cronache internazionali. Nel 1993, durante la guerra di Bosnia, fondò la Provincia Autonoma della Bosnia dell’Ovest, della quale fu governatore fino al 1995.

Venne condannato a vent’anni di prigione, mai scontati, per i crimini di guerra perpetrati nel centro di detenzione da lui creato, dove si consumarono omicidi, torture e stupri.

Oggi nuove violazioni dei diritti umani si consumano nella Bosnia dell’ovest, sotto forma di respingimenti coatti e pestaggi da parte della polizia croata nei confronti dei migranti che provano ad attraversare i confini per dirigersi verso il cuore dell’Europa.

Le violenze sistematiche verso le persone intercettate all’interno della Croazia iniziano col sequestro di ogni bene: i cellulari sono il primo oggetto che viene preso e distrutto dai poliziotti.

Molte persone vengono poi manganellate, soprattutto negli arti inferiori, come dissuasione ad altri tentativi di ingresso.

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Un telefono distrutto. È la prima cosa di cui si occupa la polizia croata.

Testimonianze dirette dicono che i poliziotti croati non solo distruggono gli apparecchi mobili, ma si appropriano anche di molti beni in possesso dei migranti, comprese le somme di denaro che portano con loro durante il viaggio.

R. è una donna iraniana di 47 anni che è stata catturata dalla polizia croata insieme al figlio quindicenne.

Dalle ferite che ha riportato si evince che è stata vittima di una violenta colluttazione. I segni dei manganelli sono ben visibili sulla schiena e sulle braccia, come nel caso di molti ragazzi che erano con lei al momento della cattura.

Sono proprio loro che ci invitano a parlarle e a documentarne le condizioni. A poche ore dall’aggressione, si trova di nuovo nella sua tenda al campo di Velika Kladuša.

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I segni delle violenze su donne e minori.

La troviamo seduta all’ombra della veranda per ripararsi dai raggi del sole di agosto. Un lato della bocca è spaccato e le botte fresche iniziano già a creare ematomi bluastri sulle gambe.

Dice di non riuscire a muovere bene il piede destro e che la testa le duole a causa delle percosse. Scoppia in lacrime confessandoci di essere stata umiliata e picchiata dalla polizia croata.

Ma ciò che più la spaventa è il sequestro di tutto il denaro che le era rimasto. Suo figlio, un ragazzetto dall’aria impaurita, si lascia sollevare dalla fronte i riccioli castani per mostrare i segni delle percosse che non lo hanno risparmiato nonostante la giovane età.

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I segni di schiaffi e pugni su un ragazzo.

Un team di emergenza di Medici Senza Frontiere sta fortunatamente per prendersi cura dei due sventurati. Ciò che non potranno curare tuttavia, sono i ricordi nella mente di questa donna e del figlio, che rimarranno per sempre segnati da questi soprusi verificatisi in pieno territorio europeo.

Oggi la Bosnia sta rivivendo la tragedia dei campi di internamento, delle tende, dei profughi, ma attraverso gli occhi di pakistani, iraniani, afghani e indiani che, senza vie sicure per entrare in Europa, sono nelle mani di un paese che ancora fa i conti con il dolore della guerra civile.

L’inverno è imminente e l’unica pezza che le agenzie intergovernative prevedono di mettere sulla situazione è quella dell’apertura di nuovi campi profughi, i quali non faranno altro che inasprire gli animi della popolazione e delle amministrazioni locali bosniache.

All’interno dei campi di Bihac e di Velika Kladuša la condizione igienico-sanitaria è disastrosa: le poche docce presenti non possono sostenere il fabbisogno di tutte le persone che giornalmente transitano nei due campi vicino al confine.

La scabbia è una malattia comune in questi luoghi e, insieme ai pidocchi, costituisce il problema sanitario più diffuso.

Il flusso di persone che transita da un campo all’altro è irregolare ma costante, a causa degli innumerevoli tentativi di affrontare “the Game”, come viene chiamata dai migranti la grande prova che li porterà ad arrivare nei paesi europei più interni.

Questi spostamenti, che avvengono a piedi o tramite l’ausilio dei mezzi rendono difficile quantificare con precisone l’ammontare di persone presente nei campi.

A causa della carenza di piani a lungo termine da parte degli enti internazionali per la gestione dei migranti, le braci di un conflitto vecchio appena di vent’anni si stanno risvegliando sotto la polveriera d’Europa.

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Alcuni migranti Pakistani mostrano dei lividi su un braccio.

 

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Alcuni abitanti dello studentato di Bihac.
Uno degli abitanti del campo.
Un altro degli abitanti del campo.
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Alcuni migranti costretti a lavarsi nel fiume della città di Bihac, l’Una.
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I lividi delle manganellate.
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I lividi delle manganellate.
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Le ferite sui piedi e sulle gambe possono anche essere causate dalla scabbia, una malattia contagiosa che i migranti contraggono talvolta nei campi di accoglienza per via delle scarse  condizioni igieniche.
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