Condividere la potestà genitoriale col proprio stupratore
In alcuni stati americani la legge non protegge le vittime di stupro rimaste incinte durante la violenza in materia di diritti e custodia parentale
Ci sono diversi tipi di violenza e di abusi che una donna può subire, di natura fisica, di natura emotiva, di natura psicologica. Ma come reagireste se doveste condividere la potestà genitoriale col vostro stupratore?
Sembra un’assurdità, eppure non lo è, ed è anche una situazione più diffusa di quanto non si creda. Pensiamo anche solo alle donne costrette a sposare l’uomo che le ha violentate e, magari, messe incinta.
Ma spesso associamo questo tipo di beffe che si aggiungono al danno, di violenze che si sommano a violenze, a paesi in cui non esiste o non viene applicata alcuna norma che protegga le vittime di violenza sessuale.
Invece ci sono realtà legali che, anche nei paesi che si autocelebrano come i più evoluti e avanzati, fanno inorridire.
È il caso, per esempio, della normativa dello stato americano del Nebraska sui diritti e doveri genitoriali che costringono una donna vittima di stupro ad acconsentire alle visite del suo carnefice al bambino concepito durante l’abuso.
Dal punto di vista della vittima queste leggi non solo rinnovano costantemente il trauma della violenza subita, ma innescano anche un terrore più che giustificato che lo stupratore/padre biologico si renda colpevole di ulteriori violenze non solo nei confronti della donna ma anche nei confronti del figlio concepito insieme. E questo dal punto di vista di una madre è anche peggio.
Il Nebraska non è l’unico stato americano dove le vittime di stupro non sono protette adeguatamente dalla legge in materia di diritti genitoriali e custodia parentale: questa grave lacuna riguarda anche il Nord Dakota, il Minnesota, il Wyoming, il New Messico, il Mississippi, l’Alabama, il Maryland.
La National Conference of States Legislatures stima che negli Stati Uniti si verifichino ogni anno tra le 17mila e le 32mila gravidanze collegate a uno stupro. Tra il 32 e il 50 per cento delle donne rimaste incinte a seguito di una violenza sessuale scelgono di tenere il bambino.
Questo significa che il problema di dover condividere la potestà genitoriale col proprio aggressore riguarda, potenzialmente, tra le 5mila e le 16mila donne ogni singolo anno.
A questo si aggiunge il fatto che negli Stati Uniti gli stupri sono denunciati molto raramente: solo il 19 per cento delle vittime sopra i 18 anni lo fa. Il 37 per cento delle denunce dà avvio a un procedimento penale, e di questi solo il 46 per cento porta alla reclusione del colpevole.
La storia di Noemi
La Cnn ha raccontato la storia di una ragazza di Norfolk, in Nebraska, che nel 2011 è stata violentata e, a seguito dello stupro, è rimasta incinta. Una tra le tante storie simili in cui ci si potrebbe imbattere.
Noemi, liceale e cameriera in un fastfood, un giorno accettò l’invito di un collega a casa sua e fu lì che si consumò la violenza.
La ragazza scoprì di essere incinta e decise di tenere la bambina “perché non era colpa sua se era stata concepita nella violenza”.
Aveva denunciato il suo aggressore e lui era stato condannato inizialmente per aggressione sessuale di primo grado ma poi riuscì a farsi ridurre la condanna ad aggressione sessuale di terzo grado.
Se la condanna fosse rimasta la prima, Noemi avrebbe potuto escluderlo dalla potestà genitoriale. Quando la bambina aveva cinque mesi, invece, il suo aggressore chiese che venissero fissate visite regolari alla figlia biologica.
Non solo, l’uomo ha anche ottenuto visite non sottoposte a sorveglianza e il permesso di vedere la bambina per alcune ore ogni due weekend e due martedì al mese.
Noemi non può fare nulla per impedirglielo.