Benvenuti nel nuovo dis-ordine mondiale: Giorgia Meloni ha un problema con Pechino
Gli accordi per la Nuova Via della Seta firmati dal Governo Conte 1 nel 2019 fanno dell’Italia un cuneo tra Cina e Occidente. Entro il 2023 bisognerà rinnovarli o abbandonarli. Ma intanto Xi Jinping e Vladimir Putin preparano un nuovo assetto globale contro gli Usa, che potrebbero non essere disposti a sostenere Kiev (e l’Europa) per sempre
Tra qualche settimana, l’Italia dovrà cominciare a interrogarsi se lasciare, o togliere, il cuneo che, sulla Cina, aveva infilato fra sé e l’Occidente, firmando, il 23 marzo 2019, tre memorandum d’intesa destinati, nelle intenzioni, a migliorare le relazioni economico-commerciali italo-cinesi. Poi, vennero la pandemia e la guerra in Ucraina, cambiarono i governi e i contesti.
I memorandum, su Belt & Road Initiative, cioè la Nuova Via della Seta, e-commerce e startup, sono validi per cinque anni e vengono automaticamente prorogati, salvo che una parte vi ponga termine dandone preavviso scritto di almeno tre mesi all’altra. Il Governo Meloni deve dunque decidere, entro fine anno, che fare.
Nel 2019, a firmare le intese furono l’allora vice-premier e ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e il presidente della Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e le riforme, He Lifeng. Era il governo Conte 1, la coalizione giallo-verde tra M5S e Lega che, in politica estera, aveva impostazioni alternative rispetto a quelle dei governi successivi, nettamente meglio disposti verso l’Ue e più atlantisti.
Allora, l’adesione italiana al disegno geo-politico e infrastrutturale cinese noto come Nuova Via della Seta aveva avuto echi negativi negli Usa e nel resto dell’Ue: era un caso unico, nel G7; un caso non raro fra i 27. Almeno altri 13 Paesi dell’Unione hanno siglato un memorandum d’intesa con la Cina: Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria. Dei Paesi che un tempo facevano parte di Patto di Varsavia e Comecon, manca solo la Romania.
Ora, la riflessione italiana sul rinnovo o la denuncia degli accordi datati 2019 e Conte 1 coincide con una fase in cui la Cina del terzo mandato di Xi Jinping cala in tavola le carte da attore globale non solo economico e commerciale, ma anche politico e militare. La grande sfida cinese, resa esplicita dalla visita a Mosca di Xi e dalla pubblicazione di un documento per la pace in Ucraina, faceva da tela di fondo al Consiglio europeo della settimana scorsa, pur senza essere in agenda e – scrive Eunews – «inquietava diversi leader Ue».
Respinta da Washington e Kiev, l’iniziativa di pace cinese apre qualche breccia in campo europeo. C’è la fila per andare a Pechino: Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez hanno tutti in agenda missioni cinesi, come – più tardi – Giorgia Meloni. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrel, un falco, vuole esplorare il potenziale dell’iniziativa della Cina per la pace in Ucraina: «I cinesi – dice – vogliono essere facilitatori, non mediatori. È un ruolo da incoraggiare». Sanchez si barcamena tra ortodossia atlantica e apertura europea: «La Spagna e l’Europa sostengono il piano di Zelensky per la risoluzione del conflitto… Però il documento cinese ha spunti d’interesse», fra cui il rifiuto del ricorso al nucleare e il rispetto dell’integrità territoriale. «La Cina è un attore globale e la sua voce va ascoltata per trovare come porre fine alla guerra e aiutare l’Ucraina a recuperare la sua sovranità».
Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, parla invece di «matrimonio d’interesse», commentando la visita di Xi a Mosca: la politica estera cinese offre una visione multipolare con Pechino, e non Washington, al centro dello scacchiere internazionale. Su AffarInternazionali.it, Vittoria Mazzieri di China Files scrive che la Cina ha certamente «rafforzato la pretesa di proporsi come “potenza responsabile”, capace di “mediare” tra attori terzi».
Lo ha dimostrato, fra l’altro, rivendicando come un proprio successo diplomatico l’accordo tra Iran e Arabia Saudita, cioè tra un arci-nemico e un arci-amico degli Usa; e lo dimostra tagliando, quasi sistematicamente, sotto i piedi di Taiwan, l’erba delle relazioni diplomatiche. Lo scorso week-end, l’Honduras è divenuto l’ultimo Paese ad abbandonare l’Isola Stato per la Repubblica popolare cinese: ormai, sono solo 13 i Paese del Mondo che riconoscono Taiwan.
