Cina, benvenuti al Grande fratello 2.0: ecco come funzionerà il nuovo sistema di credito sociale
Ottenere un mutuo, trovare lavoro, andare all’università e persino viaggiare. D'ora in poi anche la vita quotidiana di milioni di cinesi potrebbe finire in mano al Partito comunista, che deciderà tutto in base al “merito”. Ecco come funzionerà il nuovo sistema di credito sociale che Xi Jinping potrebbe usare per controllare il Paese più sorvegliato del mondo
Non istituisce (ancora) il Ministero dell’Amore e non è nemmeno una puntata di Black Mirror ma sembra sulla strada giusta. Dopo decenni di esperimenti locali e nel bel mezzo della più grande ondata di proteste da piazza Tien’anmen scatenate dalla politica di tolleranza zero contro il Covid, la Cina di Xi Jinping pare finalmente pronta a istituire anche a livello nazionale il famoso “sistema di credito sociale”, che valuti l’affidabilità dei cittadini e delle imprese stimando i loro comportamenti finanziari, legali e, ben più preoccupante, sociali.
Il nuovo disegno di legge presentato il 14 novembre scorso dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, dalla Banca centrale e da altri ministeri e dipartimenti governativi ha l’obiettivo di unificare una giungla di regole emanate a livello provinciale, regionale e comunale dopo vent’anni di dibattiti nel Pcc e dieci di paure (e propaganda) in Occidente.
Cominciamo col dire che non è un’idea di Xi. Tutto cominciò nel 2004 quando, durante il XVI Congresso del Partito comunista cinese, l’allora presidente Jiang Zemin – scomparso lo scorso 30 novembre – approvò l’idea di un “sistema di credito sociale” compatibile con la moderna economia di mercato. Allora però si pensava soltanto al settore bancario ma con il tempo divenne molto di più, giocando sull’ambiguità delle parole e favorendo all’estero un intramontabile equivoco.
Il grande fraintendimento
Una cosa è certa: al momento è più facile spiegare ciò che non è. Da quando nel 2014 le autorità cinesi hanno annunciato l’intenzione di costruire davvero quel “sistema di credito sociale” annunciato dieci anni prima, l’argomento è stato tra i più fraintesi in Europa e negli Stati Uniti.
In molti, al di fuori del Paese asiatico, hanno temuto che Pechino si preparasse a istituire una specie di Grande fratello orwelliano dotato di una sorta di pagella nazionale con cui premiare o punire i cittadini in base ai loro comportamenti. Non sembra ancora questo il caso, sebbene l’attitudine del regime ad aumentare le forme di sorveglianza e repressione del dissenso non aiuti la comprensione delle reali intenzioni del governo cinese.
Negli ultimi vent’anni, le autorità hanno messo in campo numerose iniziative di controllo ad alta tecnologia che hanno reso il Paese asiatico il più sorvegliato al mondo. Grazie ai progetti Golden Shield, Safe Cities, SkyNet, Smart Cities, Integrated Joint-Operations Platform (avviato nello Xinjiang uiguro) e al più famoso Sharp Eyes, oltre 200 milioni di telecamere di sicurezza sono state installate in tutta la Cina dove, secondo un rapporto di Comparitech, si trovano 18 delle 20 città più controllate al mondo. Così, secondo un rapporto dell’Immigration & Refugee Board del Canada, tramite un’immensa rete di telecamere dotate della tecnologia di riconoscimento facciale il solo ministero cinese di Pubblica Sicurezza (che non conferma) avrebbe un database in cui sono schedati il 96 per cento dei cittadini del Paese asiatico. Per ragioni di salvaguardia dell’ordine pubblico, si giustifica Pechino. Per raccogliere dati e reprimere il dissenso, sostengono i difensori dei diritti umani in Occidente.
Eppure tutto questo ha (ancora) poco a che fare con il “sistema di credito sociale” che il governo cinese intende costruire. Dal 2014, Pechino è infatti impegnata a creare un impianto normativo in grado di regolamentare il credito, consentire alle istituzioni di condividere dati e promuovere una serie di valori morali sanciti dal regime. Al momento, sebbene possa rivelarsi uno strumento formidabile per limitare i diritti individuali e reprimere il dissenso, non c’è alcuna prova che il governo cinese intenda sfruttare tale sistema per creare un mostro in grado di classificare l’intera società in buoni e cattivi.
In primis, i sistemi di pubblica sicurezza e di credito sociale restano ben distinti. Inoltre, dai regolamenti già in vigore a livello locale come dalla nuova bozza presentata lo scorso mese si evince che in Cina non esisterà alcun “punteggio sociale” nazionale che valuti il comportamento individuale. Tutti i progetti pilota che prevedevano forme di classificazione dei cittadini sono già stati interrotti o limitati alla partecipazione volontaria. Non solo: come spiega un rapporto del tedesco Mercator Institute for China Studies (Merics), il sistema di credito sociale resta «la meno digitalizzata delle iniziative cinesi di monitoraggio e sorveglianza» della popolazione, visto che «in gran parte, si basa ancora su indagini, rapporti e decisioni umane», mentre non esiste alcuna forma di integrazione su vasta scala tra gli apparati di sicurezza e il sistema di credito sociale. Per ora.
