La brigata delle combattenti curde in Iraq
Nel cuore di Sinjar, a nord dell'Iraq, un gruppo di combattenti, tutto al femminile, rischia la propria vita per salvare quella delle famiglie degli Yazidi
Pareen Sevgeen è una ragazza curda di 30 anni. A dispetto dei lunghi capelli scuri e degli occhi nocciola, svolge una missione che in pochi collegherebbero a un volto femminile.
La donna curda è a capo del YJA Star, una brigata composta da circa 70 combattenti, tutte al femminile e appartenenti alla minoranza curda, che per mesi ha lottato nell’area del monte Sinjar, nel nord dell’Iraq, con l’obiettivo di liberare gruppi di famiglie della minoranza religiosa degli Yazidi, tenute prigioniere dall’Isis.
La giornalista italiana Benedetta Argentieri, che collabora anche con The Post Internazionale, ha raccontato a Vocativ la sua storia quando la combattente si trovava nel bel mezzo di una missione.
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“Sappiamo che due famiglie con diversi figli hanno bisogno del nostro aiuto”, racconta. “Uno di loro è nato appena due giorni fa. Ci hanno detto che il bambino necessita di cure mediche urgenti, dobbiamo muoverci in fretta”.
Da quando la donna è diventata una combattente, ha cambiato il suo nome in Beritan. Le ragioni dietro questa scelta sono legate alla sua terra d’origine, la Turchia, dove essere curdi significa far parte dei cittadini di seconda classe.
“Quando ero a scuola – racconta Beritan – avrei voluto essere eletta nel consiglio studentesco, ma non potevo, a causa delle mie origini”, ha detto.
“Se parliamo la nostra lingua rischiamo di essere arrestati, ci è proibito vivere secondo la nostra cultura, non ci viene riconosciuto alcun diritto, e per le donne la situazione è ancora peggiore”.
Dopo aver frequentato la scuola di infermeria per due anni, si è unita al gruppo di guerriglieri, per lottare a favore dei diritti e le libertà dei curdi.
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Lo ha fatto chiudendosi la porta di casa alle spalle, senza dire addio alla sua famiglia: “Sapevo che avrebbero tentato di fermarmi e non potevo lasciarglielo fare”, spiega Beritan.
Dal momento in cui, lo scorso agosto, l’Isis ha preso il controllo dell’area in cui la brigata di Beritan opera, i membri del gruppo sono stati portati lontano dal fronte, rendendo così le missioni di salvataggio ancora più pericolose.
La brigata tutta al femminile, è affiliata al PKK, il Partito Curdo dei Lavoratori, un’organizzazione politica fondata in Turchia nel 1978, inserita dagli Stati Uniti e dalla Nato tra le liste dei gruppi terroristici. Dopo un accordo per il cessate il fuoco del 2013, il partito si è ritirato in Siria e nelle regioni semi-autonome curde a nord dell’Iraq.
Con il suo battaglione, Beritan si è unita al PKK e ad altre forze curde, compresi i Peshmerga, per aprire un corridoio umanitario tra Sinjar e la città siriana di Derick, una striscia di quasi 145 chilometri che si estende lungo i territori più pericolosi e maggiormente contesi.
Sinjar è divenuta nel tempo un’area decisiva nella guerra contro l’Isis. Se con un’azione congiunta, i Peshmerga e le milizie curde riuscissero a riportarla sotto il loro controllo, insieme ai villaggi a sud delle montagne, Mosul verrebbe tagliata fuori da Raqqa, considerata di fatto la capitale dello stato islamico. Così facendo, si toglierebbe loro l’utilizzo di una delle maggiori vie di approvvigionamento.
Grazie alle azioni difensive dei Peshmerga contro le forze dell’Isis, il gruppo delle combattenti curde riesce ad infiltrarsi lungo il fronte senza attirare troppo l’attenzione e, armate dei soli Kalashnikov e delle granate a mano, tentano di mettere in salvo le famiglie in difficoltà.
Nel descrivere il legame che ha con le sue compagne, Beritan parla di una vera e propria famiglia. “Mi fido ciecamente di loro. Siamo più che sorelle. Vogliamo che le donne siano libere, che alla nostra gente vengano riconosciuti dei diritti, ovunque essi vivano”, sostiene.
Quando cala la sera, le donne si riuniscono per ballare e cantare. Chiacchierano per ore, acconciando le loro teste con lunghe e articolate trecce.
Non sono interessate a intrattenere relazioni con altri uomini: per loro, mantenere questo distacco, conta quasi quanto affinare le proprie abilità in battaglia. Vivono separate rispetto alle forze maschili alleate, anche se – raccontano – “li amiamo come se fossero i nostri fratelli”.
Hanno tutte tra i 18 e i 25 anni, la maggior parte delle quali proviene dalla Siria o dalla Turchia; alcune si sono unite al battaglione durante lo scoppio della guerra civile in Siria nel 2010, altre quando l’Isis ha iniziato ad ampliare il suo controllo in Siria e in Iraq.
Secondo Beritan, l’Isis è il peggiore nemico che i curdi abbiano mai avuto. Crede che lo Stato islamico utilizzi la religione per legittimare la guerra che sta portando avanti, traendo in inganno coloro che decidono di unirvisi.
Per questa brigata di combattenti, i giorni migliori sono quelli in cui riescono a salvare delle vite, specie se quella delle donne e dei bambini.
Anche se, dice Beritan “il giorno migliore sarà quando tutte le famiglie degli Yazidi saranno libere, in grado di tornare nelle loro città e di vivere in pace”.
Benedetta Argentieri ha un suo blog, dove raccoglie le sue storie