Parole, parole, parole
A Mosca, Putin e Xi dicono parole di pace, ma Putin non cessa di fare la guerra in Ucraina. E Biden non dà loro corda: «Non ho finora sentito nulla che induca a pensare che il conflitto in Ucraina possa finire presto«. Zelensky aspetta una telefonata da Xi, dopo che il presidente cinese ha passato due giorni a Mosca col collega russo, e ripete il suo mantra, ricevendo a Kiev il premier giapponese Fumio Kishida: «Libereremo l’Ucraina fino all’ultimo metro».
Xi, fresco di conferma al vertice dello Stato e del Partito comunista, arriva al Cremlino per discutere dell’amicizia e della cooperazione fra Cina e Russia, ma soprattutto per cercare di trovare una via d’uscita dalla guerra in Ucraina – anche se né lui né Putin la chiamano così – e tratteggiare così i contorni d’un nuovo ordine mondiale. È la sua prima missione a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina ed è la prima all’estero dopo la conferma a capo dello Stato.
Per Washington, la Cina non è imparziale sulla guerra in Ucraina. Per svolgere un ruolo costruttivo, dovrebbe sollecitare la Russia a mettere fine all’invasione. Ma è un dato di fatto che la Cina di Xi, salda in una rinnovata stabilità per cinque anni, è uscita dal guscio e s’è resa diplomaticamente attiva, come Usa e Ue le chiedevano da oltre un anno: è diventata – riconosce all’unisono la stampa Usa qualificata – un attore più ambizioso sulla scena mondiale, «globale».«Lo sfoggio di unità anti-occidentale» che Putin e Xi fanno nel loro vertice non maschera – secondo il Washington Post – «un certo disagio» fra i due leader che, però, non emerge dai testi pubblicati. A meno che – come fa la Ap – non lo si voglia cercare nel fatto che Putin s’è attenuto al protocollo nel ricevere Xi al Cremlino, senza andare ad attenderlo sulla porta alla fine del tappeto rosso. Un po’ poco per leggere freddezza dove nei comunicati ufficiali c’è «imperitura amicizia». Putin, alla cena di Stato, brinda «alle prospettive illimitate di cooperazione» fra Russia e Cina, che «agiscono in coordinamento», rafforzando «partenariato globale» e «cooperazione strategica». C’è da interpretare la presenza nel menu del banchetto del “borsch”, zuppa a base di barbabietole, specialità ucraina: “appropriazione” gastronomica o segnale di “una zuppa, un popolo”?
L’Occidente resta scettico sul percorso verso la pace in Ucraina abbozzato dalla Cina e condiviso dalla Russia. E l’amministrazione Biden considera l’incontro a Mosca tra Putin e Xi alla stregua d’una «copertura diplomatica», 48 ore dopo che il leader russo era stato colpito da un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja. Per gli analisti atlantici, «la Cina non sta nel mezzo nel conflitto tra Ucraina e Russia. È evidentemente posizionata a sostegno della Russia».
Ma anche per gli Stati Uniti quelli appena trascorsi sono stati giorni imbarazzanti: lunedì 20 marzo era, infatti, il 20esimo anniversario dell’invasione dell’Iraq, un Paese aggredito senza mai avere attaccato gli Usa e senza costituire una minaccia per Washington. Risultato: una guerra con centinaia di migliaia di vittime e che durò quasi 15 anni – le truppe occidentali completarono il loro ritiro nel 2017 –; moti d’insurrezione contro l’occupazione e scontri intestini fra sciiti e sunniti; orrori, come le torture nel carcere di Abu Ghraib; attentati in Europa; e la nascita dell’Isis. Senza, peraltro, fare dell’Iraq una Svezia della Mesopotamia. Per i paladini del rispetto del diritto internazionale, un precedente del genere è scomodo.
Una partnership strategica
Al termine del loro vertice, Putin e Xi firmano una dichiarazione congiunta «sull’approfondimento del partenariato strategico globale di coordinamento dei due Paesi per la nuova era», cioè verso un “nuovo ordine mondiale” che Mosca e Pechino auspicano non “a trazione americana”. Se il faccia a faccia di lunedì 20 era stato soprattutto incentrato sulla crisi in Ucraina, le riunioni allargate di martedì 21 si sono focalizzate sulla cooperazione economica tra i due Paesi, che comprende anche l’energia. E Xi ha invitato Putin a recarsi in Cina per partecipare al terzo Forum Belt & Road (la Nuova Via della Seta) per la cooperazione internazionale, che si terrà entro fine anno.