L’obiettivo principale di tale istituto è fornire al regime una valutazione dell’affidabilità di un individuo o di un’azienda. In questo senso, il progetto si presenta come una versione moderna dei sistemi di classificazione sociale che in Cina esistono da millenni.
Ma questo non significa che non influenzerà a fondo le vite di milioni di persone. Le conseguenze di una valutazione scarsa, come mostrano i sistemi già in vigore a livello locale, possono infatti essere molto gravi, arrivando persino a pregiudicare le prospettive di libera circolazione, assegnazione di un alloggio, occupazione e accesso al credito. Tutto però è ancora in divenire.
Bastone e carota
Finora l’attuazione del sistema era ancora legata a un documento emanato nel luglio di otto anni fa dal Consiglio di Stato, il governo cinese, che ha permesso agli enti locali di sperimentarne ciascuno una propria versione. Alla fine del 2020, oltre l’80 per cento di tutte le province, le regioni autonome e i grandi comuni in Cina aveva già emanato o si preparava a emanare leggi e regolamenti riguardanti i locali sistemi di credito sociale.
Uno dei casi più citati è quello della contea di Suining, nella provincia orientale del Jiangsu, dove nel 2009, come per la nostra patente, a ciascun individuo furono assegnati 1.000 punti con la possibilità di guadagnarne (o perderne) altri in base al proprio comportamento. Il mancato rimborso di un debito o una condanna in tribunale (persino una multa) potevano portare alla detrazione di un determinato ammontare di punti. I meriti lavorativi o le donazioni a scopo benefico permettevano invece di guadagnarne. Questi numeri si tramutavano poi in giudizi espressi in lettere dalla A alla D, valutazioni che influenzavano le opportunità di lavoro, l’accesso alle licenze commerciali e ai finanziamenti pubblici.
Più recentemente, nel 2016, quando altri 32 centri urbani in tutta la Cina cominciavano a emanare leggi e regolamenti in materia, la città di Nanchino istituiva invece la “carta di credito sociale”, che offre una serie di vantaggi a chi si dimostra più meritevole. Chi ad esempio è disposto a donare il sangue o ottiene importanti riconoscimenti sul lavoro può usufruire di sconti e di un trattamento preferenziale nell’accesso ai prestiti.
Ma il sistema ha anche un lato molto meno rassicurante. Nel 2013, ad esempio, la Corte Suprema del Popolo ha istituito la “lista nera dei debitori”, in cui sono pubblicati i nomi dei morosi (allora erano poco più di 31mila) a cui sono impedite determinate spese, come viaggi o soggiorni in hotel di lusso, divieti applicati sia alle persone fisiche che ai legali rappresentanti e ai dirigenti delle società che non pagano i propri debiti. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2017 l’elenco comprendeva quasi 8,8 milioni di persone fisiche o giuridiche. Stando a un rapporto pubblicato l’anno successivo dalla piattaforma nazionale cinese per le informazioni creditizie, a queste persone era stato vietato l’acquisto di 17,5 milioni di biglietti aerei e di 5,5 milioni di viaggi su treni ad alta velocità. Ad altri 290mila soggetti era invece stato impedito di ottenere lavori ben retribuiti e di livello dirigenziale mentre 128 cittadini cinesi non avevano potuto lasciare il Paese perché non avevano ancora pagato le tasse.
Tuttavia è con la pandemia di Covid-19 che è emersa la grande ambiguità del sistema. Nel 2020 sono state apportate alcune importanti novità, tutte a livello regionale e municipale: le persone fisiche o le aziende in grado di dimostrare che le violazioni degli obblighi contrattuali, amministrativi o fiscali erano dovute al Covid sono state esentate dal pagamento delle relative sanzioni; gli individui o gli enti fortemente colpiti dalla pandemia hanno goduto di un accesso più rapido al credito; chi ha dato un contributo “decisivo” alla lotta al virus ha beneficiato di varie agevolazioni, come l’inserimento in una “lista verde” che ne semplificava gli obblighi burocratici; mentre al contrario chi ha sfruttato la crisi o non ha rispettato le restrizioni ha subito una serie di penalizzazioni. Tutte condotte che avevano più a che fare con comportamenti sociali che con la solvibilità. Poi, nel corso del 2021, insieme ad altri due decreti in materia è stato emanato il nuovo “Elenco delle sanzioni per inaffidabilità”. Una parola, quest’ultima, che assume un ruolo chiave e che ritorna nel progetto presentato a novembre.
