Hong Kong: condannato a 1 anno e 2 mesi di carcere per una maglietta con uno slogan di protesta
Un altro uomo è stato condannato a 10 mesi per aver scritto "frasi sediziose" sul retro dei sedili di alcuni autobus
Un uomo di 27 anni, Chu Kai-pong, è stato condannato a scontare un anno e due mesi di carcere a Hong Kong, dopo essersi dichiarato colpevole del reato di sedizione ai sensi della nuova legge sulla sicurezza, per aver indossato una maglietta con uno slogan di protesta risalente ai moti per la democrazia del 2019.
Chu Kai-pong è la prima persona a essere condannata sulla base dell’Ordinanza di salvaguardia della sicurezza nazionale contenuta nell’articolo 23 della Legge fondamentale (la Costituzione) di Hong Kong, approvata all’inizio di quest’anno dal Consiglio legislativo della città e promulgata soltanto il 23 marzo scorso, malgrado le critiche delle associazioni a difesa dei diritti umani e delle Nazioni Unite, che a vario titolo hanno definito i contorni della norma “vaghi, ampi e regressivi”.
L’uomo era stato arrestato il 12 giugno scorso mentre indossava una maglietta con su scritto: “Liberate Hong Kong, revolution of our times” (letteralmente: Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi). Al momento dell’arresto, Chu Kai-pong indossava anche una mascherina con la scritta: “FDNOL”, acronimo della frase in inglese: “five demands, not one less” (letteralmente: cinque richieste, non una di meno), altro slogan delle proteste del 2019. Per le autorità della Regione amministrativa speciale cinese, la frase sulla maglietta ha connotazioni secessioniste, il che costituisce un reato ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020.
Così, lunedì 16 settembre, davanti al Tribunale di West Kowloon l’imputato si è dichiarato colpevole di “aver compiuto, con intento sedizioso, un atto che aveva un intento sedizioso”, ai sensi dell’Articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong. Oggi, nelle motivazioni della sentenza, il giudice Victor So ha stabilito che il 27enne aveva “l’intento criminale” di “turbare la pace e fomentare l’odio contro il governo di Hong Kong”.
La continuità del reato, ha spiegato il giudice, è stata ridotta solo dal pronto intervento della polizia. Durante le udienze del processo, è stato stabilito che quel 12 giugno Chu Kai-pong ha indossato la sua maglietta soltanto per 25 minuti prima di essere fermato dalle autorità.
Pertanto la Corte ha condannato il 27enne a scontare 18 mesi di carcere più altri 3 mesi per recidiva, visto che l’uomo aveva già subito un’altra condanna penale per sedizione nel gennaio scorso. Il giudice Victor So ha poi ridotto di un terzo i 21 mesi di pena totale, portandoli a 14 mesi, in virtù della dichiarazione di colpevolezza dell’imputato.
Ai sensi dell’articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong, che punisce i crimini di tradimento, insurrezione, sabotaggio, interferenza esterna, sedizione, furto di segreti di Stato e spionaggio, il reato di sedizione comporta una pena di 7 anni di carcere fino a un massimo di 10 in caso di collusione con una “potenza straniera”.
La repressione giudiziaria ha così sostituito i manganelli. Tutte le fattispecie introdotte dalla nuova legge sono definite in modo poco specifico e risultano applicabili a molte attività non violente compiute dall’opposizione, persino agli indumenti indossati in strada, ai post pubblicati sui social o per delle scritte su un autobus.
Oggi infatti, lo stesso Tribunale di West Kowloon a Hong Kong ha condannato un altro uomo a scontare 10 mesi di carcere per aver scritto una serie di graffiti “sediziosi” sui sedili di alcuni autobus della città. Il 29enne Chung Man-kit, comparso oggi sempre davanti al giudice Victor So, si è dichiarato colpevole di tre capi d’imputazione per “aver compiuto, con intento sedizioso, un atto che aveva un intento sedizioso”, ai sensi dell’Articolo 23 della Legge fondamentale di Hong Kong.
L’uomo era stato arrestato il 23 giugno scorso con l’accusa di aver “scritto, in più occasioni, parole con intento sedizioso sul retro dei sedili di diversi autobus pubblici” tra il 23 marzo e il 21 aprile. Fra queste figurava anche lo slogan “Liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi” e altri a favore dell’indipendenza della città dalla Cina, tra cui “Indipendenza di Hong Kong, unica via d’uscita”.