«Il piano di pace della Cina può essere preso come base per un accordo di pace in Ucraina quando l’Occidente e Kiev saranno pronti», dice Putin. La Cina «favorisce la pace e il dialogo per risolvere il conflitto in Ucraina», gli fa eco Xi. Le parole dal Cremlino dei due leader grondano apertura e speranza, a 13 mesi dall’inizio dell’invasione, ma restano vaghe e generiche.
La risposta di Kiev, sulla falsariga di quanto “suggerito” da Washington, è negativa: «L’Ucraina è contraria a un cessate il fuoco perché ciò significherebbe protrarre il conflitto» – fa dire al suo portavoce Mikhailo Podolyak il presidente Zelensky – perché «una tregua lascerebbe una guerra non finita bruciare nel cuore d’Europa». John Kirby, portavoce del Consiglio Usa per la sicurezza nazionale, usa parole analoghe: una tregua «ratificherebbe le conquiste dei russi e darebbe loro tempo e modo di preparare» una nuova offensiva.
Russia e Cina «si oppongono a sanzioni unilaterali non autorizzate dal Consiglio di Sicurezza Onu», che non ne ha varate – le misure in atto sono decisioni sovrane di Usa, Ue e altri Paesi. La ricetta, ancora senza dettagli, per risolvere la crisi ucraina prevede di «rispettare le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi, prevenire scontri tra blocchi ed evitare di alimentare il fuoco».
L’Occidente alza il tiro
Pechino prende un’iniziativa per la pace tra Russia e Ucraina; media la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due “arci-nemici” nel Mondo islamico, l’Iran suo alleato e l’Arabia saudita principale alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente; e aumenta le spese per la difesa, con previsioni di crescita del Pil sempre migliori di quelle dei suoi interlocutori.
Per tutta risposta, gli Stati Uniti, e con tonalità modulate l’Occidente tutto, storcono il naso al piano di pace “filo russo” e trangugiano di malavoglia la mediazione mediorientale: atti che testimoniano – scrive l’Ap, meno umorale dell’amministrazione statunitense – come la Cina voglia giocare un ruolo più attivo nella gestione degli affari internazionali.
La replica occidentale è rinforzare la cintura militare intorno alla Cina nel Pacifico, con l’accordo, annunciato a San Diego in California, tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, i tre Paesi dell’Aukus, una sorta di Nato del Pacifico, per dotare Canberra di sottomarini nucleari, per altro pagati a caro prezzo. E c’è, inoltre, il primo incontro al vertice da 12 anni in qua fra Giappone e Corea del Sud: segno che i due Paesi, alleati dell’Occidente nel Pacifico, cercano di sormontare le loro storiche differenze e di unirsi contro quelle che percepiscono come crescenti minacce regionali della Cina e della Corea del Nord.
La compattezza dell’Occidente intorno a questa strategia del confronto a 180 gradi, lungo l’asse Pechino – Mosca, è lungi dall’essere garantita a medio termine. Ron DeSantis, governatore della Florida, potenziale candidato repubblicano alla Casa Bianca l’anno prossimo, dice che difendere l’Ucraina dall’invasione della Russia non è un interesse vitale degli Stati Uniti: «Abbiamo molti interessi nazionali vitali – proteggere i nostri confini, affrontare la crisi di preparazione all’interno delle nostre forze armate, raggiungere la sicurezza e l’indipendenza energetica e controllare il potere economico, culturale e militare del Partito comunista cinese –, ma restare ulteriormente invischiati in una disputa territoriale tra Ucraina e Russia non è una di queste».
DeSantis fa eco a osservazioni dello speaker della Camera Kevin McCarthy, che l’anno scorso definì «un assegno in bianco» gli aiuti all’Ucraina dell’amministrazione Biden. Il governatore sostiene che «la pace dovrebbe essere l’obiettivo» e avverte che l’invio di armi avanzate come aerei da combattimento F-16 e missili a lungo raggio «rischierebbe di trascinare esplicitamente gli Usa nel conflitto e di avvicinarci a una guerra aperta tra le due maggiori potenze nucleari mondiali».