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Colpo di stato in Myanmar, al via il processo ad Aung San Suu Kyi

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Aung San Suu Kyi durante la campagna elettorale per le elezioni parlamentari, il 13 novembre 2015. Credit: U Aung/Xinhua via ZUMA Wire

Colpo di stato in Myanmar, al via il processo ad Aung San Suu Kyi

L’ex leader del Myanmar Aung San Suu Kyi, arrestata a febbraio a seguito di un colpo di stato, andrà a processo lunedì prossimo. Lo ha dichiarato il suo avvocato, affermando che la presidente della Lega nazionale per la democrazia (Nld), partito che ha vinto le ultime elezioni, dovrà rispondere di numerosi capi di imputazione, dal possesso non autorizzato di walkie-talkie alla violazione di restrizioni contro la pandemia di nuovo coronavirus.

Oltre al processo che inizierà il prossimo 14 giugno nella capitale Naypyidaw, e secondo i suoi legali durerà fino al 26 luglio, la vincitrice del premio Nobel per la pace dovrà comparire anche in un altro procedimento che inizierà il 15 giugno. In questo caso è accusata di sedizione insieme al presidente Win Myint, deposto nel colpo di stato, e al sindaco di Naypyidaw, Myo Aung. Inoltre è accusata in un altro caso della violazione della legge sui segreti di stato. Secondo quanto riportato da Afp, i suoi avvocati hanno avuto il permesso di incontrarla solo due volte da quando è agli arresti domiciliari.

Figlia del generale che ha fondato l’esercito del Myanmar e protagonista della lotta per la democrazia in Myanmar, Aung San Suu Kyi era già stata arrestata durante la campagna per le prime elezioni libere del paese, vinte dal suo partito nel 1990, trascorrendo 15 dei successivi 21 anni agli arresti.

Il suo rilascio nel 2010 ha coinciso con un periodo di apertura che ha portato alla fine di 49 anni di governo militare. Negli anni successivi, Aung San Suu Kyi ha occupato un ruolo di primo piano nella politica del paese  come ministro degli Esteri e consigliere di Stato, una posizione creata ad hoc simile a quella di primo ministro.

Tuttavia, la gestione della crisi dei rifugiati della minoranza musulmana rohingya, che ha spinto più di un milione di persone a fuggire in Bangladesh, ha esposto la vincitrice del premio Nobel per la pace e il suo governo a dure critiche, spingendo diverse organizzazioni umanitarie a revocare riconoscimenti che le erano stati conferiti negli anni della detenzione.

Il 1° febbraio l’esercito del Myanmar ha deposto il governo della Nld dopo mesi di polemiche seguite alla vittoria nelle elezioni parlamentari dello scorso novembre, in cui il partito aveva conquistato l’84 percento dei seggi, nonostante la commissione elettorale avesse respinto le accuse di brogli e irregolarità.

Negli ultimi quattro mesi nel paese è continuata la dura repressione degli oppositori da parte dell’esercito. Secondo secondo il gruppo Assistance Association for Political Prisoners con sede in Thailandia, quasi 850 persone sono state finora uccise dai militari.

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