Come hanno reagito l’Egitto e Al Sisi dopo l’attentato nel Sinai
“Le forze armate e la polizia vendicheranno la morte dei nostri martiri e ripristineranno la sicurezza e la stabilità del paese”, ha detto il presidente egiziano
Il presidente egiziano Al Sisi ha dichiarato che risponderà con “la massima forza” per porre fine al terrorismo all’interno del paese dopo l’attentato del 24 novembre nella moschea Al Rawda nel Sinai, che è costato la vita a oltre 300 persone e ha provocato 120 feriti.
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“Quello che sta accadendo è un tentativo per fermare i nostri sforzi nella lotta contro il terrorismo. Le forze armate e la polizia vendicheranno la morte dei nostri martiri e ripristineranno la sicurezza e la stabilità del paese”, ha poi proseguito Al Sisi nel suo discorso televisivo poche ore dopo l’attentato terroristico.
La notte del 24 novembre l’esercito e le forze di polizia egiziane hanno effettuato attacchi aerei e operazioni di terra nelle aree vicino alla moschea di al-Rawda, per tentare di colpire i miliziani coinvolti nell’attentato terroristico.
Ma come ha reagito il popolo egiziano alle dichiarazioni del presidente?
Al Sisi è diventato presidente dell’Egitto dopo aver deposto l’allora presidente Mohamed Morsi con un colpo di stato militare nel 2013.
Già da allora aveva diviso l’Egitto tra suoi ferventi sostenitori e suoi oppositori ancora legati alla Fratellanza musulmana.
Per i sostenitori della Fratellanza musulmana Al Sisi era un “presidente illegale” salito al potere usando metodi non democratici. Per i suoi sostenitori, invece, Al Sisi, era l’unico uomo in grado di porre fine all’instabilità in cui era caduto il paese dopo le rivolte di Piazza Tahrir.
Furono proprio la stabilità e la lotta al terrorismo le linee guida che Al Sisi promise di seguire all’inizio del suo mandato.
Ad oggi, nonostante la forte propaganda televisiva a favore di Al Sisi lo definisca come il presidente voluto e appoggiato dal popolo egiziano, l’ultima attentato ha accentuato le divisioni all’interno del paese.
Dopo quasi cinque anni dall’inizio del suo mandato, il presidente egiziano continua infatti a dividere il paese tra suoi sostenitori, sostenitori della Fratellanza musulmana e oppositori che non appoggiano né il regime né i Fratelli musulmani.
“Meglio Al Sisi che diventare come la Siria e l’Iraq” è la frase più in voga utilizzata dai sostenitori dell’attuale presidente. Chi appoggia Al Sisi è dell’idea che solo grazie alla sua permanenza, l’Egitto potrà porre fine al terrorismo, non rischiando così di cadere nello stato di caos in cui si trovano la Siria e l’Iraq.
Secondo un’altra tesi sposata dai suoi sostenitori, Al Sisi rispetta la libertà religiosa e i diritti della minoranza cristiana copta all’interno del paese. Per la maggioranza dei cristiani copti egiziani, la presidenza di Mohamed Morsi avrebbe comportato forti discriminazioni nei loro confronti in diversi settori sociali del paese.
Durante la sua campagna elettorale lo stesso Al Sisi aveva affermato che la sua vittoria avrebbe comportato la fine dei Fratelli Musulmani e degli islamisti.
Per gli oppositori di Al Sisi, dal giorno della sua candidatura non vengono rispettati i diritti umani, c’è una forte repressione nei confronti degli attivisti egiziani, ma – cosa ancora più fondamentale – il presidente ha fallito nella lotta al terrorismo.
Secondo i suoi oppositori, inoltre, Al Sisi, non ha raggiunto nessuno degli obbiettivi che aveva prefissato durante il primo anno del suo mandato, anche per quanto riguarda le riforme in ambito economico. L’economia del paese ha infatti subito una forte inflazione aumentando il tasso di povertà tra le classi sociali più a rischio.
Mentre per chi appoggia Al Sisi lo ritiene l’unica salvezza per il paese dal terrorismo, i suoi oppositori sono dell’idea che il presidente egiziano si serva proprio degli attentati per fare leva sulla popolazione e mantenere la carica presidenziale.
Nonostante le armi importate dall’Arabia Saudita, dalla Russia e anche dagli Stati Uniti, per gli oppositori il presidente egiziano non è stato in grado di armare in modo adeguato i militari egiziani presenti nel Sinai. Come riporta l’emittente egiziana Rassd dal 2015 sono morti centinai di militari durante gli attentati terroristici.
Le due isole egiziane di Tiran e Sanafir, cedute dall’Egitto all’Arabia Saudita, hanno inoltre aumentato il malcontento tra le file dei suoi oppositori.
L’unica cosa che sembra ora unire il paese è la hashtag “il terrorismo non ha religione” diventato virale sui social in seguito agli attentati che hanno colpito le chiese copte lo scorso 17 aprile e usato nuovamente dopo l’attentato alla moschea sufi del 24 novembre.