Il diavolo è nei dettagli
Se il nuovo testo, disponibile online per eventuali commenti della cittadinanza e non ancora approvato, si limita per lo più a confermare le regole già in vigore in molte città cinesi, dando loro un’aura di approvazione da parte dell’autorità centrale, per il resto pone l’accento sulla “costruzione” del sistema e non si presenta come un quadro giuridico completo in grado di regolare in via definitiva la materia. Per molti versi, secondo quanto emerge dalla traduzione in inglese fornita dal portale specializzato China Law Translate e a cui facciamo riferimento, assomiglia più a un piano che a una vera e propria legge, non risolve i nodi più spinosi relativi ai rischi per le libertà civili ma si limita ad abbozzare alcune definizioni, tra cui per la prima volta proprio quella di “inaffidabilità”.
Nell’ultimo comma dell’articolo 2 si legge che tale espressione «si riferisce a una condotta […] designata e confermata dagli organi statali come non conforme al merito di credito». In questa frase è racchiuso tutto: il sistema ha l’obiettivo di promuovere la fiducia, sia in senso finanziario che sociale, premiando tanto l’affidabilità economica di debitori e creditori quanto quella “civica” di cittadini e imprese. Tutto sotto il controllo dello Stato e quindi degli organi del regime.
Ma il testo mantiene una sostanziale ambiguità tra il “merito di credito” in senso finanziario e il “merito di credito sociale”. Se il primo concetto è familiare alle scienze economiche come relativo alla solvibilità di un soggetto, il secondo è molto meno chiaro. Il medesimo documento chiarisce d’altronde che le “informazioni sul credito” includono non solo prestiti e debiti ma anche generici adempimenti di obblighi previsti da leggi e regolamenti in conformità con le norme in vigore, senza specificare se si tratti solo delle regole in campo finanziario. Come abbiamo visto, a livello locale, le autorità cinesi hanno più volte confuso i due piani, punendo i soggetti morosi e premiando i donatori di sangue.
Almeno a livello centrale, Pechino sembra voler distinguere i due ambiti. D’altra parte, come mostra un’analisi del centro studi tedesco Merics, il 73 per cento dei regolamenti in materia si concentra infatti sull’applicazione del sistema alle imprese. Tutto questo, secondo i dati della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, ha portato ad assegnare una qualche forma di punteggio a più di 33 milioni di aziende attive nel Paese asiatico, tutte inserite in un database chiamato CreditChina, l’unico strumento che ad oggi opera a livello nazionale nell’ambito del sistema di credito sociale cinese. Come spiega il manuale della società di consulenza Horizons, si tratta di un sito-web accessibile solo da un indirizzo IP cinese, che fornisce una serie di informazioni sui soggetti valutati. In particolare, attraverso un codice univoco, il portale consente di verificare le autorizzazioni possedute dall’azienda o scoprire le sanzioni amministrative ad essa comminate, eventuali inadempienze di pagamento riconosciute in sede giudiziaria o casi di evasione fiscale, frode, importazione o esportazione illegale e mancato pagamento dei salari.
Tuttavia, attraverso alcuni collegamenti secondari, il portale permette anche di accedere a una serie di elenchi di soggetti incorsi in irregolarità amministrative, alle “liste rosse” che consentono a cittadini e aziende di accedere a determinati privilegi, o alle “liste nere” nazionali e regionali basate al contrario su vari tipi di reati.
Ed è qui che il piano finanziario e quello sociale tornano a confondersi. Nell’elenco delle misure punitive ammissibili pubblicato nel 2021, che la nuova legge promette di «aggiornare regolarmente», si legge ad esempio che lo Stato ha il potere di «limitare per un determinato periodo di tempo l’avanzamento ai livelli scolastici superiori o il ritorno a scuola delle persone fisiche con comportamenti inaffidabili, come l’elusione del servizio militare».
Con la scusa di promuovere la fiducia all’interno della società, scoraggiando e punendo i comportamenti “inaffidabili”, lo Stato o meglio il Partito si arroga il diritto di decidere chi è degno di fiducia e chi no e quindi chi deve ricevere un trattamento di favore e chi no. E così leggere la difesa d’ufficio della repressione delle recenti proteste per bocca del portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha un sapore inquietante: «Tutti i diritti e le libertà dovrebbero essere esercitati nel quadro della legge». Ma, come spiegò l’anno scorso l’esperto del Paul Tsai China Center della Yale Law School, Jeremy Daum, «dire che il sistema (di credito sociale, ndr) è un’estensione della legge significa solo che non è né migliore né peggiore delle norme che applica». «Man mano che la Cina rivolge sempre più la sua attenzione alla vita sociale e culturale delle persone, regolando ulteriormente il contenuto dell’intrattenimento, dell’istruzione e della libertà di parola – scrisse Daum in un articolo per la Jamestown Foundation – anche queste regole saranno soggette all’applicazione del credito sociale». Uno scenario degno di Orwell.