Le autorità iraniane hanno più volte definito l’omosessualità una malattia che va curata e un atto di corruzione morale. Secondo il codice penale iraniano, alcuni atti di sodomia – intesi come rapporti sessuali tra due o più uomini – possono essere puniti con la pena di morte.
L’International Lesbian Gay Bisexual Trans and Intersex Association (Ilga) – l’associazione internazionale a difesa dei diritti dei gay, delle lesbiche, dei trans e degli intersex – ha denunciato che l’Iran è uno dei tre Paesi in Asia dove l’omosessualità è punibile con la pena di morte, insieme all’Arabia Saudita e allo Yemen.
Per questo motivo, diverse coppie omosessuali iraniane sono state costrette a fuggire altrove, per poter vivere liberamente la loro sessualità. La fotografa svizzera Laurence Rasti ha immortalato le coppie gay iraniane che si sono rifugiate in Turchia. I volti di quelli che si sono lasciati fotografare restano sempre coperti, nel tentativo di rappresentare la condizione a cui sono sottoposti.
I volti si celano dietro a rami fioriti e palloncini colorati: un paradosso della drammatica realtà politica delle coppie omosessuali. Per Laurence Rasti è stato molto difficile ottenere le immagini. Nonostante l’anonimato, sono poche le coppie di gay che hanno accettato di partecipare al progetto nella città di Denizli, in Turchia.
Il n’y a pas d’homosexuels en Iran – Non ci sono omosessuali in Iran – è il titolo del progetto della fotografa svizzera che riprende testualmente l’affermazione che l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad fece nel settembre del 2007, durante un discorso alla Columbia University di New York, in occasione del quale affermò che in “Iran non ci sono omosessuali”. Le immagini verranno presto raccolte in un libro.